Memorie di Carlo Goldoni/Parte seconda/XXX

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
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Parte seconda - XXIX Parte seconda - XXXI

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CAPITOLO XXX.

La Peruviana, commedia in versi di cinque atti. — Un curioso accidente, commedia in prosa di tre atti. — Suo buon successo. — La Donna di maneggio, commedia in tre atti in prosa. — Suo felice successo. — L’Impresario di Smirne, commedia in tre atti ed in prosa. — Le Donne di casa soa, commedia sul gusto veneziano di cinque atti in versi.

Avendo dato di séguito gli estratti di tre commedie rappresentate in tre anni diversi, bisogna adesso ritornare all’anno 1755. La prima che io esposi fu La Peruviana: a tutti è noto il romanzo intitolato: Lettere di una Peruviana; ne seguitai le tracce ravvicinandone gli oggetti principali. Procurai d’imitare lo stile semplice e naturale di Zilia, nè punto mi scostai dall’originale della signora di Graffigni. Ne feci una commedia romanzesca, ebbi la sorte di riuscirvi; ma non istarò qui a dar l’estratto di una composizione il cui fondo è troppo noto. A questa ne feci succedere un’altra in prosa: ed ebbe per titolo: Un Curioso Accidente. Il fatto è vero; questo curioso e singolare accidente era successo a un grosso negoziante olandese, e due de’ suoi corrispondenti in Venezia me lo parteciparono appunto come soggetto adattato per la commedia: altro dunque non feci che mutare il luogo della scena, e mascherare i nomi, di buon grado prestandomi a delineare il quadro senza però recare offesa alcuna agli originali.

Filiberto, ricco negoziante olandese, alloggia in sua casa il signor De la Cotterie, giovine uffiziale francese, prigioniero di guerra e ferito, che gli è stato raccomandato da un suo corrispondente di Parigi.

Filiberto aveva preso affetto al suo ospite alla maniera degli Olandesi, che vivamente e col più intenso sentimento del cuore si affezionano a chi abbiano essi una volta concesso la loro amicizia. Questo negoziante ha una figlia da maritare, chiamata Giannina, ch’è savia, ma è donna; e De la Cotterie è onoratissimo, ma è giovine. A proporzione che egli vede guarire le sue ferite, sente divenir più pericolose quelle del cuore; teme perciò le conseguenze di un amor nascente, conosce il suo stato, vede l’impossibilità di sposare una signorina ricchissima; onde si determina di partire. La scena è aperta da Guascogna suo cameriere, che sta facendo i fagotti per la partenza del padrone: Marianna, cameriera di Giannina, che ha delle pretensioni sul servitor francese, si lamenta di questa precipitosa risoluzione; si trattiene seco lui a discorso, e [p. 228 modifica] questo colloquio forma appunto l’argomento della commedia. Filiberto non ha neppure l’ombra del dubbio che possa esservi una reciproca inclinazione tra la sua figlia ed il giovine uffiziale; ma vedendo questo giovine già lasciato dal medico e dal chirurgo divenir malinconico ed afflitto un giorno più dell’altro, sospetta che alcuni taciti disgusti gli cagionino una malattia di cuore, e ne tien discorso alla sua figlia in modo da farle temere che si sospetti esserne lei la cagione. Ma questo buon padre, che l’aveva già promessa in matrimonio ad un giovine molto ricco, che di momento in momento era aspettato di ritorno dalle Indie, troppo ha fiducia nella virtù di sua figlia per dubitarne: inclina piuttosto a credere che il giovine uffiziale ami Costanza, amica di Giannina; ed essa ponendo in dimenticanza la buona fede che sommamente regna fra le donne della sua nazione, profitta dell’errore di suo padre, confessando che De la Cotterie ama realmente Costanza, ma che per essere il padre di lei ricchissimo e scortesissimo finanziere, dispera di poterne giungere al conseguimento. Filiberto ne parla a De la Cotterie, che, essendo già avvertito da Giannina, conferma l’asserzione di lei: il negoziante dunque s’incarica di farne la dimanda; ma il venal finanziere ricusa subito il partito. Filiberto n’è irritato, ed in vendetta consiglia l’uffiziale a portar via Costanza, e gli somminstra il danaro occorrente per effettuare il disegno. Il giovine profitta del consiglio, riceve il danaro, e rapisce invece la figlia di Filiberto. Fin qui il fatto storico; io poi l’aveva adornato e rifiorito in una maniera decente e assai piacevole. Figurai che la signorina rapita fosse nascosta in casa di una zia, ponendo così il padre nel caso di esser forzato a concederla al rapitore: come però trovare il modo di giustificarlo? qui veramente mi costò un poco di fatica: un uomo onorato, un militare... Ne sono escito però molto bene. L’età, l’amore, la comodità, il consiglio del padre... In una parola, leggete la commedia, e vedrete che a tutto è pensato, a tutto vi è risposta. Essa ebbe un pienissimo incontro. Se ne giudicò assai delicata la condotta, finissimo e molto piacevole il lavoro; vi sono scene ed equivoci che nascono spontaneamente e si sostengono senza sforzo, talchè essa pure è una delle mie commedie favorite.

