Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/VIII
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CAPITOLO VIII.
- Mio alloggio a Versailles. — Viaggetto della Corte a Marly. — Alcune osservazioni sopra questo luogo delizioso. — Il gran viaggio della Corte a Compiègne. — Alcune parole sopra questa città e le campagne di quell’anno. — Morte dell’infante don Filippo duca di Parma. — Mio viaggio a Chantilly.
A capo a sei mesi del mio impiego, ebbi l’alloggio nel castello di Versailles, ove mi fu assegnato l’appartamento destinato al chirurgo ostetrico della principessa Delfina. Di questo appartamento ella poteva disporre a suo talento, atteso il cattivo stato di salute in cui allora trovavasi il principe Delfino. Nel mese di maggio di quell’istesso anno 1765 ebbe luogo un viaggetto a Marly; io pure seguitai le principesse, e per conseguenza godetti di quel delizioso soggiorno. Dopo avere veduto il giardino delle Tuileries, ed il parco di Versailles, credevo che verun’altra cosa in simil genere fosse capace di recarmi maraviglia; ciò nonostante, la situazione e l’amenità del giardino di Marly, mi fecero tale impressione, che ero quasi per dare la preferenza a questo luogo d’incanto, se la memoria della vastità e delle ricchezze degli altri non avesse posto un freno a’ miei confronti. Tutti coloro che han veduto questo castello, il suo giardino, il suo immenso parterre, i deliziosi suoi spartimenti, i suoi vaghi disegni, i diversi scherzi e le varie cascate d’acqua, debbono rendermi giustizia; ed oltre a ciò, il mio parere è appoggiato a tutte le descrizioni esatte che noi ne abbiamo. Quello però che sommamente accresce il piacere e la delizia di questa villeggiatura, è la sala da giuoco. Tutti, purchè conosciuti, possono avervi libero ingresso, ed havvi poi uno spazio balaustrato per quelli che non vogliono, o non possono penetrare nel circolo. Quanto a me, preferii il posto nel balaustro, per esser meglio a portata di vedere per la prima volta in quel magnifico salone l’arrivo del re e del suo sèguito. E fu veramente un colpo d’occhio dei più maravigliosi, quando entrò in questa stanza il re, seguito dalla regina, dai principi e dalle principesse, e da tutto il suo corteggio, col quale andò subito a prender posto a una gran tavola, circondata da quanto vi ha di più grande nel regno. In quel giorno la regina faceva la sua partita al cavagnol; e la Delfina con le altre principesse di Francia si divertivano a diversi altri giuochi. Sono scorto là dove io mi era collocato; sono invitato a scendere; ed eccomi ad un tratto confuso nella folla dei signori, dei duchi, dei ministri, dei magistrati. Al tavolino del re, dove ciascuno teneva a vicenda il suo banco, si giuocava al giuoco detto il lansquenet. Si diceva che Luigi XV fosse fortunatissimo nel giuoco; aspettai che toccasse a lui a tenere il banco; giuocai sei luigi per conto mio in favor del banco, e vinsi.
Il re parte, e la famiglia reale lo sèguita. Rimangono però tutti gli altri, e si giuoca allora come si vuole, e di quanto si vuole. Fuvvi infatti una dama che si trattenne al suo tavolino un giorno e due notti, ordinando di tempo in tempo cioccolata e biscottini, affine di alimentare il suo stomaco e la sua passione. Nonostante i piaceri che formavano lo scopo principale di codesta dilettevole villeggiatura, avevo però ogni giorno le mie ore fisse, per occuparmi con le principesse. Incontro un giorno una delle mie auguste scolare mentre passava per andare a tavola; mi guarda e mi dice: A tantót. Tantosto in italiano è l’istessa cosa che immediatamente; onde secondo il significato di questa parola, credetti che la principessa volesse prender lezione appena esciva da pranzo; però mi trattengo, e aspetto con quella pazienza che l’appetito potea permettermi; finalmente all’ore quattro della sera la prima cameriera mi fa entrare. La principessa, aprendo il libro, mi fa l’interrogazione che aveva costume di farmi quasi ogni giorno; mi domanda, ove quella mattina ero stato a pranzo. — In verun luogo, principessa — io le risposi. — Come! (ella riprese) non avete ancor desinato? — No, principessa. — Vi sentite male? — Principessa, no. — O dunque, per qual ragione non avete desinato? — Perchè ella, principessa, mi fece l’onore di dirmi à tantót. — Ebbene, questa parola detta alle due, non vuol dire almeno a quattr’ore dopo mezzodì? — Può essere, ma in italiano vuol dire immediatamente. Ella ride a queste parole, chiude il libro, e mi manda a desinare. Benchè parecchi vocaboli francesi abbiano molta somiglianza cogli italiani, il loro significato però è affatto differente; ond’io prendeva spesso dei qui pro quo: e posso ben dire che quel poco di francese ch’io so, l’ho acquistato nei soli tre anni del mio impiego allato alle principesse di Francia. Leggevano esse i poeti e prosatori italiani, ed io balbettava una cattiva traduzione dei medesimi in francese, ch’elleno ripetevano con grazia ed eleganza; così il maestro imparava più di quello che potesse insegnare.
