Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/XXIV

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
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CAPITOLO XXIV.

Morte di Luigi XV. — Innalzamento al trono di Luigi XVI. — Nascita del duca di Angouléme. — Malattia delle principesse di Francia. — Loro convalescenza a Choisy. — Matrimonio della principessa Clotilde sorella del re. — Servigi da me prestati a lei ed alla principessa Elisabetta. — Nuovi beneficii del re a mio riguardo.

Alla gioia che il matrimonio di tre principi aveva diffusa per tutto il regno successe la più cupa tristezza. Cadde malato Luigi XV e presto si palesò in lui il vaiuolo del genere più maligno e complicato. Questo sovrano, contuttochè fosse molto vigoroso e ben conformato, dovette soccembere alla violenza di questo flagello dell’umanità. Quale afflizione pertanto per la Francia, che gli aveva conferito il titolo di bien-aimé! qual desolazione per la famiglia che lo adorava! qual perdita per i suoi antichi servi, affezionati a lui più per sentimento che per dovere.

Egli era il più clemente fra i re, il padre più tenero, il padrone più dolce che vi fosse mai stato. Eccellenti erano le doti del suo cuore, e felicissime quelle della mente. Ma tergete pure una volta, o Francesi, le vostre lacrime. La Provvidenza vi diede un successore, le cui virtù formeranno la vostra felicità. Voi avete sempre avuto costume di qualificare parecchi dei vostri re con titoli e nomi eternati poi dalla posterità; quale sarà pertanto l’onorevole epiteto che ora sceglierete per Luigi XVI? La bontà, la giustizia, la clemenza, la beneficenza, sono doveri assoluti per tutti quelli che Dio ha destinati per governare gli uomini. È dunque necessario che la scelta del titolo che può convenirgli sia dedotta dalle sue stesse qualità personali. I suoi costumi, la sua condotta, il suo zelo per il bene pubblico, la pace, e perfetta calma dell’Europa, la cui religione, la moderazione, la probità che egli esige, l’esempio che ne dà... eccovi virtù rare, virtù essenziali, di gran lunga più utili allo Stato che non l’amore della conquista; ecco sorgenti inesauribili di lode, ecco monumenti sacri all’immortalità. Nell’età di trentatrè anni non può la pubblica voce determinare gli onori ed i titoli dovuti al carattere di un sovrano che aspira alla gloria di meritarli; ma io sono ormai troppo vecchio per attenderne la scelta, onde me ne anticipo il contento nominandolo in cuore Luigi il Saggio.

Ahimè! quante vicende avvengono mai all’umanità. Sono ora costretto a ricordare un nuovo soggetto di spavento e di dolore. Le tre figlie di Luigi XV che mai non aveano lasciato il letto dell’augusto loro genitore in tutto il corso della malattia, furono assalite dai medesimi sintomi, e corsero l’istesso pericolo. Queste principesse destavano troppa simpatia per non tener tutti in inquietudine per la loro salute; ma Dio ce le preservò, strappando dalle fauci della morte questo esempio eroico di amor filiale.

A Choisy passarono il tempo della loro convalescenza; e siccome non meno degli altri avevo sofferto in quella terribile occasione, andai perciò col loro séguito a respirare io pure l’aria salubre di quel luogo delizioso. Un giorno trovandomi a pranzo dalle principesse e dame della loro compagnia, alla cui tavola non vi era altr’uomo che il principe di Condé, madama Adelaide mi fece [p. 331 modifica] l’onore di annunciarmi a questo principe del sangue, che subito ebbe la degnazione di riguardarmi con bontà: me gli accostai rispettosamente, mi parlò del mio Burbero benefico. Mi era già noto che egli stesso l’aveva recitato a Chantilly, e che aveva a maraviglia sostenuto la parte di Geronte, onde mi valsi di quest’occasione per tributare al medesimo le mie congratulazioni e i miei ringraziamenti.

Ritornato a Parigi, intesi parlare del matrimonio proposto fra la principessa Clotide, sorella del re di Francia, ed il principe di Piemonte, erede presuntivo della corona di Sardegna. Questa novità essendo per me importantissima, andai apposta a Versailles all’oggetto di esserne meglio informato; la proposta era vera, ma se ne faceva un mistero, e solo sette mesi avanti la celebrazione di questo matrimonio ebbi ordine di portarmi dalla principessa per darle qualche istruzione nella lingua italiana. Obbedii: ma che poteva ella imparare in sette mesi di tempo? ben mi guardai di farle percorrere la via consueta. Essa conoscendo benissimo la sua grammatica francese, non le proposi perciò altro da imparare che i verbi ausiliari della grammatica italiana. La facevo leggere molto, e le osservazioni e le brevi digressioni che opportunamente frammischiavo alla lettura, valevano a mio parere, assai più della lunga e noiosa litania delle regole e delle scolastiche difficoltà. Le mie letture tendevano anche ad uno scopo più importante, che era quello di farle conoscere gli autori classici italiani per i loro propri nomi, per alcuni dei loro aneddoti, e per i titoli delle stesse loro opere procurando di erudirla nel tempo stesso intorno ai costumi dell’Italia. Questa principessa, sommamente docile e compiacente, era dotata di una portentosa facilità ad imparare e di una memoria felicissima. Le davo lezione ogni giorno, ed essa faceva progressi mirabili, contuttochè le nostre conferenze fossero spesso interrotte da gioiellieri, orefici, pittori e mercanti. Entravo talvolta nel suo quartiere per esser testimone della scelta delle stoffe, del prezzo delle gioie, della somiglianza dei ritratti. Nulladimeno m’ingegnavo di trar profitto anche da questi stessi inconvenienti, facendo a lei ripetere in italiano i nomi delle cose vedute, e che erano state contrattate per lei, indi comprate, o rigettate. Avemmo ancora altre distrazioni: un viaggio a Rheims per la consacrazione del re, e la nascita del duca d’Angouleme. Questo principe, figlio del conte d’Artois, essendo il primo frutto di tre matrimoni dei principi di Francia, importava molto allo Stato: infatti le dimostrazioni di gioia corrisposero al contento del pubblico.

