Memorie autobiografiche/Primo Periodo/XXX

Primo Periodo - XXX. Comando la squadra di Montevideo. - Combattimenti nei fiumi

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Capitolo XXX.

Comando la squadra di Montevideo.

Combattimenti nei fiumi.


Colla corvetta Costituzione di 18 pezzi, il brigantino Pereira con due culisse (rotatori) da 18, ed il trasporto goletta Procida, io fui destinato a Corrientes, provincia alleata, per coadiuvarla nelle sue operazioni di guerra contro le forze di Piosas, tiranno di Buenos-Ayres. V’era anche il motivo od il pretesto di portar delle munizioni in quella provincia. Darò un piccolo cenno sulla nuova guerra a cui io m’accingevo a prender parte.

[p. 98 modifica]Trovavasi la Repubblica orientale dell’Uruguay, così chiamata per trovarsi veramente sulla sinistra sponda di detto fiume, e di cui Montevideo è capitale; trovavasi, dico, come la maggior parte delle repubbliche dell’ America meridionale, in quello stato di guerra civile la di cui quasi perenne durata forma il maggior inciampo al progresso di cui è suscettibile cotesta splendida parte del mondo, certo non seconda a nessun’altra per ogni naturale ricchezza. E la cagione delle intestine discordie era allora la pretensione alla presidenza della Repubblica dei due generali Fruttuoso Ribera e Manuel Ourives.

Ribera, più felice da principio, pervenne, dopo varie vittorie, a cacciare Ourives, e s’impadronì del potere occupato da quello. L’altro cacciato si rifuggì a Buenos-Ayres, ove Rosas lo accolse assieme agli emigrati orientali e se ne servì contro i propri nemici, capitanati allora dal generale Lavalle, i quali nemici chiamavansi Unitari, mentre il partito di Rosas era chiamato Federale. Vinto Lavalle, il feroce ex-presidente di Montevideo si accinse a riacquistare la perduta potestà del suo paese, e Rosas trovava in ciò la più dilettevole lusinga alle sue mire, cioè la finale distruzione degli Unitari, suoi mortali nemici, il di cui ultimo ricovero era Montevideo, e di più l’abbassamento d’una repubblica vicina e rivale che disputava all’altra la supremazia dell’immenso fiume, spingendo in seno della stessa i più accaniti e formidabili elementi di tremenda guerra civile.

Al tempo della mia partenza da Montevideo, ed entrata nel fiume, trovavasi l’esercito orientale in San José dell’Uruguay, e quello d’Ourives a Bajada, capitale della provincia d’Entre-Rios, preparandosi entrambi ad una decisiva battaglia.

L’esercito correntino disponevasi ad unirsi all’orientale, ed io dovevo rimontare il Paranà sino a Corrientes, percorrere uno spazio di più di seicento miglia tra due sponde nemiche, ove non avrei potuto approdare senonchè nelle isole e nelle coste deserte.

[p. 99 modifica]Partito da Montevideo coi tre legni suddetti, ebbi da sostenere un primo combattimento contro le batterie dell’isola di Martin-Garcia, isola che comanda il fiume verso il confluente dell’Uruguay col Paranà, d’un’altezza considerevole ed alla quale bisogna passar vicino non essendovi altri canali più lontani adeguati per bastimenti grandi. Ebbi alcuni morti e feriti in quel primo conflitto e passai oltre.1

A tre miglia da Martin-Garcia arenammo colla Costituzione, e disgraziatamente in tempo che la marea abbassava, dimodochè immensa fatica ci costò il poterla rimettere a nuoto, ma grazie a molta risoluzione ed energia da parte di tutti, ufficiali e marini, non fu perduta in quella circostanza la nostra flottiglia.

