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parte terza - capitolo ii 221


Non si poterono mai esporre al pubblico da quella truppa per mancanza di modi alle necessarie decorazioni e per mancanza di personaggi.

Il Sacchi, sempre burbero e sempre stizzito con tutti, seguiva a soverchiare col suo despotismo sulle ricolte ridotte meschine. Alcuni de’ stipendiati non soluti ricorsero a’ tribunali per il lor pagamento, indi piantarono la compagnia. Non si sentivano che grida, che lamenti, che ingiurie, che minacce, che miserie, che pretese, che sequestri e che bolli.

Finalmente, dopo due anni di diabolico trambusto, una compagnia comica, che per lungo corso di anni era stata il terrore di tutte le altre comiche truppe e la delizia de’ nostri teatri, si sciolse miseramente.

Il Sacchi, disposto a partire per Genova, prima di porsi in viaggio venne a salutarmi e piangendo mi disse queste parole precise: — Lei è l’unica visita ch’io fo a questa mia secreta e dolorosa partenza. Non mi scorderò mai i favori che da lei ho ricevuti. Lei solo m’ha parlato con sinceritá. Mi faccia degno d’un suo bacio, del suo perdono e della sua compassione.

Gli concessi il bacio. Egli partí piangendo, rapidamente; ed io, il confesso, rimasi contaminato.