Memorie inutili/Parte seconda/Capitolo XXVIII

Capitolo XXVIII

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CAPITOLO XXVIII

Nuova lettura da me fatta del mio dramma: Le droghe d’amore a tutta la compagnia comica. Gesti e parole mutilate della Ricci che mi fanno indovinare il di lei mal talento disposto a degl’infantati pessimi uffizi. Mia cautela a tale inaspettata scoperta. Mi dispongo a impedire la rappresentazione del dramma con tutto il mio ingegno.


Parato io a sofferire di dover fare nuovamente una fastidiosa ma necessaria lettura, seduto rimpetto ad una numerosa adunanza di tutti gli attori non solo, ma d’altre persone amiche nella abitazione del Sacchi, comparve anche la Ricci tronfia e pomposa. Ella affettò di voler sedere appresso di me.

Controgenio e mal mio grado m’abbandonai a logorare di nuovo i miei poveri polmoni nella lettura di cosa stucchevole giá letta e riletta.

Quantunque nella lettura dell’opera ch’io unirò stampata a queste Memorie si potrá piú estesamente rilevare i caratteri da me introdotti e dipinti, do una breve idea de’ caratteri, de’ personaggi e della mia disposizione delle parti.

Federico duca di Salerno, innamorato perdutamente di Eleonora contessa di Nola, uomo d’indole dolce, agitato tra l’amore per la contessa e l’affetto per un amico, voluto da quella esiliato per un puntiglio e per dar una prova all’amore del duca — parte principale da me assegnata al comico Petronio Zanerini; — Leonora contessa di Nola, giovane bizzarra, fiera, puntigliosa, artifiziosa, arguta, amata dal duca — parte principale da me assegnata alla comica Ricci; — don Carlo, favorito ed amico sincero del duca, di carattere cinico e voluto esiliato dalla contessa — parte di episodio da me assegnata al comico Barsanti; — don Adone, cugino del duca, giovinastro amante di se medesimo, presuntuoso, sprezzatore de’ costumi antiquati giudicati da lui pregiudizi, damerino affettato — parte d’episodio da me assegnata al comico Benedetti romano; — Alessandro, gran cancelliere del duca, amante di Ardemia marchesa di Taranto, geloso d’una sofistica e tormentatrice gelosia — parte d’episodio da me [p. 31 modifica]assegnata al comico Vitalba; — Ardemia, dama semplice in apparenza ma accorta in sostanza, amante del gran cancelliere, costretta per buon cuore a dover tormentare l’amante di gelosia, di carattere flemmatico — parte d’episodio da me assegnata all’attrice Chiara Benedetti; — Lisa, damigella della contessa di Nola, zelante e correttrice indefessa delle stravaganze della padrona — parte d’episodio da me assegnata alla comica Angela Vitalba; — Garbo, staffiere del duca, uomo faceto e satirico — parte d’episodio da me assegnata al comico Agostino Fiorilli; — e qualche altro personaggio di poco interesse erano gl’interlocutori che giuocavano l’ideata e composta opera mia infelice.

Giunto che fui colla mia lunga noiosa lettura alla sedicesima scena dell’atto primo, nella qual scena esce per la prima volta don Adone cugino del duca, la Ricci che m’era appresso cominciò a fare de’ contorcimenti, come se quel carattere ch’ella aveva udito nel mio dramma da piú d’un anno, riuscisse allora un oggetto nuovo e di sorpresa per lei.

A misura ch’io m’inoltrava con la mia lettura nelle scene di quel carattere d’episodio e che ha pochissima parte nel dramma, ella accresceva le sue notabili smanie, le quali incominciavano a disturbarmi.

Avend’io letto a lei da piú d’un anno sino alla metá del terzo ed ultimo atto, dopo la qual metá quel carattere non ha piú influenza col dramma, avend’ella approvata e lodata l’opera, anzi avendomi stimolato a terminarla, cosí non poteva indovinare qual grillo le saltellasse per il cervello. Giudicai ch’ella avesse una di quelle naturali occorrenze da cui potesse agevolmente sollevarsi; ma siccome ad ogni uscita del don Adone la mia lettura la faceva divincolare e borbottare tra denti in un modo che, aggiunto al tedio ch’io provava in quella lettura, m’infastidiva soverchiamente, non potei trattenermi di volgermi a lei dicendo con tutta la calma: — Ma, signora, è Ella forse annoiata piú di me di questa lettura? — Ella mi rispose soltanto con un contegno di sostenutezza e volgendosi da un’altra parte: — Eh! niente, niente.

