Memorie autobiografiche/Primo Periodo/XIII
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Capitolo XIII.
Ancora Corsaro.
Io fui destinato all’armamento di due lancioni cbe si trovavano nel Camacuan, confluente della laguna dos Patos, e feci i miei preparativi per dirigermi a quella volta, con alcuni compagni venuti meco da Montevideo.
Rossetti rimase a Piratinim incaricato della redazione del giornale O Povo (il popolo), e certo nessuno meglio di lui era capace di dirigere un periodico repubblicano.
Giunsi sul fiume Camacuan nella estancia di Bento Gonçales, ove si trovavano i lancioni, che armammo, chiamandoli: Eepubblicano l’uno, di cui prese il comando il nord-americano John Grigg, ch’io avevo trovato in quel punto, e che avea assistito alla costruzione di detti lancioni. Io presi il comando del Rio Pardo, il maggiore dei due.
Principiammo a scorrere la laguna dos Patos e vi predammo una sumaca, assai grande e riccamente carica, che scaricammo nella costa occidentale del lago vicino a Camacuan ed a cui demmo fuoco dopo d’averne estratto quanto ci poteva essere utile per il nostro piccolo arsenale; quella prima preda fecondò alquanto la nostra piccolissima marina. La gente, che sino allora aveva avuto pochissimi mezzi, ricevette una pingue parte di presa, e si pensò nello stesso tempo a vestirla.
Gl’ Imperiali, che disprezzati ci avevano sinora, cominciarono a sentire la qualche importanza nostra nella laguna ed impiegarono i numerosi loro legni da guerra a perseguirci.
La vita che si faceva in quella classe di guerra era attivissima, piena di pericoli per la superiorità numerica del nemico e la di lui potenza in ogni ramo guerresco; ma nello stesso tempo bella e molto conforme all’indole mia, propensa alle avventure.
Essa non era limitata alla marina soltanto; noi avevamo a bordo sette cavalli, e ne trovavamo ovunque in quei paesi, ove sono abbondantissimi e tutt’assieme; quando lo richiedeva il caso, noi eravamo trasformati non in brillante ma temibile e temuta cavalleria.
Trovavansi sulle coste della laguna certe estancias, che le vicende della guerra avevano fatte abbandonare dai loro proprietari. Ivi trovavasi bestiame d’ogni specie per mangiare e per cavalcare. Di più, in quasi tutti quegli stabilimenti eranvi delle rossas (terreni coltivati) ove si trovavano in abbondanza ogni specie di legumi: formentone, fagioli, patate dolci e spesso aranci bonissimi in quelle contrade.
La gente che mi accompagnava era vera ciurma cosmopolita composta di tutto, e di tutti i colori come di tutte le nazioni. Gli Americani per la maggior parte, eran liberti neri o mulatti, e generalmente i migliori; e più fidati. Fra gli Europei avevo gl’Italiani, tra cui il mio Luigi ed Edoardo Matru mio compagno d’infanzia, in tutto sette su cui poteva contare. Il resto era composto di quella classe di marinari avventurieri conosciuti sulle coste americane dell’Atlantico e del Pacifico sotto il nome di Frères de la côte, classe che avea fornito certamente gli equipaggi dei filibustieri, dei bucanieri e che oggi ancora dava il suo contingente alla tratta dei neri.
Io trattavo la mia gente con bontà forse superflua, ignaro allora dell’indole umana, un po’ propensa alla perversità, quando l’uomo è educato, e massime poi se ignorante. Il coraggio non difettava certamente ai miei poco disciplinati compagni: essi mi ubbidivano puntualmente e pochi motivi mi davano d’esser con loro rigoroso; e ciò mi faceva contento, e devo confessare di aver avuto tal sorte tutta la vita, nelle differenti circostanze in cui mi son trovato a comandare gente di tal natura. In Camacuan, ove avevamo il nostro piccolo arsenale, e da dove era uscita la flottiglia repubblicana, abitavano per l’estensione della maggior parte del fiume, stendendosi sopra una superficie immensa, le famiglie tutte del presidente Bento Gonçales e dei fratelli di lui, con numerose famiglie e potenti.
Su quei vasti terreni e campi bellissimi pascolava immenso bestiame, che la guerra avea rispettato, per trovarsi fuori di mano. Le produzioni agricole vi eran pure in abbondanza.