Ritornato a Versailles, la salute del principe Delfino pareva che andasse molto meglio; e siccome amava assai la musica, la principessa Delfina teneva nel proprio palazzo accademie per divertirlo. In tale occasione composi una cantata italiana; e fattane scrivere la musica ad un maestro italiano, la presentai a questa principessa, che nell’accettarla mi ordinò con somma bontà d’andarne ad ascoltare l’esecuzione dopo cena del suo appartamento. In quest’occasione imparai un’etichetta di corte, che per l’avanti mi era ignota. Entro nelle stanze reali verso le dieci ore di sera, e presentatomi alla porta della stanza dei nobili, non mi viene dall’usciere impedito l’ingresso. Siccome il Delfino e la Delfina erano tuttavia a tavola, prendo posto ancor io in quella stanza per il piacere di vederli cenare; quando mi si appressa una dama di servizio, e mi domanda se io aveva il permesso per l’ingresso della sera. — Non so (le risposi) qual differenza passi dall’ingresso del giorno a quello della sera: è la principessa stessa che m’ha dato ordine di venire nel suo appartamento dopo cena. Sono forse venuto troppo presto; ma non sapevo l’etichetta. — Signore (riprese allora la dama), non l’ho detto per voi, voi ci potete restare liberamente. — Confesso che in questa occasione il mio amor proprio non restò mal soddisfatto. Rimango, e rientrati di nuovo il principe e la principessa nella loro stanza, son chiamato, e si dà principio alla mia cantata. La Delfina era al cembalo, la principessa Adelaide accompagnava col violino, e la signorina Ardy (oggi signora di la Brusse) cantava. La musica piacque, e l’autore delle parole ricevè tutte le espressioni e i complimenti con la maggior modestia. Ero per andarmene, ma il Delfino ebbe la bontà di farmi restare; cantò egli pure, ed io godei l’onore di ascoltarlo. Ma che cantò egli mai? un’aria patetica, tratta da un oratorio intitolato Il Pellegrino al Sepolcro. Un giorno più dell’altro questo principe andava perdendo la salute. Si faceva però coraggio, e la brama di tener quieta sul suo stato la corte, gli somministrava forze in pubblico, mentre egli soffriva in segreto.
