Memorie inutili/Parte terza ed ultima/Capitolo II

Capitolo II

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CAPITOLO II

Scioglimento della compagnia del Sacchi

e fine del mio corso poetico comico.

Dopo venticinqu’anni della mia eroicomica assistenza prestata alla truppa del Sacchi, era omai tempo che avvenissero de’ casi i quali mettessero fine alla mia ridicola protezione.

Il Sacchi, eccellente comico ma antico d’anni e presso che rimbambito, insidiato nel cuore, nella mente e nelle sostanze, addormentato ne’ suoi amori faceti nell’etá sua di oltre agli ottant’anni, fu l’origine vera del scioglimento d’una compagnia valente, accreditata e fortunata, che forse sussisterebbe ancora e ancora averebbe forse la mia assistenza a vantaggio degl’ipocondriaci e degli oppressi da’ pensieri afflittivi, senza la diversa e strana natura di quell’uomo.

Assai fornito di danari, d’ori, d’argenti e di gemme, la di lui figlia comica, che senza desiderare la morte del padre attendeva però la ereditá di quello, vedendo insidiate le di lui sostanze, malignava con imprudenza le sue debolezze amorose.

Le di lei parole giugnevano alle orecchie del vecchio, che, iracondo d’indole, entrava sulle furie e s’era ridotto ad odiare la propria figlia e a perversare contro lei cordialmente.

I di lui compagni non meno della figlia dileggiavano le di lui leggerezze d’affetti, e perché egli s’era eretto come dispotico della compagnia e degli utili di quella con danno considerabile de’ sozi, essi non frenavano le loro giuste lagnanze.

Il vecchio, preso da una dispettosa vergogna di vedersi scoperto nelle sue debolezze, ostinato, impuntigliato in quelle e irritato dalle ragionevoli censure d’una ingiusta direzione e amministrazione, era divenuto una specie di demonio.

Tutte le sue parole verso la figlia, verso i sozi e verso tutta la truppa erano morsi canini. Le risposte non erano dolcezze. [p. 219 modifica]Si piantavano dialoghi ch’erano strapazzi. Non si vedevano che visi ingrognati. Una societá, ch’era prima la stessa armonia, era divenuta un inferno di dissensioni, di sospetti, di cruccio e d’odio. I compagni si guardavano l’un l’altro in cagnesco, e talora le ingiurie erano tanto gagliardamente trascorse che si videro delle spade e de’ coltelli sguainati e trattenuti a gran fatica de’ circostanti.

Viddi l’aere divenuto feccioso e incominciai ad allontanarmi.

Credei di fare qualche buon effetto legando in un fastellaccio molti libri spagnoli e molti scartafacci ch’io aveva appresso di me del Sacchi, rispedendoglieli per mostrare una alienazione; ma il canchero era giá formato e mortale.

Petronio Zanerini, il miglior comico che abbia l’Italia; Domenico Barsanti, comico valente; Luigi Benedetti colla moglie, utilissimi comici; Agostino Fiorilli, Tartaglia portento dell’arte, s'erano giá levati dalla compagnia nauseati, legandosi a miglior partito con altre compagnie.

La truppa del Sacchi per le di lui stravaganze era ridotta un carcame scamato.

Il patrizio padrone del teatro in San Salvatore condotto dal Sacchi, in cui io lo aveva posto con tant’arte e in cui da molti anni aveva fatte grandissime ricolte, essendo il teatro da commedia piú comodo e piú favorito, vedendo la compagnia Sacchi resa spossata, in pericolo la utilitá padronale, e avendo anche ricevuti dal Sacchi de’ sgarbi e delle parole pungenti e grossolane, diede in condotta il di lui teatro ad un’altra comica compagnia, escludendo quella del Sacchi.

Atanagio Zannoni di lui cognato, valentissimo comico, onest’uomo e d’indole dolcissima, ferito dalle stravaganze del vecchio inviperito, trattava di sottrarsi dalla compagnia vedendola desolata, e d’unirsi co’ suoi figli alla comica compagnia del teatro in San Giovanni Grisostomo, quando comparve da me una mattina il Sacchi unito al signor Lorenzo Selva, ottico rinomato, mio amico.