Ora si osservi che in nessuna parte della terra si può trovare un’ospitalità più franca e cordiale di quella che si trova nella provincia del Rio Grande. In quelle case poi, ove incontravasi dovunque l’indole benefica del patriarca di quelle famiglie e la maggior simpatia per conformità d’opinioni, noi eravamo accolti certamente con affetto inesprimibile.
Le estancias, ove per prossimità alla laguna, e per i comodi, e per grata accoglienza, noi approdavamo con più frequenza, eran quelle di donna Antonia, e di donna Ana, ambe sorelle di Bento Gonçales: situata la prima nella foce del Camacuan, la seconda in quella dell’Arroyo Grande. Io non so se nella mia immaginazione abbia influito l’età mia, predisponendomi allora all’abbellimento d’ogni cosa, siccome giovane ed inesperto. Comunque sia, io posso assicurare che nessuna delle circostanze della mia vita mi si presenta al pensiero con più fascino, con più dolcezza, e più piacevole reminiscenza, di quella passata nell’amabilissimo consorzio di quelle signore e delle care loro famiglie.
In casa di donna Ana massimamente era per noi un vero paradiso. Avanzata di età, quella signora era d’un’indole incantatrice. Aveva seco una famiglia emigrata di Pelotas (paese sulla sponda del San Gonçales) il di cui capo era don Paolo Ferreira. Tre donzelle, una più vezzosa dell’altra, facevan l’ornamento di quel sito felice, ed una di loro, Manuela, signoreggiava assolutamente l’anima mia. Io mai cessai d’amarla, benché senza speranza, essendo essa fidanzata ad un figlio del presidente. Io adoravo il bello ideale in quell’angelica creatura, e nulla avea di profano l’amor mio. In occasione d’un combattimento, ov’io ero stato creduto morto, conobbi non esser io indifferente a quell’angelica creatura, e ciò bastò a consolarmi dell’impossibilità di possederla. D’altronde bellissime sono le Riograndensi in generale, come bella la popolazione. Non indifferenti erano pure le schiave di colore, che si trovavano in quei compitissimi stabilimenti.
Come si può capire, ogni qualvolta un vento contrario, una burrasca, una spedizione qualunque, ci spingevano verso l’Arroyo Grande, era per noi una vera festa.
Il boschetto di tirìvà (sorta di palma altissima), che c’indicava l’entrata del fiumicello, era riveduto sempre e risalutato con vero piacere, e con fragorosissime grida.
Quando ci toccava poi a trasportare i gentili e cari nostri ospiti sino a Camacuan, ove andavamo a visitare donna Antonia e l’amabile di lei compagnia, allora era un ravvolgersi, un affaccendarsi in cure, in attenzioni verso le belle viaggiatrici! un pavoneggiarsi a chi più potea, un certo che infine d’affetto, di rispetto, di venerazione, per quelle carissime creature!
Esistevano tra l’Arroyo Grande e Camacuan alcuni banchi di sabbia, chiamati pìintaì, che partivano dalla costa occidentale della laguna, e si stendevano quasi perpendicolarmente alla costa in quasi tutta la larghezza della stessa, giungendo colla loro estremità orientale vicino alla riva opposta, ov’erano terminati dal canale detto dos barcos. Se si fosse dovuto spuntare quei banchi nel tragitto dall’Arroyo Grande a Camacuan, sarebbesi prolungato il cammino moltissimo; ma siccome con qualche fatica potevasi valicare i banchi, cioè gettandosi tutti all’acqua e spingendo i lancioni a forza di spalle, tale spediente era quasi sempre adottato, massime quando onoravano i nostri lancioni le preziose viaggiatrici. Con qualunque vento giungevano i lancioni al limitare del banco, e s’investiva risolutamente; poi: all’agua, patos (all’acqua, anitre), era appena pronunciato, che tutti si trovavano al loro posto nell’onda gli anfibi e coraggiosi miei compagni, ed io con loro.
In tale circostanza era eseguito l’ordine con vero giubilo, comunque sempre ilaremente anche in altre occasioni. Succedeva qualche volta tale manovra quando eravamo perseguiti dal nemico, sempre più forte di noi, incalzati da un temporale; e noi eravamo obbligati allora di passare così nell’acqua alle volte tutta una notte, non trovando riparo all’acqua del mare, e sovente nemmeno a quella più fredda della pioggia per essere lontani dalla costa. Allora era un vero tormento e bisognava certo una fervida gioventù per sostenervisi e non soccombere.