Melmoth o l'uomo errante/Volume III/Capitolo VIII
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CAPITOLO VIII.
Il signor don Francesco Aliaga proseguendo l’indomani il suo viaggio non potè a meno di pensar seco stesso, che era cosa inconcepibile, che un uomo, al quale egli non aveva dato alcun incoraggiamento si ostinasse in tal guisa a volerlo accompagnare, ora raccontandogli delle storie che non avevano con se alcuna relazione, ora passando le giornate intiere al suo fianco senza aprire una volta sola la bocca. Signore, gli disse ad un tratto lo straniero per la prima volta in quella mattina, e come se avesse indovinato il pensiero del suo compagno di viaggio. Convengo che voi abbiate dovuto trovar cosa strana, che ieri io vi abbia tenuto tanto tempo occupato per farvi ascoltare una storia, che non aveva alcuna relazione con voi. Permettetemi di ricompensarvene con un’altra molto breve, ed alla quale mi lusingo, che prenderete tutto l’interesse. ― Voi mi assicurate, che questa sarà breve? rispose don Francesco. Senza dubbio, e vi dirò di più che sarà l’ultima con la quale io v’importunerò. ― Poichè è così proseguite in nome di Dio; ma soprattutto vi raccomando di non atterrirmi.
«Vi fu un tempo un certo mercante Spagnuolo, cominciò lo straniero, il quale per mezzo del commercio si acquistò una considerabile fortuna; ma al termine di alcuni anni avendo fatte delle cattive speculazioni credette di dover accettare l’offerta, che gli faceva uno de’ suoi parenti, di passare alle Indie e di formar seco lui una società. Vi si recò dunque con sua moglie e suo figlio lasciando in Ispagna una bambina ancor lattante.»
(Questa rassomiglia tutta la mia istoria, disse fra sè il signor d’Aliaga, senza poter immaginare, dove lo straniero volesse andare a parare.)
«Due anni ristabilirono non solo la sua fortuna, ma ancora fecero nascere in lui la speranza di aumentarla considerabilmente. Risolvette dunque di fissarsi alle Indie, è scrisse in Europa perchè la sua figlia andasse a raggiungerlo insieme con la sua nutrice, Mora di una fedeltà a tutta prova e che da molti anni era al suo servizio.»
(Anco questo mi ricordo essermi arrivato, osservò un’altra volta don Francesco, la cui concezione non era prontissima.)
«Si imbarcarono diffatti alla prima occasione che si presentò. La nave fece naufragio, e si divulgò la voce che la bambina e la nutrice erano perite con tutto l’equipaggio. Ma invece si seppe più tardi, loro sole essersi salvate, e che elleno erano sbarcate in un’isola deserta, ove la nutrice era morta di stento e di fatica, in tanto che la bambina aveva sopravvissuto ed era divenuta una bella figlia della natura, che viveva del frutto delle piante, dormiva sulle rose, beveva l’onda pura delle fonti, respirando l’armonia del cielo e ripetendo il piccol numero delle parole europee, che aveva apprese dalla sua nutrice in risposta ai canti degli augelli, al mormorio de’ ruscelli, la cui armonia pura ed innocente era d’accordo col suo cuore celeste.»
(Io non ho mai sentito parlare di tutto questo, riflettè il signor d’Aliaga.)
«Un vascello europeo avendo finalmente approdato in quell’isola, il capitano liberò questa amabile vittima della brutalità de’ suoi marinaii; e dalla lingua che parlava giudicando, lei essere spagnuola fissata nell’isola, risolvette di restituirla a’ suoi genitori. La condusse dunque a Benares, dove fece le necessarie ricerche e ne ritrovò la famiglia.»
(A queste parole don Francesco guardò lo straniero con un aspetto smarrito. Avrebbe voluto interromperlo, ma non ne ebbe la forza.)
