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capitolo xxix 343


mica in egual modo, onde restò sempre con quegl’istessi assegnamenti da lui goduti in principio. Il signor Canterani, che nella commedia soppressa faceva da Scappino, ebbe anch’egli il suo congedo e la sua pensione come i suoi compagni, ma pochi giorni dopo fu ricevuto come attore, ed ebbe il titolo di semainier perpetuo della Compagnia. Quest’uomo operosissimo, pieno d’intelligenza e di probità, incaricato di commissioni spinose, sa così ben conciliare gl’interessi della società con quelli dei particolari, ch’egli è il mediatore d’ogni disparere, l’arbitro d’ogni riconciliazione, l’amico di tutti. L’Opera buffa, svincolata dalla Commedia italiana, non poteva da sè sola somministrare per tutto il corso dell’anno due o tre rappresentazioni al giorno.

Si era recitata altre volte su questo teatro una commedia francese, che faceva corpo colle rappresentazioni date dagli Italiani. Questi l’avevano abolita, e l’Opera comica l’introdusse nuovamente. È benissimo composta; vi sono attori eccellenti, che sarebbero utilissimi al teatro francese, e che hanno dato rappresentazioni bellissime; farò parola soltanto della Donna gelosa, e del suo autore. Questa commedia di cinque atti, in versi, è, a parer mio, commedia che può dirsi perfetta: il soggetto sembra un po’ troppo comune, ma pure in essa è trattato in tal maniera, che lo rende quasi nuovo. L’autore ebbe l’accorgimento di render plausibilie e ragionevole una gelosia mal fondata. È importante la condizione della moglie per i suoi timori fondati, com’è pur tale quella del marito per la delicatezza di serbare il segreto. Tutti i caratteri della commedia son veri, gli episodi bene adattati, gli equivoci e le sorprese destramente combinate, la catastrofe naturale è soddisfacente; nobile, comico e corretto lo stile, ed i versi armoniosi e senza affettazione. Io non darò qui l’estratto di una commedia che è già stampata, poichè adesso altro non fo che annunziare le cagioni che me la fanno riguardare come un lavoro benissimo composto.

Conosco che in queste mie Memorie vo a salti, passando da una commedia ad un gravissimo e nobilissimo soggetto. Nell’istesso anno 1780 il cavaliere Dolfino, ambasciatore di Venezia, venne ad occupare il posto del signor Zeno suo predecessore. Questo nuovo ministro d’una famiglia antichissima e ricchissima, si presentò in un modo corrispondente al suo grado, e da fare onore alla sua nazione. Ma provò colpi sì dolorosi, che l’oppressero d’amarezza, onde, benchè robusto, fu costretto a cedere al peso della sua afflizione. Aveva condotto seco i due suoi figli. N’educava uno sotto i suoi propri occhi, affidando la figlia alla direzione delle nobili religiose di Panthemont. L’uno e l’altra davano grandi speranze della loro virtù, erano la delizia di un tenero padre, che per coltivare il loro animo e il loro ingegno aveva procurato loro i vantaggi della educazione francese. Si ammala la figlia, e muore: restava il figlio, unico oggetto della paterna consolazione, e muore anch’esso. Ecco pertanto un padre amoroso nell’abisso della più tetra desolazione! Va a Venezia per confondere le sue con le lacrime dell’afflitta madre, e torna immerso nella più cupa tristezza. Dopo simile avvenimento il signor Dolfino non era più quel desso. Si lasciava veder poco, io lo vedeva di rado, ed era penetrato dal più vivo dolore. E il padre ed il figlio avevano bontà ed amicizia grande per me; avrei io potuto trattenermi dal piangere?