Memorie di Carlo Goldoni/Parte seconda/X
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CAPITOLO X.
- Libercolo dei miei avversari. — Il Vero Amico, commedia di tre atti senza maschere. — Sua buona riuscita ed analisi. — La Finta Malata, commedia. — Suo incontro. — La Moglie prudente, in tre atti senza maschere. — Alcune parole sopra questa composizione. — Suo buon successo.
La quantità delle commedie che andavo esponendo l’una dietro l’altra non dava tempo ai miei nemici di far scoppiare il loro odio contro di me. Ma nei dieci giorni di riposo durante la novena di Natale, non mancarono di farmi il bel regalo di un libercolo contenente più ingiurie che critiche. In conseguenza della caduta della mia ultima commedia si andava dicendo che il Goldoni aveva consumato tutto quanto il suo fuoco, che incominciava a declinare, e che avrebbe finito male, come pure che sarebbe stato umiliato il suo orgoglio. Mi dispiaceva quest’ultima espressione solamente. È vero che mi si poteva accusare d’imprudenza per aver contratto un impegno che poteva costarmi il sacrifizio della salute o quello della mia riputazione; ma orgoglio non ho assolutamente mai avuto, o almeno non mi sono mai accorto di averne. Non feci caso alcuno di questo libercolo, anzi sempre più mi persuasi della necessità di ristabilire sul mio teatro il vero gradimento, il brio, l’istruzione e l’antico credito.
La commedia del Vero Amico, che io esposi all’apertura del carnevale, appagò pienamente tutte quante le mie mire, e l’argomento mi fu somministrato da un aneddoto storico che trattai per altro con tutta quella delicatezza di cui era meritevole. L’eroe della commedia è Florindo che ha un amico intimo in Verona, chiamato Lelio. Egli va a ritrovarlo ad unico oggetto di godere della compagnia di lui, e resta un mese in casa sua. Lelio deve sposare Rosaura, figlia d’un uomo ricco, ma sordido, avaro; conduce dunque in casa della bella l’amico: questi s’innamora subito della medesima, e accorgesi di più, che la signorina ne è colpita al pari di lui, onde risolvesi a lasciar Verona. Beatrice, fanciulla inoltrata in età e zia di Lelio, dolente della partenza di Florindo di cui appunto sperava di far la conquista, dichiarasi a lui apertamente. Fiorindo maravigliato, non ardisce disgustare palesemente la zia del suo amico; le fa bensì i suoi ringraziamenti e le dice, senza contrarre impegno di sorta, varie cose sempre decenti e piene di grazia. Giunge in questo tempo Lelio, e prega Beatrice di lasciarlo un momento solo con l’amico; essa impegna il nipote ad opporsi alla partenza di Florindo, ed esce molto contenta di lui. La scena de’ due amici è importantissima: Lelio si lamenta della sua bella. Da qualche giorno è male accolto, mal veduto, non più amato. A tale oggetto incarica l’amico Florindo di portarsi a scandagliare il cuore di Rosaura. Che dura commissione per un amante! si oppone, ma inutilmente; lo esige l’amicizia, egli va. Il nuovo colloquio tra Rosaura e Florindo compie la disfatta di ambedue. Ecco due amanti disgraziati, vittime dell’onore e della passione più viva. Florindo torna alla prima idea; convien partire. In questo mentre riceve da Rosaura una lettera nella quale sembra che accrescasi il suo amore per la disperazione della perdita di lui; egli adunque prende il partito di risponderle a fine di disingannarla ed annunziarle la partenza. Scrive: tutto in un tratto sopraggiunge il servitore, e gli dà, tremando, l’avviso che Lelio è assalito da due persone armate, e che si difende con svantaggio. Florindo afferra la spada, corre alla difesa dell’amico, e lascia sulla tavola la lettera già incominciata. Entra da una parte Beatrice, mentre Florindo esce dall’altra; s’accorge della lettera e legge le seguenti espressioni: «Pur troppo conosco, signorina, la bontà che per me avete, e mi sento troppo debole, e troppo grato per potervi riguardare con indifferenza. Il mio amico mi ha ricevuto in casa: mi ha partecipato i segreti tutti del suo cuore; sarebbe certamente un mancare all’amicizia, e all’ospitalità...» La lettera non dice di più, e la parola ospitalità fa credere a Beatrice che il foglio riguardi lei; crede dunque che Florindo veramente l’ami, e trovandolo eccessivamente delicato si propone di fargli