Memorie di Carlo Goldoni/Parte seconda/XVIII
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CAPITOLO XVIII.
- La Sposa persiana, commedia di cinque atti in versi, e a scena fissa. — Suo estratto. — Suo magnifico successo.
In conseguenza dell’oggetto propostomi andavo in cerca di un argomento che potesse somministrarmi arguzie, diletto, e spettacolo a un tempo stesso. A questo fine aveva percorsa l’istoria delle nazioni moderne del Salmon, tradotta dall’inglese in italiano: non trovai già in quella la favola che forma il soggetto della composizione che avevo disegnata; ma da questo libro esatto, istruttivo e piacevole, ricavai soltanto le leggi, i costumi e gli usi dei Persiani, e dalle narrazioni particolareggiate dell’autore inglese composi la commedia a cui diedi il titolo di Sposa persiana. Il soggetto della medesima non è eroico; consistendo in un ricco finanziere d’Ispahan chiamato Machmut, che impegna a forza Thamas suo figlio a sposar suo malgrado Fatima figlia di Osmano, uffiziale graduato negli eserciti del Sophi. Eccoci ai soliti accidenti delle nostre commedie, una ragazza promessa in matrimonio a un giovine che ha il cuore preoccupato per un’altra. Frattanto i nomi di Fatima, di Machmut, di Thamas annunziavano al pubblico qualche cosa di straordinario, e la sala del finanziere, mobiliata di un sofà e di guanciali alla maomettana, unitamente agli abiti e ai turbanti all’uso orientale, risvegliavano l’idea di una nazione straniera. Ciò che è straniero desta sempre la curiosità. Quello poi che allontana anche di più questa commedia asiatica dalle nostre commedie ordinarie, sono i serragli della casa di Machmut, uno dei quali è per lui, l’altro per il figlio; costume ben diverso dagli usi d’Europa, ove i padri ed i figli possono aver benissimo molte più donne che in Persia, non mai alcun serraglio. Thamas ha nel suo una schiava di Circassia, chiamata Ircana, per cui nutre un tenero affetto: essa, orgogliosa anche in servitù, pretende che il suo amante e padrone non divida le grazie sue con verun’altra donna, neppure con quella destinatagli per moglie dal genitore. Ecco adunque un carattere nuovo affatto per i nostri climi; poichè in Francia come in Italia una favorita non impedirebbe ad un suo amico ch’egli contraesse un utile e decoroso legame, purchè continuasse sempre la pratica di lei, o che le facesse uno stato da consolarla nella sua afflizione. Esaminiamo ora la condotta di questa commedia che fu una delle più felici, che fissò nuovamente l’attenzione del pubblico a mio riguardo, e assicurò la sorte de’ miei nuovi comici. Apre la scena Thamas con Alì suo amico, a cui si manifesta amante d’Ircana, lagnandosi del padre che lo sforza ad avere una moglie. Qui è necessario sapere, o mio lettore, che in Persia i serragli non impediscono agli uomini d’aver mogli legittime, che anzi i genitori contraggono impegni per i figli senza prima consultare la loro disposizione, fino dalla infanzia. Thamas adunque strepita contro quest’uso barbaro, ingiurioso alle leggi della natura; onde Alì procura di consolarlo. Fatima, egli dice, è per giungere a momenti; essa potrebbe esser più bella e amabile di Ircana, conviene aspettare, convien vederla. Il giovane persiano, quantunque amante della schiava, non disapprova il sentimento dell’amico. Potrebbe infatti Fatima andargli a genio più d’Ircana, ed egli pure lo brama per non turbar la pace del genitore. Ma che! rivede Ircana: questa seduttrice ed imperiosa donna adopra ogni sua arte per tenerlo avvinto nei soliti lacci; prega, piange, chiede la sua libertà, vuol partire, vuol morire, e non vuol che il suo sangue scorra sul letto nuziale del suo padrone. Vinto Thamas, a lei si arrende, tutto le promette, ed eccolo contento.
