Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo LXIII - Distruzione del Forte.

Capo LXIII - Distruzione del Forte.

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Capo LXII - Ultime vicende del 1799. Capo LXIV - Repubblica Cisalpina e l’Impero Francese.
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CAPO LXIII.


Distruzione del forte.


La sorte della fortezza di Ceva che per oltre due secoli resistette agli attacchi di nemiche falangi, che cadde nelle mani dei francesi in forza di un trattato, e che loro fu tolta dall’eroismo d’una forza armata, decidere si dovea sui campi di Marengo.

La gran battaglia dei 14 giugno 1800, combattuta colà con tanto valore dalle due armate francese e tedesca, comandata la prima da Napoleone Bonaparte, e la seconda da Melas, fu la più gloriosa per Napoleone che ne uscì vincitore mercè i prodigi di valore specialmente di Dessaix e di Kellermann, e la più influente sui destini d’Europa.

Dovette il generale austriaco scendere a patti poco onorevoli col vincitore, quantunque le restassero ancora forze bastanti a resistere lungo tempo nel forte sito in cui si era riparato.

Fra le condizioni di tregua dettate da Napoleone si conteneva quella di doversi consegnare alla repubblica francese la fortezza di Tortona, di Alessandria, di Milano, di Torino, di Pizzighettone, d’Arona, di Piacenza, la città di Cuneo, i forti di Ceva e di Savona, Genova ed il forte Urbano.

« Questa vittoria francese, dice il Botta, distrusse i frutti di venti vittorie tedesche e russe; morirono (in questa memoranda giornata) degl’imperiali meglio di quattromila soldati, tutti forti e veterani, che avevano veduto le guerre [p. 311 modifica]d’Italia, furono feriti settemila; vennero prigionieri in poter del vincitore circa ottomila. Mancarono dei francesi tremila uccisi, quattromila feriti, pochi restarono cattivi, perche i più, quando fu vinta improvvisamente la giornata, furono liberati dai compagni.»

Quattro giorni dopo, cioè li 18 giugno, giunse in Ceva l’ordine al comandante austriaco Schmelzem di rimettere la fortezza ai francesi.

All’indomani giunse pure un distaccamento francese, comandato dal capitano Ferrier, incaricato del comando della città e della fortezza.

Presi i necessarii concerti col comandante Schmelzem, si evacuò da questi il forte, e vi entrò la guarnigione francese.

Non tardò molto ad arrivare l’ordine di Napoleone d’ismantellare questa fortezza, che non si potè mai espugnare dalle schiere repubblicane.

S’impiegarono sei mesi nel preparar le mine, ed in pochi giorni vide Ceva a saltar in aria i forti baluardi, le caserme, il palazzo del governatore e quanti edifizii si chiudevano in quella piazza. Non restò in piedi che una torre di forma rotonda, che trovasi a metà della chiesa che guarda mezzanotte vicino alla strada che conduce alla Pedagera.

Le rovine di questo forte formano tuttora un oggetto di curiosità pei forestieri. Oltre la chiesa dell’Addolorata e le sue stanze attigue tutte intagliate nella rupe arenaria, si vedono due ampie e profonde casamatte, che servono di alloggio ad un vignaiuolo e di ricovero al bestiame.

Vi sono ancora i resti delle prigioni di Stato in cui furon confinati illustri personaggi, fra i quali la contessa di S. Sebastiano, moglie di Vittorio Amedeo II, la quale per l’ambizione di diventare regina, aveva sollecitato il re abdicatario suo marito a riprendere la corona, il che fu causa di gravi turbolenze, per le quali Vittorio Amedeo II fu chiuso prigioniero nel castello di Rivoli, e la S. Sebastiano in questo [p. 312 modifica]forte di Ceva1. Vi fu pure il celebre scrittore della Storia civile del regno di Napoli Pietro Giannone, il quale nel mentre dimorava in Ginevra l’anno 1736 si portò in un paese vicino appartenente al Re di Sardegna, e vi fu arrestato.

Fu condotto nel castello di Miolans, quindi nel forte di Ceva, e morì nelle prigioni della cittadella di Torino li 7 marzo 1748. Ad esortazione del dotto e santo Filippino, P. Prever ritrattò in prigione le massime che avevano fatto condannare la sua storia, e terminò da buon cattolico la tempestosa sua carriera mortale.

Furono visitate queste rovine da S. A. R. il Duca di Genova Ferdinando di Savoia, secondogenito del re Carlo Alberto nel mese di giugno 1847.

Questo principe accompagnato da S. A. R. Ferdinando Maria Giuseppe figlio di D. Carlos pretendente del regno di Spagna, percorse tutti i luoghi dove seguirono fatti d’armi sotto i comandi di Napoleone Ronaparte da Marengo sino a Ceva. Qui giunto prese alloggio all’albergo reale e vi si [p. 313 modifica]fermò un giorno e due notti. Li 27 giugno suddetto, giorno festivo, si portò a sentire la messa al Santuario di Vico. Al dopo pranzo venne in gran tenuta a prender la benedizione in questa Collegiata. Verso sera andò in Castello a far visita al marchese Pallavicini, e a donna Marianna, vedova del cav. Valentino Pallavicini generale d’armata.

All’indomani mattina alle ore quattro si portò di nuovo nella Collegiata a sentir Messa, quindi salì al forte dove esaminò quei resti con interessamento, e s’avviò alla volta di Pollenzo passando per la Pedagera. Seguivano questi augusti viaggiatori in qualità di scudieri il signor marchese d’Angrogna, il cav. La Marmora e il cav. Germagnano.

Nel mese di luglio 1855, queste rovine ebbero un’altra visita principesca per parte di Umberto ed Amedeo di Savoia di cui si parlò nella descrizione della Cappella del forte.

Note

  1. Nel 1766 in settembre fu rinchiuso nel forte il Cav. Nicola Vasco di Mondovì per avere preso parte al disegno e tentativo del suo fratello il Conte Dalmazzo, di recare cioè aiuto ed una Costituzione alla Corsica nel tempo di Pasquale Paoli; quanto tempo e quanto abbia sofferto colà il suddetto lo sappiamo da alcune lettere di Mons. Michele Casati Vescovo di Mondovì; in una di esse diceva: da quindici mesi che egli è stato detenuto nel forte di Ceva non sono state rimesse al sig. Comandante del forte che L. 150 per conto della sua pensione... Essendo così tenue l’assegnamento che gli è stato fatto, sarebbe perito di freddo e di stenti se non fosse stato da me finora assistito. Il suo fratello poi Dalmazzo fu chiuso in quel forte ai dì 4 agosto 1791 per aver scritta una costituzione concernente la Francia. Fu poi traslocato nel forte di Casale, poi nella Castiglia d’Ivrea ove morì nel 1791. Queste notizie le devo alla gentilezza del sig. Professore Casimiro Danna, il quale più ampiamente le darà nella biografia di quell’illustre Monregalese che intende pubblicare.
    Vi furono anche rinchiusi il primo Uffiziale al ministero degli affari esteri Oui, ed il Conte Stortiglione Generale di Finanze.
    Nel Museo di Versailles si vede un bell’acquerello del nostro celebre Bagetti; che fu inciso dal Schroeder, e porta il titolo: Fort de Ceva 16 Avril 1796. Evacuation du Champ tronche par les Piemontais.        (A. B.)