Memorie autobiografiche/Primo Periodo/XIV

Primo Periodo - XIV. Quattordici contro cento e cinquanta

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Capitolo XIV.

Quattordici contro cento e cinquanta.


Dopo la presa della sumaca (Brik Schooner) i bastimenti mercantili imperiali non partivano più senonchè in convoglio, scortati da legni da guerra; quindi difficoltoso il predarli. Le spedizioni dei lancioni limitaronsi dunque ad alcune scorrerie nella laguna con poco successo, essendo perseguiti dagli Imperiali per mare e per terra.

In una sorpresa fattaci dal colonnello nemico Francisco de Abreus quasi fu annientata l’esistenza dei corsari e del corso. Eravamo nella foce del Camacuan coi lancioni tirati in terra, davanti al Galpon da Charqueada (magazzino di deposito dello stabilimento ove salavasi carne in tempi anteriori) in cui raccoglievasi allora erba mate, specie di thè dell’America meridionale. Tale stabilimento apparteneva a donna Antonia, sorella del presidente.

Per motivo della guerra allora non salavasi carne [p. 42 modifica]ed il galpon trovavasi a metà pieno di erba mate. Noi ci servivamo di tale stabilimento assai spazioso come arsenale nostro, ed avevamo messi in terra tra il magazzino e la sponda del fiume i nostri lancioni per ripararli.

In quel luogo vi erano falegnami e fabbri dello stabilimento; il carbone era abbondante, essendo il paese coperto di macchie e boschi d’alto fusto; lo stabilimento, benché inoperoso, conservava tutta la fisionomia dell’antica splendidezza, e non mancavano ogni specie di pezzi d’acciaio e di ferro suscettibili di servire ai bisogni dei nostri piccoli legni. Poi in un galoppo si visitavano le estancias amiche a varie distanze, anche quelle provviste d’ogni cosa, che supplivano graziosamente a qualunque cosa difettasse l’arsenale.

Col coraggio, la volontà e la costanza non v’è impossibile impresa; ed in ciò devo far giustizia al mio compagno e precursore John Grigg, che tanti affrontò disagi e vinse difficoltà nel condurre l’opera di costruzione dei due lancioni. Egli era giovine, d’indole eccellente, d’un coraggio a tutta prova, e d’immensa costanza. Di famiglia agiata, egli aveva generosamente consacrato la sua vita alla causa della Repubblica, e quando una lettera dei suoi parenti nord-americani lo chiedeva in patria annunziandogli una colossale eredità, egli aveva gloriosamente terminati i suoi giorni per un popolo infelice, ma generoso e valente. Io avevo veduto il tronco dell’amico mio, diviso in due: il busto era rimasto eretto, sulla coperta o tolda della Cassapara (goletta nostra armata in guerra) appoggiato alla murata (baluardo), colorito l’impavido volto, come vivente! ed il resto delle membra infrante era sparso attorno ed a qualche distanza dal busto. Una cannonata a palla e mitraglia sparata da vicino avea colpito a mezzo corpo il valoroso mio compagno nell’ultimo combattimento di mare, nella Laguna di Santa Caterina. Ed in quella guisa, mi si presentò in quel giorno quando io, incendiando la squadriglia per ordine del generale [p. 43 modifica]Canabarro, ascendevo il legno comandato da Grigg, e fulminato ancora dalla squadra nemica.

Dunque avevamo i lancioni in terra e lavoravasi alacremente a rattopparli. Parte dell’equipaggio era impiegata alle manovre, alle vele ec., altra nella macchia a raccoglier legna per far carbone. Ognuno era occupato, e coloro che non lavoravano erano alla guardia del campo, o in esplorazione nei dintorni. In alcune circostanze, Francisco de Abreus, detto Moringue, avea manifestato il desiderio di sorprenderci, e vi si era provato inutilmente, non mancando però di cagionarci qualche timore, per esser uomo coraggioso, intraprendente e praticissimo del Camacuan ov’era nato; e quella volta ci sorprese veramente da maestro.

Noi avevamo percorso la campagna tutta la notte con pattuglie a piedi ed a cavallo, e tutto il resto della gente era stato riunito nel galpon con armi cariche e pronte. Era una mattinata di nebbia, quindi nessuno si mosse sino a vederla dileguata intieramente; e dopo dileguata, si fecero delle esplorazioni fuori del campo in tutte le direzioni, colla maggiore esattezza. Erano circa le 9 antimeridiane, e nulla avendo scoperto, gli esploratori rientrarono, e s’inviò la gente alle rispettive loro destinazioni, la maggior parte al taglio delle legna per far carbone, per cui doveva allontanarsi alquanto nella foresta. In quel tempo, io avevo una cinquantina d’uomini per i due lancioni, ed in quel giorno, per combinazione e per vari bisogni, n’erano rimasti presso i legni ben pochi.

