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194 parte seconda


non mi lasciò padrone del mio volere: e non eseguii questo colpo strepitoso, nè adoprai quello sforzo d’immaginazione necessario per prender posto con onore nel nuovo teatro, in cui doveva sempre più avanzare la mia riforma e sostenere la mia reputazione, se non se alla terza commedia.

CAPITOLO XVIII.

La Sposa persiana, commedia di cinque atti in versi, e a scena fissa. — Suo estratto. — Suo magnifico successo.

In conseguenza dell’oggetto propostomi andavo in cerca di un argomento che potesse somministrarmi arguzie, diletto, e spettacolo a un tempo stesso. A questo fine aveva percorsa l’istoria delle nazioni moderne del Salmon, tradotta dall’inglese in italiano: non trovai già in quella la favola che forma il soggetto della composizione che avevo disegnata; ma da questo libro esatto, istruttivo e piacevole, ricavai soltanto le leggi, i costumi e gli usi dei Persiani, e dalle narrazioni particolareggiate dell’autore inglese composi la commedia a cui diedi il titolo di Sposa persiana. Il soggetto della medesima non è eroico; consistendo in un ricco finanziere d’Ispahan chiamato Machmut, che impegna a forza Thamas suo figlio a sposar suo malgrado Fatima figlia di Osmano, uffiziale graduato negli eserciti del Sophi. Eccoci ai soliti accidenti delle nostre commedie, una ragazza promessa in matrimonio a un giovine che ha il cuore preoccupato per un’altra. Frattanto i nomi di Fatima, di Machmut, di Thamas annunziavano al pubblico qualche cosa di straordinario, e la sala del finanziere, mobiliata di un sofà e di guanciali alla maomettana, unitamente agli abiti e ai turbanti all’uso orientale, risvegliavano l’idea di una nazione straniera. Ciò che è straniero desta sempre la curiosità. Quello poi che allontana anche di più questa commedia asiatica dalle nostre commedie ordinarie, sono i serragli della casa di Machmut, uno dei quali è per lui, l’altro per il figlio; costume ben diverso dagli usi d’Europa, ove i padri ed i figli possono aver benissimo molte più donne che in Persia, non mai alcun serraglio. Thamas ha nel suo una schiava di Circassia, chiamata Ircana, per cui nutre un tenero affetto: essa, orgogliosa anche in servitù, pretende che il suo amante e padrone non divida le grazie sue con verun’altra donna, neppure con quella destinatagli per moglie dal genitore. Ecco adunque un carattere nuovo affatto per i nostri climi; poichè in Francia come in Italia una favorita non impedirebbe ad un suo amico ch’egli contraesse un utile e decoroso legame, purchè continuasse sempre la pratica di lei, o che le facesse uno stato da consolarla nella sua afflizione. Esaminiamo ora la condotta di questa commedia che fu una delle più felici, che fissò nuovamente l’attenzione del pubblico a mio riguardo, e assicurò la sorte de’ miei nuovi comici. Apre la scena Thamas con Alì suo amico, a cui si manifesta amante d’Ircana, lagnandosi del padre che lo sforza ad avere una moglie. Qui è necessario sapere, o mio lettore, che in Persia i serragli non impediscono agli uomini d’aver mogli legittime, che anzi i genitori contraggono impegni per i figli senza prima consultare la loro disposizione, fino dalla infanzia. Thamas adunque strepita contro quest’uso barbaro, ingiurioso alle leggi della natura; onde Alì procura di consolarlo. Fatima, egli dice, è per giungere a momenti; essa potrebbe esser più