Memorie di Carlo Goldoni/Parte seconda/XXXI

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
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Parte seconda - XXX Parte seconda - XXXII

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CAPITOLO XXXI.

Mio viaggio a Parma. — Tre opere comiche composte per ordine di S. A. R. — La buona Figlia, Il Festino ed I Viaggiatori ridicoli. — I tre maestri di cappella che ne scrissero la musica. — Mio ritorno a Venezia con un titolo ed una pensione. — Il Padre per amore, commedia in versi di cinque atti. — La Guerra, commedia di tre atti in prosa. — Il Medico Olandese, commedia di tre atti in prosa.

Nel mese di marzo dell’anno 1756 fui chiamato a Parma per ordine di S. A. R. l’Infante don Filippo. Questo principe, che teneva di guarnigione una truppa francese numerosissima e benissimo disciplinata, volea esso pure avere un’opera comica italiana. Mi fece dunque l’onore d’incaricarmi di tre composizioni per l’apertura di quel nuovo spettacolo. Giunto a Parma fui condotto a Colorno, ov’era la corte, e fui presentato al signor Du Tillot, allora sopraintendente generale degli affari domestici di S. A. R., e che in séguito divenne ministro di Stato, e fu decorato del titolo di Marchese di Felino. Questo bravo e degno [p. 230 modifica] Francese, pieno di vivacità, di ingegno e probità, mi accolse benignamente, mi diede un bellissimo appartamento, mi assegnò un posto alla sua tavola, e m’indirizzò per le necessarie istruzioni al signor Jacobi, incaricato della direzione degli spettacoli. Andai l’istesso giorno alla commedia della Corte, e fu questa la prima volta che vidi comici francesi; rimasi incantato dalla loro maniera e sommamente maravigliato del silenzio che regnava nella platea. Ora non mi ricordo qual fosse la commedia che si recitava in quel giorno; mi rammento bensì che vedendo in una scena il primo amoroso abbracciare con ardore la sua amante, questa naturalissima azione lecita ai Francesi e proibita agl’Italiani, mi piacque a tal segno, che gridai quanto potei: Bravo! — La mia indiscreta ed incognita voce irritò subito la taciturna assemblea; il principe volle sapere donde veniva; dovetti dunque esser nominato, e si trovò degna di scusa la maraviglia di un autore italiano. Questa scappata mi procurò per altro il vantaggio di essere presentato a tutto il pubblico; dimodochè essendomi portato dopo lo spettacolo nelle sale del ridotto, mi vidi circondato da moltissima gente, e feci conoscenze che mi resero in séguito il soggiorno di Parma piacevolissimo, talchè ne partii poi con rammarico. Ebbi anche l’onore pochi giorni dopo di baciare la mano all’Infante, alla Infanta ed alla Principessa Reale loro figlia. Godei per qualche tempo le delizie di Colorno, e mi ritirai in séguito a Parma per intraprendere con tutta tranquillità il lavoro commessomi. Terminai le tre commedie ordinatemi: la prima fu La buona Figlia, la seconda Il Festino, la terza I Viaggiatori ridicoli. Il soggetto della Buona Figlia lo ricavai dalla mia commedia di Pamela, e il signor Duni ne fece la musica. L’opera incontrò molto, e sarebbe incontrata anche di più, se migliore fosse stata l’esecuzione; ma troppo tardi fu preso l’impegno di trovare buoni attori. Però questa medesima opera ebbe una sorte migliore in mano del signor Piccini, che, alcuni anni dopo, avendo avuto la commissione di un’opera comica per Roma, preferì questo vecchio dramma a tutti i nuovi che gli vennero proposti. Dal signor Ferradini poi fu scritta la musica del Festino; ed il signor Mazzoni scrisse quella dei Viaggiatori ridicoli. Questi due maestri di cappella riuscirono entrambi perfettamente; poichè i sopradetti drammi furono bene accolti tanto alla lettura, come alla rappresentazione; con tutto questo però non bastavano gli sforzi dei compositori per supplire ai difetti degli attori, e trattandosi dell’opera comica principalmente, ho veduto spesso le opere mediocri sostenersi per solo effetto della buona esecuzione, e all’opposto rarissimamente riuscire le buone opere eseguite male.

In quanto a me, la commissione fu onorevolissima e fortunata, poichè venni largamente remunerato del mio tempo e delle mie fatiche; e partii da Parma con la patente di Poeta e di persona addetta all’attual servizio di S. A. R. con pensione annua, che anche il duca regnante ebbe la clemenza di mantenermi.

Nel tempo del mio soggiorno a Parma non perdei di vista i miei comici di Venezia. Veduta rappresentare dagli attori francesi Cénie, commedia della signora di Graffignì, fu da me trovata bellissima, e su quel modello ne feci un’altra in italiano col titolo, Il Padre per amore. Tenni dietro all’autrice francese per quanto una composizione straniera poteva uniformarsi al gusto italiano. Cénie non era che un dramma effettuosissimo e dilettevolissimo, ma privo affatto di energia comica.

