settimane a Compiègne, ed altrettante nell’autunno a Fontainebleau. Queste villeggiature si chiamano in Francia les grands voyages, poichè ci vanno tutti i dipartimenti e le cancellerie dei ministri, come pure i grand’uffiziali della corona ed i ministri esteri. Tutte e due queste villeggiature ebbero luogo in quell’anno 1765 dopo il piccolo viaggio di Marly, e quella di Compiègne fu assolutamente una delle più magnifiche. Vi si fecero venire molti reggimenti e nazionali ed esteri al servizio della corona di Francia, ciascuno dei quali, a vicenda, e in diversi giorni formava campi di battaglia nei dintorni della città, ove facevansi esercizi a fuoco con altre militari evoluzioni, che la tattica sapeva proporzionare al sito, e l’emulazione e la presenza del sovrano ne rendevano anche più esatta l’esecuzione. Erano ancora più attrattive le rassegne, a motivo del corteggio del re. Questo monarca cavalcava un eccellente cavallo, ed era seguito da una comitiva numerosissima di cavalieri, riccamente ornati; seguivano quindi in carrozze della più grande magnificenza la regina, la Delfina ed il resto della famiglia reale. Le principesse del sangue, come pure le dame di corte, aumentavano la pompa di questo sfarzoso sèguito; e metteva il colmo alla grandezza dello spettacolo l’affluenza del popolo che vi concorreva da ogni parte. Il Delfino, colonnello del reggimento Delfino dei dragoni, comandò da sè stesso la rassegna particolare del suo reggimento il giorno innanzi in cui dovesse comparire davanti al re. Dopo un esercizio così lungo e laborioso, di cui era stato testimone io medesimo, e nel quale il principe aveva fatto sforzi da farmi tremare, ritorno al castello in una carrozza della corte, e mi pongo solo solo nel vacuo d’una porta affine di vedere il ritorno di questo principe nel suo palazzo. Giunge, mi vede, e fissatomi lo sguardo con una specie di fierezza guerriera: osservatemi (pareva volesse dirmi), io son forte, son robusto, mi sento bene; — ma era uno spirito vigoroso, che animava un languido corpo. In quest’anno medesimo, e nel tempo di questa villeggiatura, un corriere, proveniente da Parma, recò la trista nuova della morte dell’infante don Filippo, mio protettore e padrone; la corte di Francia prese il bruno per tre mesi: ma io però lo portai per più lungo tempo, come sempre lo porto nel cuore. Non era l’interesse che eccitava in me il dolore della sua perdita: conoscevo troppo bene la bontà dell’Infante suo figlio, e potevo viver sicuro che mi avrebbe continuato la sua protezione e benevolenza; ma compiangevo la perdita di un principe buono, saggio, giusto e amorevole; come sarebbero stati anche più da compiangere i Parmigiani, se il duca regnante non avesse riparato una tal perdita seguendo le tracce e le virtù stesse del genitore. Ben mi ricordo di aver parlato di questo principe, e con i medesimi sentimenti nella seconda parte delle presenti mie Memorie; pure non si trovi ora inutile tale ripetizione; non si dice mai troppo, allorchè si tratta di fare onore alla verità. Pochi giorni dopo vidi a Compiègne il signor conte di Argental, ministro plenipotenziario della corte di Parma a Parigi, il quale mi assicurò che mi sarebbe stata continuata la pensione, e la fece ancor trasportare, per mia maggiore comodità, dal tesoro di Parma a Parigi. Questa è la minore fra le obbligazioni che io professo al signor d’Argental, a quest’amico di Voltaire, amabilissimo e dottissimo; da cui sono stato sempre e favorito e protetto; nella cui casa vi è stato sempre per me un posto alla sua tavola, ed accesso a quel grazioso spettacolo, che egli dà di tempo in tempo nel suo teatrino privato, ove ammirai l’azione e le opere del signor cavaliere di Flo-