Egli esagerò contro tutti i suoi compagni e i suoi parenti con delle invettive bestiali, trattando ognuno da ingiusto, da strano e da ingrato. [p. 220 modifica]

Discese a pregarmi di indurre il di lui cognato Atanagio a non staccarsi dalla compagnia, adducendo che averebbe preso in condotta il teatro in Sant’Angelo, rinforzata la compagnia possibilmente, e che colla mia assistenza sperava di poter sussistere.

Sciolsi il guinzaglio alla mia sinceritá con quell’uomo, e concedendo qualche macchia d’ingratitudine ne’ suoi parenti a’ quali, per dire il vero, egli aveva fatti de’ benefizi ne’ tempi andati, mi diffusi molto sulle seduzioni alle quali la sua debolezza era soggetta, sui lacci ch’erano tesi alle di lui sostanze, sui suoi imprudenti trasporti di collera, sugl’ingiusti livori suoi, sui sbilanci de’ fondi della compagnia, non potendo egli di sua volontá disporre de’ ricavati senza l’assenso de’ compagni soggetti a’ danni, sulla disordinata arbitraria amministrazione; e finalmente gli feci intendere che dalla testa incominciava a puzzare il pesce e che da lui medesimo era scaturita la dissensione della compagnia e la fonte di tutti i mali.

Egli mi concesse qualche ragione freddamente e co’ denti stretti, replicando la preghiera ch’io parlassi al di lui cognato Atanagio. Gli promisi di parlare ed egli partí.

Parlai col buon uomo Atanagio, il quale dopo avermi addotte molte delle sue ragioni legittime e de’ suoi riflessi fondati sul pericolo della compagnia, promettendogli io che farei firmare al Sacchi una scrittura di piano economico, da eseguirsi inviolabilmente e con la chiara proibizione che niente potesse risolvere né disporre il Sacchi nella compagnia senza il consentimento di tutti i compagni interessati, Atanagio mi die’ la parola di rimanere, ridendo però sulla scrittura da me disegnata. — Perocché — diss’egli — lei vedrá che con mio cognato le scritture non vagliono un fil di paglia.

Il Sacchi firmò la scrittura che lo spogliava dal despotismo bestemmiando e coll’animo vendicativo.

La compagnia passò nel teatro in Sant’Angelo scarsa di danari, scarsa di attori e ch’erano anche attori infelici.

Aveva io scritte due sceniche rappresentazioni per soccorrerla, l’una intitolata: Cimene Pardo, l’altra: La figlia dell’aria. [p. 221 modifica]

Non si poterono mai esporre al pubblico da quella truppa per mancanza di modi alle necessarie decorazioni e per mancanza di personaggi.

Il Sacchi, sempre burbero e sempre stizzito con tutti, seguiva a soverchiare col suo despotismo sulle ricolte ridotte meschine. Alcuni de’ stipendiati non soluti ricorsero a’ tribunali per il lor pagamento, indi piantarono la compagnia. Non si sentivano che grida, che lamenti, che ingiurie, che minacce, che miserie, che pretese, che sequestri e che bolli.

Finalmente, dopo due anni di diabolico trambusto, una compagnia comica, che per lungo corso di anni era stata il terrore di tutte le altre comiche truppe e la delizia de’ nostri teatri, si sciolse miseramente.

Il Sacchi, disposto a partire per Genova, prima di porsi in viaggio venne a salutarmi e piangendo mi disse queste parole precise: — Lei è l’unica visita ch’io fo a questa mia secreta e dolorosa partenza. Non mi scorderò mai i favori che da lei ho ricevuti. Lei solo m’ha parlato con sinceritá. Mi faccia degno d’un suo bacio, del suo perdono e della sua compassione.

Gli concessi il bacio. Egli partí piangendo, rapidamente; ed io, il confesso, rimasi contaminato.