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230 | parte seconda |
Francese, pieno di vivacità, di ingegno e probità, mi accolse benignamente, mi diede un bellissimo appartamento, mi assegnò un posto alla sua tavola, e m’indirizzò per le necessarie istruzioni al signor Jacobi, incaricato della direzione degli spettacoli. Andai l’istesso giorno alla commedia della Corte, e fu questa la prima volta che vidi comici francesi; rimasi incantato dalla loro maniera e sommamente maravigliato del silenzio che regnava nella platea. Ora non mi ricordo qual fosse la commedia che si recitava in quel giorno; mi rammento bensì che vedendo in una scena il primo amoroso abbracciare con ardore la sua amante, questa naturalissima azione lecita ai Francesi e proibita agl’Italiani, mi piacque a tal segno, che gridai quanto potei: Bravo! — La mia indiscreta ed incognita voce irritò subito la taciturna assemblea; il principe volle sapere donde veniva; dovetti dunque esser nominato, e si trovò degna di scusa la maraviglia di un autore italiano. Questa scappata mi procurò per altro il vantaggio di essere presentato a tutto il pubblico; dimodochè essendomi portato dopo lo spettacolo nelle sale del ridotto, mi vidi circondato da moltissima gente, e feci conoscenze che mi resero in séguito il soggiorno di Parma piacevolissimo, talchè ne partii poi con rammarico. Ebbi anche l’onore pochi giorni dopo di baciare la mano all’Infante, alla Infanta ed alla Principessa Reale loro figlia. Godei per qualche tempo le delizie di Colorno, e mi ritirai in séguito a Parma per intraprendere con tutta tranquillità il lavoro commessomi. Terminai le tre commedie ordinatemi: la prima fu La buona Figlia, la seconda Il Festino, la terza I Viaggiatori ridicoli. Il soggetto della Buona Figlia lo ricavai dalla mia commedia di Pamela, e il signor Duni ne fece la musica. L’opera incontrò molto, e sarebbe incontrata anche di più, se migliore fosse stata l’esecuzione; ma troppo tardi fu preso l’impegno di trovare buoni attori. Però questa medesima opera ebbe una sorte migliore in mano del signor Piccini, che, alcuni anni dopo, avendo avuto la commissione di un’opera comica per Roma, preferì questo vecchio dramma a tutti i nuovi che gli vennero proposti. Dal signor Ferradini poi fu scritta la musica del Festino; ed il signor Mazzoni scrisse quella dei Viaggiatori ridicoli. Questi due maestri di cappella riuscirono entrambi perfettamente; poichè i sopradetti drammi furono bene accolti tanto alla lettura, come alla rappresentazione; con tutto questo però non bastavano gli sforzi dei compositori per supplire ai difetti degli attori, e trattandosi dell’opera comica principalmente, ho veduto spesso le opere mediocri sostenersi per solo effetto della buona esecuzione, e all’opposto rarissimamente riuscire le buone opere eseguite male.
In quanto a me, la commissione fu onorevolissima e fortunata, poichè venni largamente remunerato del mio tempo e delle mie fatiche; e partii da Parma con la patente di Poeta e di persona addetta all’attual servizio di S. A. R. con pensione annua, che anche il duca regnante ebbe la clemenza di mantenermi.
Nel tempo del mio soggiorno a Parma non perdei di vista i miei comici di Venezia. Veduta rappresentare dagli attori francesi Cénie, commedia della signora di Graffignì, fu da me trovata bellissima, e su quel modello ne feci un’altra in italiano col titolo, Il Padre per amore. Tenni dietro all’autrice francese per quanto una composizione straniera poteva uniformarsi al gusto italiano. Cénie non era che un dramma effettuosissimo e dilettevolissimo, ma privo affatto di energia comica.
Un aneddoto da me letto nella raccolta delle Cause celebri mi