animo. Torna Florindo e fa ricerca della lettera. Beatrice, che l’aveva nascosta, ben se ne avvede e scherza. Ad un tratto entra Lelio ed abbraccia il suo amico, il suo liberatore. Beatrice aggiunge che lo deve anche abbracciare come parente, facendo allora vedere la lettera. Lelio va in estasi dal piacere udendo che il suo caro amico divenga zio. Ecco Florindo nel più grande impaccio; convien tradire il segreto di Rosaura, o sacrificarsi a Beatrice. Si appiglia all’ultimo partito, onde la zia esce tutta orgogliosa del trionfo delle sue attrattive. Lelio allora accresce all’amico la sua confidenza avendo concepito contro di lui in qualche occasione alcuni leggieri sospetti. Quest’ultimo avvenimento lo pone in quiete intieramente. Va in casa della sua bella, e presenta Florindo come il futuro sposo della sua zia: che martirio per l’uno, che desolazione per l’altra! Al principio di quest’estratto ho annunziato il padre di Rosaura come un eccessivo avaro; egli avea promessa la sua figlia in matrimonio a Lelio, che, non essendo ricco, faceva capitale su ventimila scudi, dote della signorina. Confida dunque alla sua figlia con le lagrime agli occhi che l’istante di sborsare questa somma sarebbe stato quello della sua morte. Rosaura, che non ama Lelio, pone in calma il padre, e lo assicura che ne sarà al possesso per tutto il tempo della sua vita; onde l’avaro sparge la voce, che ha fatto parecchie perdite, che si trova in miserie, e che non può salvarsi dal maritare la figlia senza dote. Lelio adunque, vedendosi decaduto quanto all’amore e quanto alla fortuna, rinunzia a Rosaura, e prega l’amico di adempire per lui a tutti i doveri della convenienza. Florindo, che è ricco e sempre amante, prende il violento partito di svelare a Lelio l’intelligenza del suo cuore con quello di Rosaura; e dopo aver messe in vista le testimonianze già date della sua delicatezza ed amicizia, gli domanda il permesso di sposare Rosaura.
Lelio non ha motivo di lagnarsi dell’amico; è desso che lo ha introdotto, che lo ha messo nel caso d’apprezzare il merito della fanciulla e di porvi affetto. Ben conosce tutti i sacrifizi fatti da Florindo a riguardo di lui, e poichè il partito di Rosaura non gli conviene più, gliela cede senza difficoltà. Se ne fa al padre la proposizione, ed egli ne è contentissimo, purchè ciò succeda senza dote. Tutto resta fissato. Si fa un’adunanza, per la sottoscrizione del contratto. Ma qual disturbo! Si dà avviso all’avaro che il suo scrigno è rubato. Si corre, si arresta il ladro, si pone in salvo il tesoro. Il padre adunque torna a vista di tutti ad abbondare di danaro, e la figlia torna così ad essere nuovamente una ricca erede; onde Florindo non può sposarla che a scapito della fortuna del suo amico. In conseguenza di ciò non esita a dare a Lelio l’ultima prova di amicizia e probità: sposa Beatrice e adopra tutto il suo credito ed affetto istesso, per indurre Rosaura a presentar la mano al primo suo pretendente. Essa penetrata dal cordoglio e dall’ammirazione, avendo già perduto la speranza di possedere il suo amante, consente di appagarlo dando la mano a Lelio, il quale spera di guadagnare in seguito il cuore di lei.
Questa commedia è una delle mie favorite, ed ebbi sommo piacere dì vedere anche il pubblico d’accordo con me; era bensì maravigliato io stesso di avere potuto impiegarvi il tempo e le cure necessarie in un anno per me sì laborioso.
Ma eccovene ora un’altra che non mi costò minor fatica, e che non ebbe minore successo: cioè La finta malata. Prima di render conto di questa composizione, vi farò ben conoscere l’originale che me ne somministrò l’argomento. La signora Medebac, attrice veramente eccellente ed affezionatissima alla sua professione, era donna sottoposta a fisime; era spesso malata o credeva spesso d’esser tale, qualche volta non avendo in sostanza altro che alcune volontarie ipocondrie. In quest’ultimo caso l’unico compenso era quello di dare a recitare una bella parte a un’attrice subalterna; allora la malata guariva nell’istante. Mi presi dunque la libertà di rappresentare la signora Medebac istessa; essa, per vero dire, un poco se ne accorse, ma trovando la sua parte graziosissima, volle assumerne l’impegno e la sostenne infatti perfettamente.