«Io ho dipoi sentito dire, che questa famiglia è ritornata in Ispagna. La bella abitatrice dell’isola deserta è divenuta l’idolo dei vostri cavalieri di Madrid, di quei che passeggiano nel Prado. Ma, ascoltatemi bene! un occhio è fissato sopra di lei, il cui sguardo è più pericoloso di quello di un serpente! Un braccio sta pronto per impadronirsene e seco trarla! Cotesto braccio l’ha lasciata per un momento; i suoi muscoli fremono d’orrore e di pietà. Esso lascia in libertà la sua vittima e fa segno a suo padre perchè voli al suo soccorso! Don Francesco, mi comprendete voi ora? Questa storia ha qualche interesse per voi? ne sentite l’applicazione?»
Qui fece fine lo straniero; ma don Francesco muto per l’orrore non potè rispondergli, che per una debole esclamazione. Se io non m’inganno favellò lo straniero voi non avete un momento da perdere per salvare vostra figlia. Appena terminate queste parole spronò la mula e disparve per uno stretto sentiero in mezzo a delle roccie, che nessun viaggiatore poteva mai aver percorse. Il signor d’Aliaga non era per natura molto suscettibile di forti impressioni; senza di ciò il ricevuto avvertimento, la maniera misteriosa con cui gli era stato dato, il luogo selvaggio, ove si trovava, e d’onde aveva veduto di sparire sotto i suoi occhi lo straniero, avrebbero sopra di lui prodotto un effetto grandissimo. Egli, per vero dire, sulle prime risolvette di ritornare alla sua abitazione senza perdere un istante; e così scrisse ancora a sua consorte, ma essendo arrivato al luogo, ove divisava di passare la notte, vi trovò delle lettere, che concernevano i suoi affari. Un suo corrispondente gli annunziava un fallimento probabile di una casa di commercio in una città un poco distante dalla direzione che aveva presa per ritornare alla capitale, e dove la sua presenza poteva essere della più alta importanza pei suoi interessi. Trovò ancora delle lettere di Montillo, che gli dicevano, che la salute di suo padre era in una situazione tanto precaria, che non poteva abbandonarla finchè non fosse deciso della di lui sorte.
Dopo aver lette queste lettere lo spirito dal signor d’Aliaga riprese il suo consueto tenore. D’altronde l’immagine misteriosa dello straniero, e la rimembranza di quanto gli aveva raccontato, eransi a poco a poco dileguate dalla sua mente; fece anzi pompa in sè stesso di codesto obblio, ed attribuì a suo coraggio, ciò che non era, se non l’effetto della sua indifferenza. Si mise dunque in cammino per la città, ove lo chiamavano i suoi interessi, e scrisse alla moglie, che forse sarebbe trascorso qualche mese prima che potesse avvicinarsi a Madrid.
Il rimanente della notte terribile, in cui scomparve Isidora, fu passato per parte di donna Chiara in una tetra disperazione: perchè non ostante la freddezza del suo carattere, ella conservava ancora i sentimenti di madre, ed il buon padre Giuseppe partecipò del suo dolore. L’inquietudine di donna Chiara era aumentata dal timore della collera di suo marito e da’ rimproveri che farle poteva per aver lei trascurati in una maniera imperdonabile i doveri materni. Nel corso di quella notte terribile ella fu più volte tentata di risvegliare il figlio, e dimandargli consiglio e soccorso; ma la violenza conosciuta del carattere di lui la ritenne: se ne rimase dunque muta ed immersa in un profondo dolore fino a giorno. Allora ad un tratto mossa da un interno impulso si alzò dalla poltrona e si recò frettolosa all’appartamento della figlia, come se avesse immaginato, gli avvenimenti della precedente notte non fossero, che l’effetto di un sogno inquieto, il quale dovesse coi primi raggi dell’aurora dissiparsi.
Nell’avvicinarsi al letto vide Isidora che profondemente dormiva. Sulla bocca le stava dipinto un soave e tranquillo sorriso. Donna Chiara gettò un grido di gioia, il cui rumore risvegliò il padre Giuseppe che, all’avvicinarsi del giorno, vinto dal sonno, erasi addormentato sopra una sedia. Egli accorse con quella prontezza, ch’egli permetteva la sua naturale rotondità e la maraviglia fu in lui al colmo quando vide Isidora. Non lo disturbiamo, disse egli; e si ritirava. — O padre mio! non mi abbandonate, esclamò donna Chiara, in tanta estremità! Ciò che noi veggiamo è opera di magia, degli spiriti infernali! non la pensate voi, come me? Questa interrogazione era molto imbarazzante, tanto più che il buono ecclesiastico quantunque di un fondo eccellente, non aveva poi una istruzione molto profonda. Avrebbe voluto rispondere a donna Chiara in una maniera soddisfacente; ma il fatto sta che non seppe in quel momento spiegare ciò che vedeva.
