Memorie di Carlo Goldoni/Parte seconda/XIX

XIX

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
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CAPITOLO XIX.

Ostinazione del marito della prima attrice. — Sua collera e sua risoluzione. — Ircana a Julfa, sèguito della Sposa Persiana. — Suo estratto. — Suo buon successo.

Il diletto che il pubblico prendeva alla parte d’Ircana, poteva far nascere il dubbio che io avessi sbagliato il titolo della commedia, o portato pregiudizio all’azione principale; nulladimeno si può vedere dall’estratto che ne ho dato, che Fatima n’è il protagonista, ed Ircana l’antagonista; non vi era bensì illusione alcuna, poichè vedevasi a una sposa di cinquant’anni esser naturalmente preferita una schiava di venticinque.

Il pubblico dunque, affezionato sempre alla bella Circassa, era dolente di vederla partire sospirando; onde avrebbe voluto sapere ov’era andata e ciò che fosse di lei; per tal ragione pertanto mi si chiedeva il séguito della Sposa Persiana, benchè questa sposa non fosse realmente l’oggetto della curiosità del pubblico. Avrei soddisfatto il suo desiderio volentierissimo, ma non poteva. Il Gandini sommamente irritato contro il pubblico e contro me, andava dicendo che l’avevo ingannato, che gli avevo fatto un tiro da meritar la forca, e che avevo avuto l’arte diabolica di sacrificare in questa commedia sua moglie senza che se ne fosse potuto accorgere. La mia intenzione però non era di fargli un torto, ma di forzarlo bensì ad accettare il vantaggioso partito da me propostogli, e questo era un rendergli servizio, malgrado la sua brutalità.

Sempre più ostinato quest’uomo irragionevole, andò ad avvertire [p. 198 modifica] il proprietario del teatro, che sua moglie non avrebbe, di certo, recitato il séguito della Sposa Persiana, di cui aveva già inteso parlare. Fu da sua eccellenza Vendramini molto mal ricevuto, onde, non potendo il comico sfogare la sua collera col suo superiore, mise in pezzi il proprio orologio, gettandolo di colpo, nell’escire, nella vetrata di un paravento del quale mandò i vetri in tanti pezzi. Fece ancor peggio: si portò al palazzo del ministro di Sassonia che cercava comici per il re Augusto di Polonia, e s’impegnò per Dresda unitamente alla moglie, e sparvero entrambi senza dir nulla. Non vi fu uno che se ne mostrasse dolente, ed io molto meno degli altri, poichè restai in libertà di lavorare a mio piacere, e contentai i miei compatriotti, dando loro finalmente il sèguito tanto bramato. Il titolo della seconda commedia di questo mio soggetto fu Ircana a Julfa. Julfa, o Zulfa è una città distante una lega da Ispahan, abitata da una colonia di Armeni, che Scak-Abas aveva fatto venire in Persia per maggior vantaggio del commercio. Forzata Ircana ad escire da Ispahan prende la risoluzione di andare a Julfa. Ambiziosa sempre, e sempre amante, sceglie un luogo che non la tenga per troppa lontananza, divisa dal suo caro, facendosi scortare, in abito virile come già era, da un eunuco nero chiamato Bulganzar, a lei ben affetto. All’alzar del sipario mirasi il sole che comincia a spuntar dall’orizzonte, la porta di Julfa chiusa dal ponte levatoio, e Ircana che dorme a piè d’un albero. In quel tempo il negro passeggia, e pone al fatto con le sue osservazioni ed idee gli spettatori riguardo al locale della scena e alle intenzioni della Circassa. Viene abbassato il ponte levatoio che dà ingresso alla città da cui escono gli Armeni, e prendono differenti strade per andare, per quello che dicono, a scorrere i mercati di quella regione. Restano solo due, cioè Demetrio e Zaguro. Bulganzar, avido e di mala fede, propone agli Armeni la vendita di una schiava. In quest’istante Ircana si sveglia, si alza, si accorge dell’intenzione dell’eunuco, e si avanza, esibendosi ella stessa per schiava, senza altro chiedere se non se asilo e sussistenza. Ella si sottoporrà di buon grado a prestar qualunque servizio, a condizione però di non esser rivenduta e d’esser lasciata in pace circa la continenza. Ecco i due mercanti in contrasto per l’acquisto della medesima. Ircana domanda di far la scelta del padrone ella stessa, ciò che le viene subito concesso. Il preferito è Demetrio; Zaguro n’è geloso e giura di vendicarsi. All’apertura del secondo atto, compariscono quattro donne armene con lunghe pipe alla bocca che fumano e prendono caffè: esse sono la moglie, la cognata, e le due figlie di Demetrio. Egli appunto giunge in quell’istante con Ircana, che con loro fa passar per un giovine schiavo sotto il nome d’Ircano affine d’evitare i sospetti delle sue donne, il difetto nazionale delle quali è la gelosia. Seguono pertanto parecchie scene molto comiche e dilettevoli fra la circassa e le armene, che, trovando il supposto loro schiavo molto amabile, lo accarezzano e procurano di andargli a genio.