Il re andava regolarmente tutti gli anni a passare nell’estate sei settimane a Compiègne, ed altrettante nell’autunno a Fontainebleau. Queste villeggiature si chiamano in Francia les grands voyages, poichè ci vanno tutti i dipartimenti e le cancellerie dei ministri, come pure i grand’uffiziali della corona ed i ministri esteri. Tutte e due queste villeggiature ebbero luogo in quell’anno 1765 dopo il piccolo viaggio di Marly, e quella di Compiègne fu assolutamente una delle più magnifiche. Vi si fecero venire molti reggimenti e nazionali ed esteri al servizio della corona di Francia, ciascuno dei quali, a vicenda, e in diversi giorni formava campi di battaglia nei dintorni della città, ove facevansi esercizi a fuoco con altre militari evoluzioni, che la tattica sapeva proporzionare al sito, e l’emulazione e la presenza del sovrano ne rendevano anche più esatta l’esecuzione. Erano ancora più attrattive le rassegne, a motivo del corteggio del re. Questo monarca cavalcava un eccellente cavallo, ed era seguito da una comitiva numerosissima di cavalieri, riccamente ornati; seguivano quindi in carrozze della più grande magnificenza la regina, la Delfina ed il resto della famiglia reale. Le principesse del sangue, come pure le dame di corte, aumentavano la pompa di questo sfarzoso sèguito; e metteva il colmo alla grandezza dello spettacolo l’affluenza del popolo che vi concorreva da ogni parte. Il Delfino, colonnello del reggimento Delfino dei dragoni, comandò da sè stesso la rassegna particolare del suo reggimento il giorno innanzi in cui dovesse comparire davanti al re. Dopo un esercizio così lungo e laborioso, di cui era stato testimone io medesimo, e nel quale il principe aveva fatto sforzi da farmi tremare, ritorno al castello in una carrozza della corte, e mi pongo solo solo nel vacuo d’una porta affine di vedere il ritorno di questo principe nel suo palazzo. Giunge, mi vede, e fissatomi lo sguardo con una specie di fierezza guerriera: osservatemi (pareva volesse dirmi), io son forte, son robusto, mi sento bene; — ma era uno spirito vigoroso, che animava un languido corpo. In quest’anno medesimo, e nel tempo di questa villeggiatura, un corriere, proveniente da Parma, recò la trista nuova della morte dell’infante don Filippo, mio protettore e padrone; la corte di Francia prese il bruno per tre mesi: ma io però lo portai per più lungo tempo, come sempre lo porto nel cuore. Non era l’interesse che eccitava in me il dolore della sua perdita: conoscevo troppo bene la bontà dell’Infante suo figlio, e potevo viver sicuro che mi avrebbe continuato la sua protezione e benevolenza; ma compiangevo la perdita di un principe buono, saggio, giusto e amorevole; come sarebbero stati anche più da compiangere i Parmigiani, se il duca regnante non avesse riparato una tal perdita seguendo le tracce e le virtù stesse del genitore. Ben mi ricordo di aver parlato di questo principe, e con i medesimi sentimenti nella seconda parte delle presenti mie Memorie; pure non si trovi ora inutile tale ripetizione; non si dice mai troppo, allorchè si tratta di fare onore alla verità. Pochi giorni dopo vidi a Compiègne il signor conte di Argental, ministro plenipotenziario della corte di Parma a Parigi, il quale mi assicurò che mi sarebbe stata continuata la pensione, e la fece ancor trasportare, per mia maggiore comodità, dal tesoro di Parma a Parigi. Questa è la minore fra le obbligazioni che io professo al signor d’Argental, a quest’amico di Voltaire, amabilissimo e dottissimo; da cui sono stato sempre e favorito e protetto; nella cui casa vi è stato sempre per me un posto alla sua tavola, ed accesso a quel grazioso spettacolo, che egli dà di tempo in tempo nel suo teatrino privato, ove ammirai l’azione e le opere del signor cavaliere di Florian, non meno che le grazie e l’ingegno della signora di Vimeux.
Il viaggio di Compiègne aveva avuto principio con un’apparenza di gioia, ma disponevasi ad aver termine con una tristezza reale. La salute del Delfino andava di male in peggio: egli credeva che il moto potesse giovargli; quando, all’opposto, le fatiche lo spossavano sempre più. Frattanto, perduto un protettore, e nella imminenza di perderne un altro, ero tristo, nè trovavo nel luogo di mia dimora cosa alcuna che mi rallegrasse. La foresta di Compiègne è magnifica, eppure mi compariva troppo artefatta, troppo uniforme, troppo lungi dalla città. Non mi mancavano, è vero, conversazioni, ma eran tutti melanconici come me; onde io stesso temevo della mia salute, giacchè andava nuovamente ad accendersi il tetro fuoco dell’antica mia malinconia, cercavo da pertutto qualche piacevole distrazione, e finalmente ne incontrai una graziosa a Chantilly. Fu questa la strada, che io tenni per ritornare a Versailles; godei per due giornate il delizioso soggiorno di quel castello appartenente al principe di Condé. Che bellezza! quante ricchezze! che felice posizione! che abbondanza d’acque! Non stetti già a perder tempo. Vidi tutto, esaminai tutto, i giardini, le scuderie, gli appartamenti, le pitture, il gabinetto di storia naturale. Quest’immensa collezione di quanto vi ha di più raro nel triplice regno della natura, è opera del signor Valmont de Bomare, e questo celebre naturalista ne è direttore o dimostratore. Partii adunque da Chantilly contentissimo: mi sentivo sollevato, e ritornai a Versailles in istato di adempiere alle mie incombenze alla corte.