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332 | parte terza |
nulla, e nulla aveva ricevuto; ma nella persuasione che io non avrei perduto nulla, me ne stavo tranquillo, nè ardivo far parola. Varie persone che s’adopravano per me, impazientite del mio silenzio, non perdettero tempo per sapere a quale partito dovessi attenermi: esse avevano più coraggio di me, e la loro mediazione mi fu utilissima.
Si credeva alla corte che la mia pensione di tremila seicento franchi mi obbligasse al servizio di tutta la famiglia reale, ignorandosi essere questa una ricompensa largitami per avere insegnato l’italiano alle principesse; onde gl’incaricati delle spese riguardanti la principessa di Piemonte furono convinti che io dovessi essere remunerato, ma siccome gli affari che appartenevano a questa signora erano terminati, fui perciò obbligato ad aspettare. Dovevo essere nuovamente impiegato dalla principessa Elisabetta, altra sorella del re, alla quale occasione dovevo serbare le mie domande. Attesi dunque lungo tempo, stando sempre nel mio quartiere a Versailles. Finalmente giunse il giorno che io ebbi ordine di recarmi da madama Elisabetta. Questa giovine vivace, allegra, amabile, era in età più adattata al divertimento che alla occupazione. Ritrovatomi qualche volta presente alle sue lezioni di lingua latina, mi ero benissimo accorto che ella aveva molte disposizioni per imparare, ma che le rincresceva di approfondire le difficoltà spinose. Seguitai a un bel circa il metodo da me adottato per la principessa di Piemonte, nè la tormentai con declinazioni e coniugazioni che le avrebbero recato fastidio. Essa voleva fare della sua occupazione un divertimento: onde procurai che le mie lezioni fossero dilettevoli trattenimenti. Si leggevano ispesso le mie commedie: e nelle scene a due personaggi, ne facevano la lettura la principessa e la sua dama d’onore, traducendo ognuna la sua parte; e se erano a tre, vi suppliva la dama di conversazione; e se ve ne erano di più, traduceva io tutte le altre. Questo esercizio era utile e piacevole; ma si può egli sperare che la gioventù si diverta per lungo tempo di una cosa medesima? Passammo dalla prosa ai versi: e il Metastasio tenne occupata la mia augusta scolara per qualche tempo. Mi davo tutta la cura per contentarla, ed essa lo meritava; questo era il servizio più dolce e piacevole del mondo.
Ma io invecchiavo, e l’aria di Versailles non mi era più favorevole; i venti che vi dominano e che vi soffiano quasi perpetuamente, assalivano i miei nervi, risvegliavano le mie antiche malinconie e mi cagionavano palpitazioni di cuore; sicchè fui costretto ad abbandonare la Corte, e ritirarmi in Parigi, ove respirai un’aria meno pungente, e più confacente al mio temperamento. Mio nipote, benchè impiegato nel dipartimento della guerra, poteva benissimo prendere il mio posto; egli lo aveva già occupato con le principesse, ed ero sicuro di tutto il favore di madama Elisabetta. Era questo il momento di accomodare le cose mie; nè rimasi ozioso in tale occasione. Presentai subito al re una memoria protetta dalle principesse. La regina ebbe la bontà di adoprarsi a mio favore, ed il re ebbe quella di concedermi sei mila franchi di gratificazione straordinaria, ed un onorario di mille dugento franchi annui in testa a mio nipote. Amici, voi che avete rimproverato tanto il mio ritegno e la mia pazienza, vedete adesso, se ho avuto torto d’aspettar tutto dalla benignità del re; mirate i suoi nuovi benefizi: trovate voi mediocre la ricompensa? Ma che ho io mai fatto per meritarne una più considerevole?