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capitolo decimoquarto. 43

nabarro, ascendevo il legno comandato da Grigg, e fulminato ancora dalla squadra nemica.

Dunque avevamo i lancioni in terra e lavoravasi alacremente a rattopparli. Parte dell’equipaggio era impiegata alle manovre, alle vele ec., altra nella macchia a raccoglier legna per far carbone. Ognuno era occupato, e coloro che non lavoravano erano alla guardia del campo, o in esplorazione nei dintorni. In alcune circostanze, Francisco de Abreus, detto Moringue, avea manifestato il desiderio di sorprenderci, e vi si era provato inutilmente, non mancando però di cagionarci qualche timore, per esser uomo coraggioso, intraprendente e praticissimo del Camacuan ov’era nato; e quella volta ci sorprese veramente da maestro.

Noi avevamo percorso la campagna tutta la notte con pattuglie a piedi ed a cavallo, e tutto il resto della gente era stato riunito nel galpon con armi cariche e pronte. Era una mattinata di nebbia, quindi nessuno si mosse sino a vederla dileguata intieramente; e dopo dileguata, si fecero delle esplorazioni fuori del campo in tutte le direzioni, colla maggiore esattezza. Erano circa le 9 antimeridiane, e nulla avendo scoperto, gli esploratori rientrarono, e s’inviò la gente alle rispettive loro destinazioni, la maggior parte al taglio delle legna per far carbone, per cui doveva allontanarsi alquanto nella foresta. In quel tempo, io avevo una cinquantina d’uomini per i due lancioni, ed in quel giorno, per combinazione e per vari bisogni, n’erano rimasti presso i legni ben pochi.

Io stavo seduto vicino al fuoco, ove cucinavasi la colazione, e prendevo del mate che mi serviva il cuoco, unico rimasto presso di me. Era una cucina di campagna, cioè all’aria aperta, distante circa quaranta metri dalla porta del galpon. Quando tutt’assieme, e mi sembrò sul mio capo, odo un tremendo tocco di carica e di deguello (sgozzamento), e vedo irrompere, girandomi di dietro, una folla di cavalieri nemici. Appena ebbi tempo di alzarmi e guadagnare l’entrata del galpon,