Un aneddoto da me letto nella raccolta delle Cause celebri mi [p. 231 modifica]somministrò il mezzo di ravvivarlo. Due nasi mostruosi, e somigliantissimi nella loro deformità, avevano dato luogo ad un processo, che aveva tenuto nel più grande imbroglio per molto tempo e i difensori e i giudici. Applicai pertanto uno di questi due nasi al marito della governante, e l’altro all’impostore che voleva soppiantarla. Chi conosce la composizione francese potrà giudicare se io l’abbia guastata, o resa piacevole senza recar pregiudizio alla nobiltà ed importanza del soggetto. Vero è che gl’Italiani non si accorsero che fosse un’imitazione; ma io lo dissi a tutti, credendomi abbastanza onorato di dividere gli applausi con una donna rispettabile, che faceva onore alla sua nazione in egual modo che al sesso.

La vista di Parma mi aveva anche richiamato alla memoria la battaglia che vi avevo veduta nel 1746; laonde per variare soggetti nelle mie opere composi una commedia intitolata: La Guerra. Avevo trattato un tema di questa sorte nella commedia: Dell’Amante militare; ma troppe cose mi restavano tuttavia da dire su tale argomento, onde mi estesi in questa assai più che nell’altra. L’azione principale di essa è l’assedio di una fortezza; ed il luogo della scena è ora al campo degli assedianti, ora nella piazza assediata. Da me non si nominano nè il luogo, nè le potenze belligeranti, per evitar così l’inconveniente di dispiacere alla nazione alla quale venisse in idea di essere stata nella mia composizione meno ben trattata. Questa composizione è più comica che importante. Il quadro dell’armistizio delineato dietro le tracce di quello da me veduto all’assedio di Pizzighettone, forma un colpo d’occhio maraviglioso, e che diffonde molta vivezza nella commedia. Vi è un luogotenente storpiato, il quale, malgrado le sue grucce, vuol essere a parte di tutti i divertimenti, si batte qual paladino e vuole far fronte a tutte le donne del paese. Non tratto con troppo riguardo un commissario di guerra, che anticipava le paghe agli uffiziali con un interesse proporzionato ai rischi della guerra. Ebbi forse torto, ma non mi ero per altro levato nulla di capo, poichè me n’era stato parlato, mi era stato fatto conoscere, e per questo lo misi in scena senza nominarlo. Tale commedia non lascia di avere i suoi innamoramenti; ve ne sono nel campo, ve ne sono nella città: si vedono uffiziali arditi, famiglie in disordine; ma la pace tutto accomoda, e con la pace appunto si pone termine alla commedia. La Guerra ebbe un successo sufficiente, e si sostenne sino alla fine dell’autunno, ma la commedia che le successe e che fece l’apertura del carnevale, fu molto più fortunata, e produsse molto più guadagno ai comici e contento all’autore: questa fu Il Medico olandese. Feci a Colorno la conoscenza del signor Duni. Quest’uomo, che indipendentemente dal suo ingegno aveva molto brio e molta letteratura, era stato soggetto agl’istessi vapori ipocondriaci di me. Facevamo perciò lunghe passeggiate insieme, e i nostri discorsi andavano quasi sempre a cadere sopra i nostri mali, ora reali, e bene spesso immaginari. Mi raccontò un giorno, che era stato a Leida in Olanda per vedere il celebre Boerrhaave, e consultarlo intorno ai sintomi della sua malattia. Quest’uomo tanto rinomato, a cui venivan lettere fino dalla China con questa direzione.: Al signor Boerrhaave in Europa, aveva un’egual cognizione sia delle malattie del corpo come dello spirito; onde propose per unico rimedio all’ipocondriaco professore di musica di cavalcare, divertirsi e vivere secondo il suo solito, guardandosi da qualunque specie di medicamento.

Questa ordinazione mi parve del tutto uniforme a quella del mio [p. 232 modifica] medico di Milano, da cui venni risanato con l’apologo del fanciullo. Feci l’elogio del dotto olandese; anzi il Duni, che lo aveva veduto per più mesi, mi raccontò varie particolarità de’ suoi usi e de’ suoi costumi, e mi parlò della signorina Boerrhaave, ch’era giovine, ricca, bella, e non ancor maritata. Di discorso in discorso venne il mio amico a far parola sull’educazione delle signorine olandesi; le quali, incapaci di mancare ai loro doveri, godono una deliziosa libertà, ed ordinariamente non si maritano che per ragioni di convenienza. L’ascoltai con molta attenzione, e mi formai in mente alcuni embrioni di commedia che vidi poi nascere a poco a poco col soccorso della riflessione e della morale.

Occultai bensì in questa commedia il nome di Boerrhaave sotto quello di Bainer, medico e filosofo olandese. Feci andare alla casa di lui un Polacco che soffriva la stessa malattia del signor Duni che da Bainer vien trattato nel modo istesso; ma alla fin dei conti questo Polacco sposa la figlia del medico.

Il Duni vide la mia commedia qualche tempo dopo, ed avrebbe voluto essere stato guarito come il malinconico del Nord; ma la musica non fa in Olanda la fortuna istessa che fa a Londra e a Parigi.