Nella maggior desolazione si presenta al padre, e gli partecipa tutto l’orrido del suo stato. Non gli è prestato orecchio; il contratto impegno è indissolubile, concluso è già il matrimonio; potente e formidabile è Osmano; è per giunger Fatima, bisogna accoglierla. Questa sposa comparisce nel second’atto con un numeroso séguito, preceduta da un’armonia di strumenti orientali e ricoperta da un velo, che la nasconde fino a che non si abbocca con lo sposo. Ritiratosi ognuno, Thamas la prega di scoprirsi; essa è bella, ma non è Ircana. Accortasi Fatima della freddezza del suo sposo, teme quel che vi è fra le femmine persiane di più vergognoso, cioè il divorzio, onde procura di guadagnarsi l’amichevole affetto del giovine, che già crede preoccupato. Thamas resta incantato al carattere di lei, e sinceramente le confida la sua passione. Allorchè si accese per la schiava non aveva di lei alcuna conoscenza. Fatima pertanto gli domanda almeno la sua stima: Thamas non può negarle il suo rispetto, la sua ammirazione. Rimasta sola si lagna anch’essa delle barbare leggi del paese, che sacrificano i figli agli interessi delle famiglie, ciò che segue a un dipresso anche in Europa; ma confessa che Thamas è amabile, e spera di possedere col tempo l’amore di lui. Nel serraglio di questo giovine vi è una vecchia donna chiamata Curcuma destinata al servizio delle schiave. Questa è un’europea intrigante, di cattiva natura, che non ha verun riguardo anche per le donne del suo paese, e che sparge nella commedia molte facezie e molto brio. Imbattesi in Fatima, e le parla come è solita di parlare alle schiave. Fatima le risponde con dignità, e la lascia bruscamente. La vecchia audace si chiama offesa; onde, vedendo Ircana, non manca d’irritarla contro la rivale, e d’inspirarle sempre più vendetta e gelosia. Viene in questo mentre Thamas per assicurare Ircana che essa avrà sempre la preferenza nel cuore di lui. A questa dichiarazione, la Circassa, più che mai furiosa, non gli presta fede, termina con dire che più non havvi strada di mezzo: debbono Fatima o Ircana andar lungi o morire. La prima, curiosa di conoscer l’altra, entra al terzo atto nel serraglio. Le schiave più docili e un poco ragionevoli hanno un estremo piacere di ricevere la sposa del suo padrone, e procurano anzi di onorarla con lusinghieri ed ampollosi elogi secondo lo stile asiatico: Ircana, che mai e poi mai si sarebbe messa nel numero dell’altre, spinta non ostante dalla curiosità, viene a vedere la sua nemica.
Qui segue fra le due rivali un dialogo quanto dolce e decente dalla parte di Fatima, altrettanto fiero ed insolente per parte d’Ircana: l’una mantiene sempre quel tono modesto col quale si respingono gli insulti senza manifestarne il dispiacere; l’altra è irritatissima; più che la morte, ella dice partendo, io detesto una donna che dovendo necessariamente avere il veleno in cuore, affetta pur nonostante col labbro la più dolce tranquillità. Thamas nuovamente istigato dalla sdegnata favorita, viene a sfogare la sua collera contro l’innocente vittima della sua passione: è risoluto d’immergerle uno stile nel petto. Giunge opportunamente Machmut per arrestare il fiero colpo, e nel tempo stesso comparisce il padre di Fatima a domandar ragione dei disgusti che provar si facevano alla figlia di lui. Thamas evita l’incontro di questo padre sdegnato. Machmut addebita Ircana de’ traviamenti del figlio, ed assoluto padrone in sua casa si determina a rivendere questa schiava che semina la discordia dappertutto. Osmano approva tale idea, e si esibisce di comprarla; intanto si fa venire Ircana, la quale è tradita a forza di danaro da Curcuma stessa, che la fa escire per una parte del serraglio mentre Thamas la cerca dall’altra. Eccola ad un tratto sulla scena incatenata, furiosa, in desolazione e divenuta schiava di Osmano. Al principio del quart’atto Thamas cerca la sua schiava facendosene render conto a Curcuma. La vecchia è imbrogliata, ma giunge in tempo Alì, che ha veduto Ircana carica di catene e strascinata dalla gente di Osmano verso Julfa. Thamas parte allora nel momento istesso, nella ferma risoluzione di morire o di ricondurla seco: infatti ha la sorte di raggiungerla: combatte coi negri di Osmano, ne uccide alcuni, ritorna vittorioso con la sua amante, la fa nuovamente entrare nel suo serraglio, e aspetta a piè fermo Osmano che viene a rivendicare la sua schiava. Ecco suocero e genero nel procinto di terminar la contesa con la morte dell’uno o dell’altro. Fatima difende nel tempo stesso e genitore e consorte, presentando il seno ora all’uno ed ora all’altro per deviare i colpi. L’uomo guerriero però impaziente assai più, ed avido di vendetta più del finanziere, vibra a Thamas un mortal colpo. Fatima a tal vista cade sopra un sofà priva di sentimento; l’affetto paterno vince allora l’impeto della vendetta; Osmano chiama gente in aiuto ad oggetto di soccorrere la figlia. Accorre Curcuma, si appressa a Fatima, e, sotto pretesto di prestarle sollievo, la spoglia delle gioie delle quali è adorna e le ripone in tasca. Al cominciare poi del quinto atto si vedono Ircana e Curcuma vestite da uomo all’uso degli eunuchi del serraglio. Con tal mezzo la vecchia, per timore che possa scoprirsi il furto, ha concepito l’idea di salvarsi, procurando di far fare l’istesso alla Circassa essendo nel caso anch’essa di temere tutto dalla parte di Machmut e d’Osmano. In questo mentre sopraggiunge qualcuno, ed esse si ritirano. Questi è Thamas, che sempre amante d’Ircana non può resistere ad un sentimento di riconoscenza verso Fatima che lo ha salvato dal furore paterno, e benchè non nutra per essa amore, ciò non ostante la compiange, e vuole almeno remunerarla con risvegliarle qualche speranza, o qualche motivo di consolazione. Chiama, spedisce a cercare Fatima; e sta attendendola assiso sul sofà. Frattanto Ircana dal luogo ove era nascosta non ha potuto penetrar con sicurezza il disegno di Thamas: ha bensì inteso aver egli spedito a cercar Fatima; e questo appunto basta per accender furiosamente l’odio, la gelosia di lei. Pensa, e nel momento stesso risolve: estrae dalla sua cintura uno stile, e s’avventa per immergerlo nel seno del suo amante. Fatima giunge a tempo per vedere snudar lo stile, onde avverte con un grido il suo sposo, che si alza nell’atto istesso, e così va in fallo il colpo d’Ircana. I gridi di Fatima ed i rimproveri di Thamas vi fan correre gente. Osmano richiede la schiava già comprata: Machmut si determina a farla arrestare; ma Ircana impugna in alto lo stile ed è per uccidersi.
Fatima allora si getta ai piedi del genitore domandando in grazia al medesimo, che le rilasci Ircana. — Tocca a me, a me sola, essa dice, che sono l’offesa, a punirla: il mio genitore, lo sposo non sdegnino di concedermi in grazia quest’ultima soddisfazione. — Tutto le viene concesso. Ecco pertanto Ircana schiava di Fatima, da cui appunto è subito rimessa in libertà. La Circassa comparisce in tal momento umiliata; non proferisce parola, alza gli occhi al cielo, sospira, e parte. Thamas, penetrato vivamente dalla virtuosa bontà di Fatima, dà un amplesso alla consorte, e così termina la commedia. Questa ebbe il massimo incontro: infatti andò in scena tante volte, che gli spettatori ebbero per fino il tempo di trascriverla, dimodochè di lì a poco tempo comparve alla luce senza data. Dei contenti, che mi procurò questa commedia, son debitore affatto alla signora Bresciani, che recitava da Ircana, e per cui appunto l’avevo immaginata e composta. Il Gandini non voleva che fosse usurpato nulla sui diritti dell’impiego di sua moglie, e veramente avrebbe avuto ragione, quando essa non si fosse avvicinata a gran passi alla sua cinquantina d’anni; onde, per evitare tutte le liti, feci per la seconda amorosa una parte che ebbe però la preferenza a quella della prima attrice. Posso dire con tutto il fondamento che la mia fatica fosse ben ricompensata, non essendo possibile di rappresentare una passione viva e tanto importante con maggior forza, energia e verità di quello che fece la signora Bresciani nel sostenere una parte di tal fatta. E invero tale fu l’impressione che fece in una commedia sì fortunata quest’attrice, la quale al brio ed alla intelligenza aggiungeva le grazie di una voce armoniosa e di una piacevolissima pronunzia, che non si chiamò in séguito con altro nome, se non se con quello d’Ircana.