Eccovene però un’altra che incontrò anche di più, ed è La Donna di maneggio, commedia di tre atti in prosa. Donna Giulia, moglie di don Properzio, è una dama di qualità, che per il suo ingegno e le sue amabili maniere gode la stima de’ suoi eguali e la protezione della Corte. Ella è attiva, cortese, generosa, si prende a cuore gli affari altrui come quelli della sua famiglia, protegge le arti e le scienze, solleva i poveri, riconduce la pace nelle famiglie discordi e la consolazione a coloro, i cui affari sono in disordine.

Ecco il ritratto della donna stimabile che forma il protagonista della commedia, e di cui avevo l’originale sotto gli occhi. Non sarebbe possibile che ne dessi l’estratto senza descriverne tutte le particolarità dal principio al fine; dirò dunque soltanto che vi si trova azione, divertimento, caratteri, sospensione, brio comico; chi bene intende l’italiano, non ne sarà scontento.

Alle tre piacevoli commedie da me date, ne feci succedere una quarta di genere totalmente diverso. Questa è L’Impresario di Smirne, commedia di tre atti, ch’era in versi la prima volta che la diedi, e che ebbe poi un maggiore incontro ridotta in prosa, come sta attualmente. Un Turco, chiamato Alì, negoziante di Smirne, si reca per alcuni suoi affari a Venezia; va all’Opera, e gli viene [p. 229 modifica] in idea che uno spettacolo di quella sorte fosse per avere un fortunato successo nel suo paese, ove i forestieri sono in maggior numero dei nazionali: esamina, calcola, ne fa un oggetto di commercio, si dirige a persone che fanno in Italia il mestiero di mediatori di spettacoli, e dà loro la commissione di trovare i soggetti necessari per effettuare i suoi disegni. Ma che imbroglio per un Turco! Fissa quattro cantatrici, e ciascuna di loro pretende la prima parte; perde la pazienza, ne cerca altre, ma le pretensioni son sempre l’istesse. Gli uomini pure di questo mestiero non son già più docili delle donne; anzi s’imbatte in un cantore senza barba che sommamente lo affligge, e lo mette nella maggior disperazione. Il giorno della partenza era fissato, tutti dovean ritrovarsi in un dato luogo per imbarcarsi, e tutti vi si trovano: si aspetta l’Impresario, e invece sua comparisce un uomo con una borsa di danaro che dà l’avviso della partenza di Alì per Smirne, e dà a ciascun musico per parte di questo onorato musulmano un quartale dei loro appuntamenti in cambio dei modi impropri di cui sarebbero piuttosto stati meritevoli. Questa commedia era un’amplissima e completa critica dell’insolenza degli attori e delle attrici, e della pigra impotenza dei direttori: ottenne il più grande incontro. Con una commedia del gusto veneziano intitolata Le Donne di casa soa, che si tradurrebbe in buon toscano Le Donne casalinghe, posi fine al carnevale dell’anno 1755. Essa piacque molto, ed è stata sempre accolta con somma festa ed applauso, e chiuse il teatro nella maniera più splendida e fortunata. Ne darei con piacere l’estratto, e son di sentimento che ne meriterebbe la pena, ma io vado a seconda del tempo; oggi è cattivo, ed io pure son di cattivo umore; e poi il pregio principale di questa commedia consiste nel dialogo; e siccome i Veneziani hanno l’uso di servirsi continuamente nei loro discorsi di lepidezze, paragoni e proverbi, o non sarebbe possibile tradurli, o si tradurrebbero male. Feci questa commedia a bella posta in Italia per dare vie più coraggio alle virtuose massaie, e correggere nel tempo stesso le cattive: se in Francia se ne facesse una simile, essa riescirebbe utile a Parigi, come a Venezia.