Il punto più essenziale per donna Chiara era di nascondere, se fosse stato possibile, la momentanea assenza di sua figlia; onde sentì rinvigorire il suo coraggio quando nel corso della mattina ebbe rimarcato, che nessuno dei domestici sembrava esserne accorto, e che un sol vecchio servitore era assente. Fu ancora tranquillizzata di più pel ricevimento di una lettera di suo marito, il quale le annunzia va il prolungamento della sua assenza, perchè così le sembrò in certo modo di aver ottenuta una dilazione della sua sentenza. Mandò a chiamare il suo direttore spirituale per comunicargli ogni cosa, e mentre stavano conferendo insieme entrò nella sala donna Isidora, l’aspetto della quale ricolmo ambedue di maraviglia. L’esteriore di lei era tranquillo, e sembrava non avere alcuna idea della inquietudine e del dolore, che la sua assenza avea cagionato. Dopo i primi momenti di silenzio prodotto dalla sorpresa, ella fu oppressa per così dire dalle interrogazioni, che le furono fatte dalla sua genitrice e dal padre Giuseppe, le quali essi avrebbero potuto risparmiarsi, perchè tanto in quello, che ne’ giorni successivi nè le rimostranze, le preghiere e le minacce di donna Chiara, nè l’autorità del padre Giuseppe poterono estrarre da lei una sola spiegazione. Quando essi la pressavano, lo spirito di donna Isidora riassumeva quella indipendenza alla quale era assuefatta nella sua prima esistenza. Dessa era stata padrona delle sue azioni per lo spazio di diciasette anni, e quantunque dolce e trattabile di natura, se avessero voluto tirannizzarla, ella provava un sentimento di sdegno, che non poteva esprimere se non con un silenzio profondo.
Cotesto segreto però non poteva lungo tempo stare celato. Passarono alcuni mesi, e le visite del suo sposo fecero acquistare allo spirito di donna Isidora una tranquillità ed una confidenza abituale. Melmoth medesimo spogliavasi a poco a poco della sua feroce misantropia, convertendola in una specie di cogitabonda tristezza. Isidora vedeva questo cambiamento con una contentezza da non esprimere, e sperava che una più intima relazione con lei avrebbe potuto ridurlo al pari di tutte le altre creature umane e trattabile.
Una notte Melmoth trovò Isidora, che stava cantando un inno alla Vergine accompagnandosi col liuto, e mi sembra, le disse con un amaro sorriso che l’ora sia molto tarda per indirizzare le vostre preghiere. — Oh! gli rispose Isidora, le sue orecchie sono aperte tutte le ore per ascoltarci. — Se è così, mia amabile amica, aggiungetene un verso anco per me. — Ahimè! sclamò Isidora lasciandosi cadere di mano il liuto, voi non credete a quello che insegna la Chiesa! — Sì, ci credo quando ascolto voi. — Non credete che allora? Ripetete l’inno un’altra volta. Isidora obbedì, e stava osservando l’effetto che il suo canto faceva sopra di lui: egli sembrava commosso. Quando lo ebbe terminato le fece cenno d’incominciarlo di nuovo. Mio amico, gli disse allora Isidora; coteste ripetizioni, che mi fate fare mi sembrano piuttosto una rappresentazione teatrale, che una preghiera indirizzata a quel Dio che io amo. — Perchè parlate voi come se io punto partecipassi di questo amore verso Iddio? — Frequentate voi la Chiesa? (Un profondo silenzio fu la risposta di Melmoth. ) — Ricevete voi i Sacramenti? (Neppure a questa interrogazione fu data risposta.) Mi avete voi mai, non ostanti le reiterate mie preghiere, permesso di annunziare alla mia famiglia, che vive nella incertezza, il legame, che ci unisce? (Nessuna risposta.) Ed ora..... che... forse..... io non oso esprimere ciò che sento! Oh! come potrei osare di comparire avanti a degli occhi, che mi espiano sì da vicino!..... Che risponder potrei?.... Donna senza marito!..... Madre senza padre del frutto, che io porto nel seno, o almeno con un padre, che il giuramento più orribile mi forza a non mai dichiarare!.... O Melmoth! abbiate pietà di me, liberatemi da questo stato di violenza, di falsità e di dissimulazione; andate a reclamarmi come vostra sposa alla mia famiglia, e la sposa vostra vi seguirà, si unirà, a voi, perirà con voi!