Malgrado tutte queste interruzioni, la mia augusta scolara sapeva mettere così utilmente a profitto il suo tempo, che pronunziava l’italiano assai bene e lo leggeva ancora meglio dimodochè era senza dubbio in istato di leggere ed intendere gli epitalami che i poeti piemontesi dovevano già averle destinati. Il suo matrimonio fu celebrato per procura, verso il fine del mese di agosto dell’anno 1775, nella cappella di Versailles, nella quale occasione vi furono feste splendide e spettacoli magnifici. La principessa partì adorata e pianta. Tutti quelli che l’avevano servita, e che le erano stati vicini, ebbero dimostrazioni della sua bontà; nè deve sembrare cosa straordinaria se in questa gran folla passasse in dimenticanza qualcheduno: la disgrazia maggiore fu che questa dimenticanza andò appunto a cadere sopra di me.

Riguardo a’ miei servigi e alle mie spese non aveva domandato [p. 332 modifica]nulla, e nulla aveva ricevuto; ma nella persuasione che io non avrei perduto nulla, me ne stavo tranquillo, nè ardivo far parola. Varie persone che s’adopravano per me, impazientite del mio silenzio, non perdettero tempo per sapere a quale partito dovessi attenermi: esse avevano più coraggio di me, e la loro mediazione mi fu utilissima.

Si credeva alla corte che la mia pensione di tremila seicento franchi mi obbligasse al servizio di tutta la famiglia reale, ignorandosi essere questa una ricompensa largitami per avere insegnato l’italiano alle principesse; onde gl’incaricati delle spese riguardanti la principessa di Piemonte furono convinti che io dovessi essere remunerato, ma siccome gli affari che appartenevano a questa signora erano terminati, fui perciò obbligato ad aspettare. Dovevo essere nuovamente impiegato dalla principessa Elisabetta, altra sorella del re, alla quale occasione dovevo serbare le mie domande. Attesi dunque lungo tempo, stando sempre nel mio quartiere a Versailles. Finalmente giunse il giorno che io ebbi ordine di recarmi da madama Elisabetta. Questa giovine vivace, allegra, amabile, era in età più adattata al divertimento che alla occupazione. Ritrovatomi qualche volta presente alle sue lezioni di lingua latina, mi ero benissimo accorto che ella aveva molte disposizioni per imparare, ma che le rincresceva di approfondire le difficoltà spinose. Seguitai a un bel circa il metodo da me adottato per la principessa di Piemonte, nè la tormentai con declinazioni e coniugazioni che le avrebbero recato fastidio. Essa voleva fare della sua occupazione un divertimento: onde procurai che le mie lezioni fossero dilettevoli trattenimenti. Si leggevano ispesso le mie commedie: e nelle scene a due personaggi, ne facevano la lettura la principessa e la sua dama d’onore, traducendo ognuna la sua parte; e se erano a tre, vi suppliva la dama di conversazione; e se ve ne erano di più, traduceva io tutte le altre. Questo esercizio era utile e piacevole; ma si può egli sperare che la gioventù si diverta per lungo tempo di una cosa medesima? Passammo dalla prosa ai versi: e il Metastasio tenne occupata la mia augusta scolara per qualche tempo. Mi davo tutta la cura per contentarla, ed essa lo meritava; questo era il servizio più dolce e piacevole del mondo.

Ma io invecchiavo, e l’aria di Versailles non mi era più favorevole; i venti che vi dominano e che vi soffiano quasi perpetuamente, assalivano i miei nervi, risvegliavano le mie antiche malinconie e mi cagionavano palpitazioni di cuore; sicchè fui costretto ad abbandonare la Corte, e ritirarmi in Parigi, ove respirai un’aria meno pungente, e più confacente al mio temperamento. Mio nipote, benchè impiegato nel dipartimento della guerra, poteva benissimo prendere il mio posto; egli lo aveva già occupato con le principesse, ed ero sicuro di tutto il favore di madama Elisabetta. Era questo il momento di accomodare le cose mie; nè rimasi ozioso in tale occasione. Presentai subito al re una memoria protetta dalle principesse. La regina ebbe la bontà di adoprarsi a mio favore, ed il re ebbe quella di concedermi sei mila franchi di gratificazione straordinaria, ed un onorario di mille dugento franchi annui in testa a mio nipote. Amici, voi che avete rimproverato tanto il mio ritegno e la mia pazienza, vedete adesso, se ho avuto torto d’aspettar tutto dalla benignità del re; mirate i suoi nuovi benefizi: trovate voi mediocre la ricompensa? Ma che ho io mai fatto per meritarne una più considerevole?