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capitolo decimoquarto. 45

ritoie praticate da noi nelle mura, e se ne uccisero e ferirono molti.

Poi per fingere molta gente, noi intuonammo l’inno repubblicano del Rio Grande: «Guerra, guerra! Fogo, fogo! contro os harharos tirannos! e tambem contro os patricios, che non son republicanos,» sforzando la voce il più possibile, mentre due dei nostri più forti brandivano una lancia ad ogni portone, e ne mostravano fuori il ferro, ciò che certamente rallentava negli assalitori la voglia di caricarci.

Verso le tre pomeridiane ritirossi il nemico, avendo molti feriti, tra cui il capo con un braccio rotto, e lasciando sei cadaveri intorno al galpon ed altri a varie distanze.

Noi avemmo otto feriti dei quattordici. Rossetti, Luigi e gli altri compagni nostri non poterono giovarci perchè lontani o disarmati, e con loro rammarico parte furono obbligati di passare il fiume a nuoto perseguiti dai nemici, alcuni s’inselvarono, uno trovato inerme fu ucciso.

Quel combattimento di tanto pericolo e con sì brillante risultato diede molta fiducia alla gente nostra ed agli abitanti di quelle coste, esposti da molto tempo alle scorrerie nemiche di quell’uomo scaltro ed audace.

Moringue fu incontrastabilmente il miglior capo degl’Imperiali, massime in spedizioni di sorpresa, ove riuniva ad un conoscimento perfetto del paese e della gente un’astuzia ed un’intrepidezza a tutta prova. Riograndense, ei fece gran danno alla causa repubblicana, e l’Impero deve a lui in gran parte la sottomissione della provincia.

Noi intanto celebravamo la nostra vittoria, godendo d’esser salvi da una tempesta di non poco momento. Alla estancia di donna Antonia, una vergine, a dodici miglia di distanza, chiedeva delle mie nuove con molto interesse, ed io n’ero ben’ felice.

Si! bellissima figlia del Continente (nome della provincia del Rio Grande), io ero felice d’appartenerti, co-