Seguendo la mia lettura, ad ogni parola di quel don Adone il fremere della Ricci era tanto caricato e disturbatore che, tra [p. 32 modifica]la molestia ch’io soffriva e la brama che in me s’accresceva di sapere il movente de’ di lei fremiti de’ quali non scorgeva proposito, mi rivolsi a quell’attrice nuovamente, dicendole con la solita flemma: — Signora, trova Ella in quest’opera cose che le dispiacciano? Vedo in lei delle smanie né so da che nascano. Il dramma è lo stesso che lessi a lei or sará piú d’un anno; non terminato, è vero, ma non molto lontano dal suo fine. Egli è quel dramma che a me non piaceva e a lei piaceva a segno di stimolarmi a terminarlo. Che mai ha egli ora che possa cagionare in lei tante inquietezze?

Le altre sopraddette e queste sono tutte le parole ch’io dissi alla Ricci con flemmatica civiltá nell’occasione di quella per me stucchevole lettura, disturbato dalle di lei smanie e dal di lei borbottare perpetuo. Se dieci o dodici attori ch’erano presenti non bastano a fare una testimonianza, v’era presente l’onorato signor Carlo Maffei e qualche altra privata persona, che in vero io non mi ricordo quale.

La pura veritá è che all’ultima mia pacifica ricerca che infastidito feci alla Ricci, ella mi rispose con un sorriso aspro e sardonico: — Eh! bene, bene, questo suo don Adone, questo suo don Adone!

Fu quello il punto in cui come al lume d’un folgore mi si aprí la mente e ch’io vidi chiara la maligna intenzione di quella comica di volere appropriare il carattere di quel don Adone al signor Gratarol di lei amico, di tentare con un artifizioso pessimo uffizio verso quel signore di accenderlo contro di me, per vendicarsi secondo la sua testa leggera e crucciosa sulle cose passate, cagionando una scena peggiore di tutte le scene del mio dramma.

— Non serve — dissi tra me — che il carattere del mio don Adone sia stato da me piantato, esaurito e letto a questa femmina quattordici mesi or sono e prima che fosse a mia cognizione la di lei intrinseca pratica col Gratarol, ch’io allora conosceva appena di nome; che il carattere del mio don Adone sia universalissimo e non abbia alcuna relazione, almeno per mia volontá, con quello del Gratarol. La vipera è determinata a schizzare un veleno pericoloso. Le cose trascorse potranno [p. 33 modifica]agevolmente indurre il Gratarol che mal mi conosce a bere di questo veleno, e devo usare dal canto mio di quella prudenza che questa mia nimica non ha, per impedirne gli effetti.

Veduta ch’ebbi coll’occhio mentale in astratto la mina che la Ricci disegnava di far scoppiare, la guardai con occhio di stupore e d’orrore; indi facendo il sordo, tacqui e precipitai velocemente la mia lettura, come un uomo ristucco e stanco, sino al suo fine, fermo nel mio secreto di voler impedire con gli sforzi possibili l’ingresso dell’opera nel teatro, per strozzare una brama perniziosa.

Senza dare alcun cenno della mia profetica previsione, di che nessuno della comitiva s’era sognato di sospettare di ciò che non poteva dare argomento di sospetti, gettando io il libro con disprezzo notabile sul tavolino a’ comici, replicai ch’io era sempre maggiormente certo della caduta nel teatro d’una composizione tanto debile e tanto lunga. Aggiunsi ch’io l’aveva donata, che m’era spogliato della facoltá di padre di quella; ma che sperava che anch’essi pensassero com’io pensava e che non l’avrebbero posta a rischio.

Tenni per allora in silenzio la mia fissata volontá di proccurare con tutto l’animo d’impedirne la esposizione. Non risposi agli elogi universali che si replicarono a quel dramma, considerandoli comiche adulazioni e amichevoli parzialitá, né m’opposi alla risoluta frettolosa brama che si mostrò di porlo in sulle scene.

Fu dal capocomico Sacchi commessa in sul fatto al copista la estrazione delle parti e la consegna agli attori com’io le aveva disposte; e sciogliendosi l’adunanza tenni lo sguardo intento alla Ricci, la quale partendo tosto e prima d’ogn’altro con gran premura e come una persona ch’era attesa, apparve agli occhi miei penetranti fornitissima di mal talento.

Credei ben fatto il tener chiuso con somma gelosia il mio sospetto profetico di previsione nel mezzo a que’ tanti ivi adunati, sapendo quanto vigore può avere nel pubblico sull’ali della fama una sola parola in questa materia.