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capitolo xxxi | 229 |
in idea che uno spettacolo di quella sorte fosse per avere un fortunato successo nel suo paese, ove i forestieri sono in maggior numero dei nazionali: esamina, calcola, ne fa un oggetto di commercio, si dirige a persone che fanno in Italia il mestiero di mediatori di spettacoli, e dà loro la commissione di trovare i soggetti necessari per effettuare i suoi disegni. Ma che imbroglio per un Turco! Fissa quattro cantatrici, e ciascuna di loro pretende la prima parte; perde la pazienza, ne cerca altre, ma le pretensioni son sempre l’istesse. Gli uomini pure di questo mestiero non son già più docili delle donne; anzi s’imbatte in un cantore senza barba che sommamente lo affligge, e lo mette nella maggior disperazione. Il giorno della partenza era fissato, tutti dovean ritrovarsi in un dato luogo per imbarcarsi, e tutti vi si trovano: si aspetta l’Impresario, e invece sua comparisce un uomo con una borsa di danaro che dà l’avviso della partenza di Alì per Smirne, e dà a ciascun musico per parte di questo onorato musulmano un quartale dei loro appuntamenti in cambio dei modi impropri di cui sarebbero piuttosto stati meritevoli. Questa commedia era un’amplissima e completa critica dell’insolenza degli attori e delle attrici, e della pigra impotenza dei direttori: ottenne il più grande incontro. Con una commedia del gusto veneziano intitolata Le Donne di casa soa, che si tradurrebbe in buon toscano Le Donne casalinghe, posi fine al carnevale dell’anno 1755. Essa piacque molto, ed è stata sempre accolta con somma festa ed applauso, e chiuse il teatro nella maniera più splendida e fortunata. Ne darei con piacere l’estratto, e son di sentimento che ne meriterebbe la pena, ma io vado a seconda del tempo; oggi è cattivo, ed io pure son di cattivo umore; e poi il pregio principale di questa commedia consiste nel dialogo; e siccome i Veneziani hanno l’uso di servirsi continuamente nei loro discorsi di lepidezze, paragoni e proverbi, o non sarebbe possibile tradurli, o si tradurrebbero male. Feci questa commedia a bella posta in Italia per dare vie più coraggio alle virtuose massaie, e correggere nel tempo stesso le cattive: se in Francia se ne facesse una simile, essa riescirebbe utile a Parigi, come a Venezia.
CAPITOLO XXXI.
- Mio viaggio a Parma. — Tre opere comiche composte per ordine di S. A. R. — La buona Figlia, Il Festino ed I Viaggiatori ridicoli. — I tre maestri di cappella che ne scrissero la musica. — Mio ritorno a Venezia con un titolo ed una pensione. — Il Padre per amore, commedia in versi di cinque atti. — La Guerra, commedia di tre atti in prosa. — Il Medico Olandese, commedia di tre atti in prosa.
Nel mese di marzo dell’anno 1756 fui chiamato a Parma per ordine di S. A. R. l’Infante don Filippo. Questo principe, che teneva di guarnigione una truppa francese numerosissima e benissimo disciplinata, volea esso pure avere un’opera comica italiana. Mi fece dunque l’onore d’incaricarmi di tre composizioni per l’apertura di quel nuovo spettacolo. Giunto a Parma fui condotto a Colorno, ov’era la corte, e fui presentato al signor Du Tillot, allora sopraintendente generale degli affari domestici di S. A. R., e che in séguito divenne ministro di Stato, e fu decorato del titolo di Marchese di Felino. Questo bravo e degno