Memorie inutili/Parte seconda/Capitolo XXXVII
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CAPITOLO XXXVII
Primi passi da me tentati per aderire alla premura del sconoscente
e falso ragionatore.
Mi determinai a rivolgere le mie calde preghiere, i miei calzanti uffizi e anche le mie minacce verso le persone che per il ragionamento del Gratarol erano quelle dalle quali dipendeva l’esporre o il non esporre la sera de’ diciassette e non mai piú la commedia, e che secondo lui dovevano dipendere dalla mia volontá.
Le giornate del gennaio sono brevi, e quella del dí sedici era stata in gran parte consumata dall’intempestivo, strano, eterno colloquio. Aveva poche ore di tempo alla mia buona volontá.
Abbandonai tutte le idee de’ miei progetti e chiusi nello scrittoio il mio prologhetto come cose assolutamente sprezzate e rifiutate.
I miei primi assalti furono verso il patrizio Antonio Vendramini padrone del teatro e verso il capocomico Sacchi. Doveva cercare questi due oggetti dall’uno all’altro polo di Venezia e il tempo mi mancava.
Scrissi dunque una supplica con un viglietto a Sua Eccellenza Vendramini. Alcune parole cancellate ed aggiunte dopo aver scritto in fretta il viglietto, le quali difformavano la nitidezza del mio foglio, m’obbligarono a rifare una copia da spedire. È soltanto per ciò e non per una direzione suggeritami dalla cautela, che mi rimase la copia autentica ch’io presento all’occhio del mio lettore.
Eccellenza,
I pubblici discorsi che quantunque appoggiati al falso offendono il mio carattere e pregiudicano delle persone a me amiche, e molti aneddoti a me noti mi fanno discendere a supplicare Vostra Eccellenza a non avere rincrescimento che per una mia cordiale istanza non comparisca piú in iscena il mio dramma: Le droghe d’amore.
Prometto a Vostra Eccellenza in avvenire tutta la possibile parzialitá per il di lei teatro, certo che lei non mi negherá la grazia chiesta da chi con la piú profonda stima protesta d’essere
dell’Eccellenza Vostra
Di casa a dí 16 gennaio 1776/77
umilissimo divotissimo obbligatissimo servitore
Carlo Gozzi. |
Suggellato il foglio commisi al mio servo di recarlo tosto al palagio del cavaliere nella contrada di Santa Fosca da me lontanissima, di consegnarlo nelle mani proprie del cavaliere, di supplicarlo per mio nome della risposta, aggiungendo che se non fosse in casa, dovesse attenderlo sino al suo arrivo, e che circa all’apparecchio del mio picciolo pranzo abbandonasse ogni pensiero.
Vestitomi io prontamente, passai alla casa del Sacchi a San Luca, armatissimo di risoluto fervore al secondo assalto.
Mi fu detto ch’egli era andato a pranzare dal patrizio Giuseppe Lini a San Samuele.
Trottai al palagio Lini ed ivi trovai il Sacchi vicino ad essere chiamato alla mensa ed a’ suoi maccheroni.
— Pretendo da voi — diss’io in modo risoluto — che la commedia: Le droghe d’amore non rientri domani né mai piú in sul teatro.
— Come! — rispose il Sacchi con viso sbigottito.
— Non v’è bisogno ch’io insegni a voi il come — diss’io. — Avete avuta l’abilitá di fare tanti raggiri per esporla contro la mia volontá a voi notissima, potrete anche trovare un ripiego per sospenderla. Aveste l’utile di quattro recite a teatro pieno: basti cosí. Gli artifizi stomachevoli di baratti di parte, di vestiari e d’altri inonesti apparecchi usati di nascosto da me hanno abbastanza esposto il mio nome alle pubbliche dicerie. O volete la mia assistenza, o volete quella de’ nimici del Gratarol vostri protettori a’ quali aderite. I casi di quel signore a me noti mi penetrano il cuore. Egli è persona a cui si devono tutti i riguardi, e però dovete troncare omai il fracidume d’una indegna berlina per lui e per me. Voi siete il padrone sulla vostra scena, e per i patti che avete col patrizio proprietario egli non può pretendere che esponiate piú l’una che un’altra commedia; e però pensate ad esporre domani qual rappresentazione volete, ma non mai Le droghe d’amore ch’io voglio seppellita in una perpetua dimenticanza.
