Memorie inutili/Parte seconda/Capitolo XXIX

Capitolo XXIX

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CAPITOLO XXIX

Mi riesce d’impedire l’esposizione nel teatro del mio dramma:

Le droghe d’amore.

Il giorno dietro la lettura e la consegna fatta a’ comici dell’opera mia, mi portai alla piazza San Marco la mattina per tempo, dov’era certo che averei ritrovato il Sacchi. M’abbattei nel signor Raffael Todeschini, gran partigiano de’ miei capricci drammatici; e perch’io lo conosceva giovine saggio, onesto e mio amicissimo, gli confidai le stravaganze da me rimarcate nella Ricci alla lettura del mio dramma, né gli celai il sospetto mio sulle mosse di quella femmina delle quali aveva un interno presentimento di sicurezza. Aggiunsi ch’ero in traccia del Sacchi per fare ogn’opera d’impedimento e alle ciarle indecenti e pericolose e all’esposizione del dramma in teatro.

Il prudente giovine, maravigliato e alquanto incredulo sul mio sospetto, mi rispose: — È vero ch’io era desideroso di vedere rappresentata l’opera sua; ma se la cosa è come lei sospetta, fa benissimo: è azione da suo pari a impedirne la esposizione. Ecco lá il Sacchi che passeggia — mi disse additandomelo.

Raccomandando un silenzio esatto a quell’amico, mi staccai da lui avvicinandomi al Sacchi.

I miei lettori potranno rilevare dalle semplici e ingenue mie narrazioni sul proposito del mio dramma quanto vaglia il buon cuore, l’onoratezza, la prudenza, una giusta brama di quiete in un uomo onesto, in confronto delle altrui follie, delle altrui furie vendicative d’offese infantate, delle altrui sopraffazioni, degli altrui puntigli e della turpe comica venalitá.

Per tutta la lunga catena di strani spiacevoli avvenimenti accaduti intorno alle Droghe d’amore io non potei essere, come si vedrá, che un oggetto da non essere curato da nessuno e un argomento da comporre una buona commedia sulle mie spalle. Ringrazio il cielo dell’istinto risibile che m’ha donato sulle [p. 35 modifica]stravaganze e sulle costituzioni della umanitá. Vediamo i gradini per i quali discesi ad essere un nulla sul mio dramma, ad onta di tutti i miei sforzi per essere considerato una qualche cosa.

Affacciatomi al capocomico Sacchi gli chiesi se avesse rimarcato le contorsioni e il borbottare della Ricci sulla lettura ch’io feci alla compagnia la sera trascorsa.

Egli mi rispose che gli pareva d’aver veduto qualche cosa senza poter capir nulla e senza comprendere ragione alcuna.

— Ebbene — diss’io, — per alcune cause comiche e per alcuni aneddoti vergognosi anche di troppo noti, la Ricci conserva da un anno de’ sentimenti guasti contro di me per l’abbandono ch’io feci di lei nel punto della sua solenne domestica pratica da lei legata col signor Pietro Antonio Gratarol, a cui sono certo averá fatti contro me nel corso d’un anno del mio allontanamento de’ pessimi uffizi, indispettita di non avermi potuto indurre a servire d’ombrello alla figura in cui s’è posta agli occhi della compagnia e agli occhi del mondo, come sapete. In cinqu’anni ch’io fui di lei amico, compare, domestico assistente e compagno, ho debito d’aver conosciuto il di lei cervello leggero, la di lei ambizione, il di lei spirito imprudente e vendicativo, il di lei carattere pericoloso, zulfureo, suscettibile, corrotto da’ cattivi principi di educazione. E sono certo di non errare a credere ch’ella sia apparecchiata a far ingoiare al Gratarol con tutto l’artifizio possibile il calice disgustoso, ch’io cerco di esporlo sulla pubblica scena col mio dramma: Le droghe d’amore, nella parte di quel giovanastro moderno e leggero nominato nel dramma «don Adone»; e ciò per darsi forse del merito coll’amico, per far del danno alla vostra compagnia colla quale è crucciosa e per auzzare quel signore contro di me, onde io abbia a sofferire de’ dispiaceri.

— Possibile! — esclamò il Sacchi attonito. — Con qual proposito?