Mentre eravamo occupati a trasbordare gli oggetti di peso sulla Procida comparve la squadra nemica dall’ altra parte dell’isola, avanzandosi a piene vele e con vento favorevole su di noi con sette legni. La Costituzione era arenata circa tre piedi e priva dei suoi j)rincipali cannoni, ammonticchiati sulla piccola Procida. Era quella veramente una terribile situazione per me. La Procida completamente inutile, la Costituzione più inutile ancora, non rimanevami senonchè il brigantino Pereira, il cui coraggiosissimo comandante trovavasi vicino a me colla maggior parte del suo equipaggio, aiutandoci nei nostri lavori.

Intanto il nemico procedeva superbo alla vista ed alle acclamazioni delle truppe dell’isola, sicurissimo della vittoria, con sette forti legni da guerra, e noi rimasti con un solo disponibile ma debole. Il mio animo non era dato alla disperazione, ciò -che non mi è mai succeduto, ma lascio all’altrui sagacia il figurarsi lo stato mio. Non si trattava della vita sola, di cui poco m’importava in quei momenti: ma benchè fosse forza d’imprevisti e fatali avvenimenti, anche morendo [p. 100 modifica]difficilmente si salvava l’onore, poichè impossibile era di combattere nelle condizioni nostre. La fortuna anche questa volta stese la sua mano potente e protettrice sul mio destino, e non ci voleva altro che un colpo della sua ruota. Il legno ammiraglio del nemico, il Belgrano, arenò esso pure nelle vicinanze dell’isola, a circa due tiri di cannone da noi, e fummo salvi. Il contrattempo del nemico aumentò l’alacrità nostra: in poche ore la Costituzione galleggiò e ricevette nuovamente la batteria e tutto il materiale suo già trasbordato.

«Le fortune come le disgrazie non arrivano sole,» si dice volgarmente, ed in quella circostanza successe proprio così. Una nebbia foltissima, caduta come per incanto, coprì tutto, e ci favorì grandemente, nascondendo al nemico la direzione nostra. Tale circostanza ci valse sommamente, poichè quando il nemico terminò col far galleggiare il Belgrano, ignorando la direzione nostra, prese a perseguirci nell’Uruguay, ove non eravamo entrati, e perdette così molti giorni prima di conoscere la vera nostra destinazione. Intanto noi entravamo nel Paranà, coperti dalla nebbia e favoriti dal vento. Io avevo la coscienza dell’impresa, certo una delle più ardue della mia vita. In quel giorno stesso il piacere di scampare ad imminente pericolo ed il solletico provato all’idea della grandezza dell’impresa, furonmi amareggiati dallo stupore, dalla paura e dalla renitenza dei pratici, che sino a quel momento avean creduto dirigersi all’Uruguay, ove la sponda sinistra almeno era in potere dei nostri, mentre le due sponde del Paranà erano assolutamente in potere di nemici formidabili, quali Ourives alla sinistra sponda e Rosas alla destra. Tutti i pratici allegarono non conoscere il Paranà e veramente, per ingannare il nemico, io aveva chiesto e trovato pratici dell’Uruguay. Essi, da quelr istante, rinunziarono a qualunque responsabilità.

Della responsabilità io poco m’impensierivo: abbisognavo d’un pratico, comunque fosse. In conseguenza di molte indagini si seppe che uno di loro aveva alcune [p. 101 modifica]cognizioni del fiume, ma le taceva per timore. La mia sciabola spianò bentosto le difficoltà, ed avemmo un pratico.

Il vento favorevole ci portò nella notte nelle vicinanze di San Nicolas, primo paese argentino che s’incontra sulla sponda destra del fiume. Eranvi alcuni legni mercantili; noi avevamo bisogno di trasporti e di pratici: una spedizione notturna coi palischermi ci procurò una cosa e l’altra.

Eravamo obbligati ad usar di prepotenza: la posizione nostra delicata lo esigeva. Un Antonio, austriaco che da molto tempo navigava nel Paranà, cadde fra i prigionieri e ci rese importanti servigi nel viaggio.