Rosaura amava il dottor Onesti, giovine medico tanto amabile in conversazione quanto dotto nella sua arte. Il padre del dottore essendo stato buono amico di Pantalone, genitore di Rosaura, il figlio andava di tempo in tempo a farle visita, ma non così frequentemente quanto la fanciulla avrebbe bramato. Essa pertanto si finge un giorno malata, ed è fatto venire il medico. Il male va crescendo e si fa serio a proporzione che aumenta l’amorosa passione; dà in convulsioni, piange, ride, canta, fa urli spaventevoli. Pantalone vuol fare consulto, e nomina egli stesso i medici consulenti; tutti vi concorrono. L’adunanza è composta di tre medici: li dottore Onesti, il dottor Buonatesta, il dottor Malfatti, e il signor Tarquinio, chirurgo di casa. L’Onesti, medico curante, conoscendo la malata più degli altri, fa la narrazione dei sintomi della malattia accusando un’alterazione di mente piuttosto che un male fisico. Il signor Buonatesta però, dopo aver bene esaminato l’ammalata, pensa diversamente; ed il signor Malfatti ora è del parere dell’uno, ed ora del parere dell’altro, mentre il chirurgo, domandato il permesso, dice ancor egli il suo sentimento, e conclude per la cavata di sangue. Sono figlio d’un medico, medico sono stato io pure per un momento, e condanno il poco senno di coloro che fanno l’elogio o la satira della medicina in generale. Dovendo dunque parlare di quest’arte, che per necessità bisogna rispettare, metto in scena nella mia commedia tre medici, uno onorato e prudente, l’altro ciarlatano, il terzo ignorante. Queste appunto sono le tre classi che si possono incontrare nella medicina; Dio ci guardi sempre dalle due ultime, ma in special modo dalla seconda che è senza dubbio la più pericolosa. Non mi estenderò ulteriormente sull’analisi di questa commedia, della quale si prevede lo scioglimento fino dal primo atto. Un’amica di Rosaura scopre il segreto, e s’adopra per la salute e felicità di lei e parlandone al padre, ed obbligandolo a guarire la figlia, con darle quell’elisire che più le conviene. La difficoltà più considerevole però che questa buona amica si trovò in necessità di superare, è la repugnanza del dottore. Questa non dipende in lui da mancanza di considerazione e di affetto per Rosaura, ma bensì dal timore che il mondo non dica avere il medico sedotto la malata, ed è abbastanza delicato per ricusarla; ma l’amica di Rosaura sa con lui maneggiarsi così bene, che distrugge tutti gli ostacoli, e il matrimonio si fa. Malgrado la semplicità del soggetto, questa rappresentazione fu generalmente bene accolta e sommamente applaudita; deve però forse il suo buon successo alla bravura dell’attrice che si compiaceva di rappresentare sè medesima, e che faceva ciò senza sforzo e contraggenio. Anche i tre differenti caratteri de’ medici e d’uno speziale sordo e novellista, che intendeva tutto a rovescio e che preferiva la lettura delle gazzette a quella delle ordinazioni, non vi contribuirono meno. L’indole adunque assai comica del soggetto, e la vivacità dell’attrice fecero la sorte della Finta Malata, nel modo istesso che un vero merito fece quella della Moglie prudente, di cui sono ora per render conto.
Donna Eularia è la femmina più saggia e giudiziosa del mondo, laddove Roberto suo marito è l’uomo più stravagante ed irregolare della terra.
Egli è geloso; sua moglie non bramerebbe altro che di condurre una vita tranquilla e ritirata, ma egli la sforza a veder gente, perchè non nasca il dubbio della gelosia di lui. Per far conoscere bene questa commedia, bisognerebbe tenerle dietro scena per scena; poichè è lavorata con tal arte che senza il dialogo non è possibile giudicarne: onde sarebbe per me un passare la misura propostami, se dessi un estratto lungo quanto la commedia. Il soggetto mi fu somministrato da quelle medesime società dalle quali presi quello del Cavaliere e della Dama, cioè dalla classe de’ cicisbei. In Italia vi sono mariti che soffrono di buon animo i galanti delle loro mogli, anzi ne sono gli amici e i confidenti; ma ve ne sono anche dei gelosi, i quali soffrono con rabbia questi esseri singolari che sono i secondi padroni delle famiglie sregolate. Don Roberto era la persona meno in grado di tollerare costoro in casa propria; ma un uomo che cerca di avanzarsi nel mondo, e che ha bisogno di protettori e di amici, può egli tenere la moglie chiusa in casa?
In questa commedia una dama di provincia, che non conosce punto i costumi della capitale, trova i galanti sommamente ridicoli; onde don Roberto va pienamente d’accordo su tal proposito con questa donna giudiziosa, stringe con lei amicizia, e si risolve di andare a godere la tranquillità che dolcemente offre a tutti una piccola città quasi ignorata. Con piacere vi consente donna Eularia, anzi anima suo marito a dare effetto a tale idea, coronando così, mediante una virtuosa rassegnazione, il bel merito della sua lunga sofferenza. Il pubblico che sempre più s’affezionava a questa prudente e disgraziata donna, parve molto contento di uno scioglimento che prometteva la pace di lei; onde la rappresentazione terminò con applauso, felicemente sostenendosi fino all’altra commedia nuova che vi fu sostituita.