Il Sacchi, realmente o comicamente ancor piú sorpreso e sbigottito, rispose: — Ma, signor conte, tutte le ragioni ch’Ella adduce sono fuori di circostanza e di tempo nel caso presente. Lei sa la rivoluzione e lo scandalo avvenuti nel pubblico teatro la sera che il signor Gratarol indusse la Ricci a fingere d’esser caduta dalla scala per sospendere la commedia; lei sa l’impegno preso col pubblico di riprodurla e che il pubblico la attende; lei sa le relazioni passate al tribunale eccelso, gli ordini sacri di quello che domani sia riprodotta la commedia e condotta la Ricci al teatro da un ministro. Ella chiede un impossibile e non cerca che delle punizioni a me e che la rovina della mia povera compagnia.
— Io non chiedo — diss’io — che cosa da voi esibita a persone. — Che ho esibito? — risposagli. — Avete esibito — diss’io — a chi v’ha pregato in su questo argomento, che dal canto vostro siete pronto a sospendere la commedia e che dipendete dalla mia volontá. Eccovi la mia aperta volontá: sospendetela.
— Chi fu quel bugiardo che s’è inventata questa menzogna? — rispose il Sacchi iracondo. — Desidero di conoscerlo. Pare a lei che nel caso presente io sia pazzo a segno di fare una tale esibizione? Tuttavia — seguí egli — Ella levi gli ostacoli che le ho esposti, e dal canto mio a costo del mio danno sono pronto a servirla.
Il patrizio Lini, molti signori e molte signore ch’erano parati ad essere commensali di quel cavaliere, sentendo il dibattimento tra me e il Sacchi, uscirono dal tinello in folla e chiesero ragione del contrasto tra me e Truffaldino.
Il Sacchi espose la mia richiesta col viso afflitto; io aggiunsi quanto poteva per sostenerla. Un «oibò» generale di tutti gli astanti e spezialmente del cavaliere ch’io doveva rispettare, m’intruonò il capo. Il patrizio Lini, gran protettore del Sacchi, espose i mali che sarebbero avvenuti. Sostenne la impossibilitá di ciò ch’io chiedeva. Provò che la commedia era de’ tribunali e del pubblico e non piú mia, conchiudendo con queste parole; — Se il Gratarol è un matto per addossarsi ciò che non è e per insistere con tante cavallate, suo danno. La commedia deve essere riprodotta per tutte le ragioni. — Il mio arringo fu vano ed ebbi torto con tutti i voti.
Il Sacchi che mi vedeva fremere e voleva mostrare dal canto suo di aver a cuore le mie premure, forse per non perdere la mia assistenza alla sua mèsse, soggiunse: — Tutto ciò che si potrebbe fare sarebbe il riprodurre la commedia domani a sera in obbedienza de’ tribunali, degli ordini che corrono e per non offendere e disgustar il pubblico a cui è promessa e l’attende, e il cercare poi un ripiego per non riprodurla nell’avvenire.
Un altro «oibò» degli astanti voleva impedire anche questa esibizione, ma io interruppi gli «oibò» e volli prendere in ferma parola il capocomico dell’esibito, non potendo sperare di piú, e mi feci confermare l’impegno.
Gli dissi però ch’io aveva fatti degli altri uffizi de’ quali attendeva risposta, e che se mi riesciva di combinare la sospensione della commedia anche il domani senza di lui pericolo, egli doveva aderire al mio desiderio.
— Io non so vedere come ciò si possa fare — rispose il Sacchi. — Tuttavia sono disposto a servirla entro al possibile.
Sperava qualche cosa nella risposta del patrizio padrone del teatro ed ero impaziente di vederla.
Il patrizio Lini fece una violenza grande per trattenermi a pranzo. Ero troppo affaccendato per proccurare di servire alla premura del Gratarol per non curarmi di pranzare quel giorno.