— Con quel proposito ch’io sono certo ch’ella si fabbrica — diss’io. — Il di lei divincolarsi e borbottare sopra l’universalissimo carattere del don Adone, ch’è semplice episodio nel dramma da lei approvato or fa un anno, diviene ora un’arma [p. 36 modifica]per la sua maligna inaspettata determinazione. Siate certo di ciò. Le sue parole mutilate, il modo con cui è partita dalla lettura m’assicurano del suo lordo proditorio attentato. Voi vedete quanti amari disordini potrebbe cagionare a me, al vostro teatro, alla vostra mèsse il di lei diabolico tentativo; e voi sapete quanto io sia nimico de’ dissapori, delle ciarle e de’ susurri dal canto mio. Vi prego dunque cordialmente a spargere una voce sul palco scenario questa sera, che il carnovale è avanzato, che il popolo è in movimento, che non temete piú scarsezza di ricolta, che il mio dramma è delicato, non popolare e lungo troppo, che non è da arrischiare in una stagione allegra in cui i teatri s’empiono di inquieto basso popolo, e che avete risoluto di preservarlo per un altr’anno. Questa vostra disposizione sia intesa da tutti i comici e particolarmente dalla Ricci. Io non verrò questa sera sulla vostra scena per evitare un cimento di parole. I miei riflessi reggono, il mio desiderio è giusto: aderite al piacere che vi chiedo. Il dramma è giá vostro e potrete tentare con esso la vostra sorte in altro tempo. La Ricci nella ventura vicina quaresima se ne va a Parigi. Il Gratarol deve andare alla residenza di Napoli. Impedite nel presente che sieno risvegliati e dilatati discorsi. Allontanati che sieno una lingua mal apparecchiata ad accendere nella Ricci e una testa combustibile nel Gratarol, l’innocenza dell’opera mia non potrá divenire peccato, né rimane alcun pericolo, salvo quello della caduta del dramma ch’io pronostico in ogni tempo.

Il Sacchi mosso da ciò ch’egli credeva suo interesse ricalcitrava con civiltá e giugneva quasi a trattarmi da visionario; ma convinto finalmente da’ miei riflessi e dal mio ben fondato dresentimento sulla mala disposizione della Ricci, discese a dirmi che la mia richiesta era giusta e saggia e che quella sera medesima sarei stato servito infallibilmente.

— Vi ringrazio — diss’io. — Il cielo voglia che siate in tempo di troncarmi delle stomachevoli molestie. Temo fatto a quest’ora il cattivo uffizio col Gratarol. Conosco in tutta la sua estensione l’animo fracido e la imprudenza di queila femmina senza nessun sentimento di convenienza, di riguardo o di [p. 37 modifica]gratitudine, e l’ho veduta iersera partire dalla lettura troppo sollecita, troppo disposta e volonterosa di far delle maligne riferte e de’ tristi uffizi a suo modo. — Mi feci riconfermare la promessa dal Sacchi e lo lasciai.

Passai la sera di quel giorno in un altro teatro, sempre in sospetto che il Sacchi non facesse il passo da me suggerito o che il passo non fosse piú in tempo.

Non ho l’albagia d’essere indovino, quantunque rare volte sieno fallaci le mie predizioni sui movimenti delle teste e de’ cuori de’ quali ho avuto campo di studiare l’umore e la inclinazione.

Trovai il Sacchi la mattina seguente. Egli m’assicurò d’aver eseguito l’ordine mio a voce chiarissima con tutti gli attori e le attrici alla presenza della Ricci medesima. Aggiunse ch’io stessi tranquillo, ché il dramma non sarebbe esposto nel teatro prima dell’anno venturo o in quei tempi che a me paressero lontani dal pericolo del quale io dubitava, secondo lui ingannandomi.

Adunque, per conto mio e per un mio semplice sospetto di delicatezza, quel dramma di cui io aveva una svantaggiosa considerazione, trattomi dalle mani a forza di seccantissimi assedi, non doveva in quell’anno piú comparire in sulla scena. Di questa veritá, oltre al Sacchi, tutti gli attori possono essere testimoni. Testimonio può essere anche la Ricci; ma ella aveva giá con una maligna sollecitudine scagliata la pietra del rancore e della odiositá. Se il Sacchi m’ha detta una bugia non ho colpa.

Nel séguito di queste onorate narrazioni che hanno per fondamento la testimonianza non d’una comica ma di persone impuntabili, si rileverá chi da mal consiglio e da una puerile credulitá condotto, per voler impedire con un contrattempo, borioso e senza proposito, l’esposizione in teatro di quel dramma, abbia spinto il dramma in teatro quel carnovale medesimo contro l’opera mia e contro la mia volontá, risvegliando un cicaleccio sfrenato per la cittá, stabilendo un’illusione inestinguibile, accendendo de’ puntigli ne’ possenti, aguzzando la venale malizia comica e spogliando me d’ogni facoltá sull’opera mia.