Procedendo verso la parte superiore del fiume non avemmo ostacoli sino alla Bajada, capitale della provincia d’Entre-Rios, ove trovavasi l’esercito d’Ourives.

Operammo nel transito alcuni sbarchi per acquistare carne fresca d’animali bovini, che ci venivano contrastati dagli abitanti e dalle truppe di cavalleria vigilanti la costa. Alcuni parziali combattimenti avevano luogo per tal motivo con vantaggio e perdite alternativamente. In una di quelle pugne ebbi la sensibilissima perdita dell’ufficiale italiano Vallerga da Loano, giovine di sorprendente valore e d’un genio che prometteva assaissimo. Egli era profondo matematico. Un’altra croce. sulle ossa d’un figlio della sventurata nostra terra, perduto per una causa giusta, è vero, ma che come tanti altri sperava di poter dare la vita al suo paese.

Alla Bajada, ove Ourives avea il suo quartier generale, trovammo formidabili preparativi per riceverci. Ivi affrontammo un combattimento, le di cui apparenze sul principio mostravano dover dare più importanti risultati, ma il vento favorevole e la distanza in cui potemmo passare dalle batterie nemiche ci lasciarono sfuggire anche in questa circostanza a pericoli che potevano esser assai più dannosi. Vi fu un forte cannoneggiamento d’ambe le parti con perdite insignificanti.

A las Conchas, alcune miglia sopra la Bajada, [p. 102 modifica]operammo uno sbarco di notte, che ci diede, ad onta di forte resistenza del nemico, quattordici bovi. I nostri pugnarono in quella occasione con un valore sommo, e si distinsero sopra tutti il Vallerga, di cui già feci cenno, e Battaglia domatore di cavalli.

Le artiglierie nemiche seguirono la costa, e profittando della circostanza del vento contrario e della strettezza ci cannoneggiavano, ove potevano con vantaggio, ed ove potevano ci fulminavano anche con moschetteria. Nel Genito, posizione forte sulla sponda sinistra del Paranà, stabilì il nemico una batteria di sei cannoni. Il vento era favorevole, ma scarso, ed in quel punto stesso, per le tortuosità del fiume, ci dava in faccia, dimodochè dovemmo fare un tragitto di circa due miglia a tonneggio, cioè portando ancorotti (piccole ancore) avanti con lunghe alzan e, e tirando sopra le stesse, a suono di tamburo ed a passo di carica; procedendo così a piccola velocità, per esser forte la corrente contraria in siti stretti. Per fortuna nostra la batteria nemica era troppo alta e troppo vicina, sembrando sospesa sulla nostra testa.

Cotesto combattimento fu brillante. La maggior parte della gente nostra era destinata alle alzane ed ai palischermi, il resto ai cannoni e fucili. Combattevasi e si lavorava con alacrità grandissima; le pugne eran diventate un giuoco per i miei valorosi compagni. Si osservi che il nostro nemico apparteneva ad un esercito esaltato e superbo per recenti vittorie; lo stesso esercito che poco dopo sbaragliava il nostro completamente all’Arroyo Grande, assieme all’esercito di Corrientes riunito al nostro.

Ogni ostacolo fu superato con poca perdita, e questa cagionata dai moschetti nemici, giacchè i pezzi troppo alti e troppo vicini passavano sulle nostre teste danneggiando appena l’alberatura. E dopo d’aver smorzato i fuochi del nemico e smontati alquanti de’ suoi pezzi noi giungemmo con tutti i legni in salvo in una posizione spaziosa fuori d’ogni pericolo.

[p. 103 modifica]Vari legni mercantili provenienti da Corrientes e dal Paraguay eransi posti sotto la protezione della batteria nemica; essi caddero in nostro potere con poca fatica. Tali acquisti ci provvedevano di vettovaglie e di mezzi d’ogni genere.



Note

  1. Perdetti un ufficiale italiano di molto valore in quella pugna, per nome Pocaroba, di Genova. Ebbe la testa portata via da una palla di cannone.