Bulganzar ritorna a Julfa, e trova il modo di parlare ad Ircana segretamente. In questo abboccamento l’avverte che Thamas, venuto a cognizione della sua dimora, è per giungere a momenti a trovarla. Ircana prova un incanto di piacere nel tornare a rivederlo, ma però non cangia carattere. Sempre fiera ed amante dà un amplesso al suo primiero amico, ed un momento dopo accommiata bruscamente lo sposo della sua rivale. Thamas disperato e nell’eccesso della passione, è pronto a sacrificare per lei la sua sposa. Non [p. 199 modifica] le resta a dire se non se quale specie di sacrifizio ella esiga: Dimmi che tu sei libero, a lui risponde Ircana, nulla poi mi curo di sapere come tu tale sia divenuto, e così lo lascia. Al terzo e quart’atto questa donna corre spaventosi pericoli. Scoperto da Zaguro il di lei sesso, la moglie di Demetrio si crede ingannata, ed è assolutamente risoluta di far le sue vendette con la schiava. A tal fine la fa scendere in un sotterraneo per farla in esso perire; ma è fortunatamente salvata dalle armene, le quali ancora non la conoscono. Nel quintetto Alì, amico intimo di Thamas, dà luogo alla felice peripezia de’ due amanti desolati. Cerca Ircana a Julfa, e incontra Thamas per la strada di Ispahan: ecco le nuove delle quali è nuncio.

Fatima, avendo perduto la speranza di guadagnare il cuore del suo sposo, altro non chiedeva che la morte, per evitar così la vergogna di vedersi rimandare alla patria. Machmut si trova in afflizione quanto ella, e temeva sempre la vendetta di Osmano che era partito alla testa di un esercito per far guerra ai Turchi. Alì fa una proposizione che vien subito accettata, e che riconduce negli agitati spiriti l’antica pace. Si offre di sposar Fatima egli stesso. Questa donna disgraziata, divenuta libera dal suo primo matrimonio, crede poter benissimo disporre della sua volontà senza attendere il consenso paterno; onde accorda di essere sposa d’Alì, e Machmut stesso fa cassare il matrimonio del figlio secondo le leggi del paese. Tornato Thamas dagli Armeni offre la sua mano ad Ircana senza rimproverarsi un nuovo delitto. Eccola pertanto al colmo della sua gioia, ecco entrambi contenti. Per mezzo di replicati battimani, il pubblico mi ringraziò di avere tirato a fine la catastrofe d’Ircana in una maniera così per lui soddisfacente. Questo medesimo pubblico però andava in questa guisa dicendo il giorno dopo: ma questa sposa di Thamas sarà ella poi felice? Machmut perdonerà egli a suo figlio tutti i disgusti per cagion sua provati? Vorrà egli ricever bene una donna stata sempre l’origine del disturbo e della desolazione di casa? E Osmano sarà egli contento di veder passare la sua figlia dal letto di Thamas a quello d’Alì? Dicevasi insomma, che il romanzo era stato molto bene condotto innanzi, ma che però non era finito. Io pure conoscevo bene tal verità, e tanto è vero che l’avevo prevista, che tenevo già bella e in ordine nella mia immaginazione una terza commedia che diedi poi l’anno successivo sotto il titolo Ircana a Ispahan. Ebbe essa tale incontro, che sorpassò le altre due, procacciando sempre il medesimo diletto, e nulla lasciando a desiderare ai partigiani della Circassa.