Io stavo seduto vicino al fuoco, ove cucinavasi la colazione, e prendevo del mate che mi serviva il cuoco, unico rimasto presso di me. Era una cucina di campagna, cioè all’aria aperta, distante circa quaranta metri dalla porta del galpon. Quando tutt’assieme, e mi sembrò sul mio capo, odo un tremendo tocco di carica e di deguello (sgozzamento), e vedo irrompere, girandomi di dietro, una folla di cavalieri nemici. Appena ebbi tempo di alzarmi e guadagnare l’entrata del galpon, [p. 44 modifica]con tutta l’agilità di cui ero capace, che già una lancia nemica aveva forato il mio poncho (cappotto americano o mantello).

Fortuna nostra che, essendo stati in allarme la notte, trovavansi tutti i nostri fucili carichi ed appoggiati alla parete, nell’interno del locale. Solo, in quel primo momento, io cominciai a scaricar fucili e rovesciar nemici.

Ignazio Bilbao, biscaino, e Lorenzo N., genovese, ambi valorosi ufficiali, mi furono a fianco in un momento, quindi Edoardo Matru, Natale, Raffaele, Procopio, uno mulatto, l’altro nero, ambi liberti, ed un nostruomo mulatto chiamato Francisco. Oh! vorrei ricordare il nome di tutti quei valorosissimi uomini in numero di quattordici che combatterono per varie ore contro centocinquanta nemici, uccidendone e ferendone molti sino a liberarsene completamente.

Fra i nemici vi erano ottanta Austriaci di fanteria, che solevano accompagnare Moringue in tali operazioni, ed eran buoni soldati a piedi ed a cavallo. Al loro giungere misero piede a terra ed attorniarono la casa, profittando degli accidenti del terreno, d’alcuni cespugli e casipole che circondavano lo stabilimento principale. Tale loro manovra fu la nostra salvazione. Fecero contro noi un fuoco terribile da tali posizioni, cioè contro il portone principale; ma, come succede sempre nelle sorprese, non ultimando l’impresa e fermandosi, essa difficilmente riesce.

Se invece di prendere posizione, i nemici avanzano sul galpon e lo invadono risolutamente, tutto era finito, non potendo certamente uno solo o pochi resistere a tanti; molto più che larghi da transitar carri carichi erano i portoni laterali del galpon, che restarono e lasciammo aperti sempre per non manifestar timore.

Invano affollaronsi contro le pareti tutto in giro, invano salirono sul tetto, distruggendolo, e precipitando sulle nostre teste rottami e fascine incendiarie. Dal tetto furono sloggiati a fucilate e colpi di lancie da [p. 45 modifica]feritoie praticate da noi nelle mura, e se ne uccisero e ferirono molti.

Poi per fingere molta gente, noi intuonammo l’inno repubblicano del Rio Grande: «Guerra, guerra! Fogo, fogo! contro os harharos tirannos! e tambem contro os patricios, che non son republicanos,» sforzando la voce il più possibile, mentre due dei nostri più forti brandivano una lancia ad ogni portone, e ne mostravano fuori il ferro, ciò che certamente rallentava negli assalitori la voglia di caricarci.

Verso le tre pomeridiane ritirossi il nemico, avendo molti feriti, tra cui il capo con un braccio rotto, e lasciando sei cadaveri intorno al galpon ed altri a varie distanze.

Noi avemmo otto feriti dei quattordici. Rossetti, Luigi e gli altri compagni nostri non poterono giovarci perchè lontani o disarmati, e con loro rammarico parte furono obbligati di passare il fiume a nuoto perseguiti dai nemici, alcuni s’inselvarono, uno trovato inerme fu ucciso.

Quel combattimento di tanto pericolo e con sì brillante risultato diede molta fiducia alla gente nostra ed agli abitanti di quelle coste, esposti da molto tempo alle scorrerie nemiche di quell’uomo scaltro ed audace.

Moringue fu incontrastabilmente il miglior capo degl’Imperiali, massime in spedizioni di sorpresa, ove riuniva ad un conoscimento perfetto del paese e della gente un’astuzia ed un’intrepidezza a tutta prova. Riograndense, ei fece gran danno alla causa repubblicana, e l’Impero deve a lui in gran parte la sottomissione della provincia.

Noi intanto celebravamo la nostra vittoria, godendo d’esser salvi da una tempesta di non poco momento. Alla estancia di donna Antonia, una vergine, a dodici miglia di distanza, chiedeva delle mie nuove con molto interesse, ed io n’ero ben’ felice.

Si! bellissima figlia del Continente (nome della provincia del Rio Grande), io ero felice d’appartenerti, [p. 46 modifica]comunque fosse! Tu destinata a donna di un altro! a me serbava la sorte altra Brasiliana, unica per me nel mondo, ch’io piango oggi, e che piangerò tutta la vita! Quella pure mi conobbe nella sventura, naufrago! e, più che del mio merito, forse della sventura s’invaghì, e la sventura me la consacrò per sempre!