Volai alla mia abitazione, e trovando il viglietto di risposta del cavaliere Vendramini, l’apersi con aviditá e lessi con rammarico una cerimoniosa ma solenne risoluta negativa.
Vidi chiara quella impossibilitá che aveva preveduta. Volli però informare il Maffei conduttore della strana visita al piú strano colloquio.
Il mio servo mi chiamava alla parca mensa giá apparecchiata. Non volli pranzare e corsi dal signor Carlo Maffei.
L’assicurare il lettore che tutto quel giorno rimasi in un perfetto digiuno è un amminnicolo che si potrebbe tacere. Tuttavia siccome questo lieve aneddoto fu vero, e un sacrifizio dedicato al piú sconoscente, al piú maligno, al piú perverso di tutti gli uomini, a cui sarebbe peccato il sacrificare un bicchiere d’acqua, narro pontualmente anche il frivolo aneddoto della mia dieta senza pretendere compassione.
Trovato il Maffei gli narrai ingenuamente l’avvenuto col Sacchi nella casa Lini e gli feci vedere il viglietto di negativa del cavaliere padrone del teatro. Quel buon uomo non fece che restringersi nelle spalle.
— Ho un’impegno — diss’io — di tentare dal mio canto quanto è in mio potere sul falso piano voluto solido dal Gratarol, ed ho un impegno di fargli sapere il da me operato. Ella fu mediatore a introdurre da me la visita di quel signore, in vero oppresso ma altrettanto irragionevole e prepotente, e non ho altro mezzo che lei da fargli pervenire notizia del da me inutilmente operato. Mi rincresce assai ch’egli non abbia accettati i miei progetti e gli abbia sprezzati e rifiutati come «acqua ed acqua». Quell’acqua sola poteva estinguere il fuoco inestinguibile ch’io trovo acceso. Il Sacchi a buon conto s’è meco impegnato di trovar un ripiego perché la commedia non oltrepassi la replica di domani, che serve all’obbedienza de’ tribunali e a calmare il pubblico. Ella però riferisca solo la inutilitá de’ miei tentativi col patrizio Vendramini e col capocomico. Voglio tentare un altro passo per proccurare la sospensione della commedia anche domani. Ho il vantaggio che questa sera i teatri stanno chiusi per rispetto alla vigilia di sant’Antonio abate detto «dal fuoco». Posso trovare in casa la dama che fu tanto accesa, contro le mie preghiere, perché la mia innocente commedia entrasse in iscena. Io credo per altro ch’ella sia nimicissima del Gratarol, né so il perché. È innegabile ch’ella valendosi della leggerezza de’ falsi passi fatti dal Gratarol che cagionarono delle pubbliche vociferazioni in di lui danno, ella secretamente ordí baratti di parte, vestiari, acconciature e gesticolazioni per render spettacolo agli occhi del pubblico inurbanamente quell’infelice e per vendicarsi non saprei dire di quali offese. Le bizzarrie di quella signora sono notissime. Io per altro che la conosco da molti anni, per le mie osservazioni sul di lei carattere ho dovuto per giustizia condannare la sua testa, ma non mai il suo cuore ch’è sensibilissimo. Voglio tentare un passo anche sul di lei cuore. Ha tante gran aderenze e tanti mezzi possenti che non voglio nemmeno lasciare intentato un uffizio efficace con lei. Egli è ben vero che da gran tempo io non vado a visitarla, ma ella mi conosce per poco uffizioso e per solitario, e sono certo ch’ella mi vederá e ascolterá volontieri. Il mio caro signor Carlo, vediamoci questa sera alle tre della notte sotto le Proccuratie nuove.
Il Maffei si mostrò dolente di vedermi imbrogliato e affaticato per sua cagione. Fece un elogio superfluo al mio buon cuore e a’ miei tentativi. Promise d’essere alle tre della notte al luogo indicato, ed io mi staccai da lui per fare una nuova perorazione in favore d’un mostro sopraffattore che voleva in me l’impossibile per vincere un suo puntiglio contro tutte le stelle fisse, o vendicarsi sul mio buon nome di quegli errori che in me non erano e di quelle sciagure che da se medesimo s’era tessute.