Nel dire queste parole lo serrava fra le sue braccia e le sue lagrime inondavano il volto di Melmoth. Una donna non ci scongiura mai invano. Melmoth fu sensibile alla di lei preghiera, ma per un solo momento. Riguardando la sua vittima con aspetto serio ed inquieto, le dimandò se quello che gli aveva ella detto fosse vero. Dessa si allontanò involontariamente e non rispose che col suo silenzio. La natura si fece sentire al cuore di Melmoth, e disse fra sè stesso: il frutto che ella porta nel seno è mio, e qualunque cosa mi possa arrivare, lascerò dopo di me un ente, che pregherà pel suo genitore, anco quando io sarò caduto nelle fiamme, che mi arderanno per sempre, e le sue preghiere si ridurranno in vapore come una goccia di rugiada sulle sabbie ardenti del deserto!
A computare da quel giorno la tenerezza di Melmoth per sua moglie andò visibilmente aumentando; nessuno però sarebbe in grado di descrivere la sorgente dell’amore selvaggio col quale egli la contemplava, ed al quale mescolavasi sempre un poco di ferocia. Checchè ne sia egli parlò dell’avvenimento con quanta inquietudine un padre immergesi in tutti i sentimenti di umanità. Isidora, tranquillizzata per la condotta di lui, sopportò coraggiosa tutti gli incomodi inerenti alla sua nuova posizione, e che erano renduti più penosi da’ suoi proprii timori e dal mistero in cui era forzata ad invilupparsi. Sperava, che Melmoth la ricompenserebbe finalmente con una pubblica ed onorata confessione alla famiglia di lei; non esprimeva peraltro questa sua speranza se non col silenzio e coll’angelico sorriso.
Il momento fatale si avvicinava a gran passi, e le più crudeli inquietudini cominciarono ad agitarla sulla sorte di una creatura, che nascer doveva in tanto misteriose circostanze. Essendo venuto Melmoth e trovatala che piangeva: ahime! rispose quando egli ne dimandò il motivo. Non ho io ragioni sufficienti per piangere? Non vi siete che voi solo da poter disseccare la sorgente del mio pianto! Sento che l’avvenimento, che si approssima mi diverrà fatale. So che non vivrò abbastanza da vedere il figlio che da me nascerà, ed in tal persuasione esigo da voi la sola promessa, che possa consolarmi. Melmoth la interrupe per dirle, che i suoi timori erano l’effetto naturale della sua posizione, e che ben molte madri attorniate da una corona di figli sorridevano al pensare che ognuno di essi era loro costata la vita. Isidora fece un movimento col capo, e disse: i presentimenti che ho io sono di un genere, che credo nessun mortale averne di simili; io provo una impressione profonda ed inesplicabile. Quando mi trovo isolata mi sembra di udire una voce dal cielo che mi ordina di custodire il mio salto, e mi minaccia, se lo divulgo, che io non troverò, che degli increduli. O Melmoth! non vogliate sorridere in una maniera tanto spaventosa quando io parlo del cielo, e riflettete che forse in breve non avrete altri che me per intercedere in vostro favore. — Mia amabile santa, le disse Melmoth ridendo, ed inginocchiandosi davanti a lei, permettete che io incominci fin d’ora ad assicurarmi della vostra mediazione. Credete che null’altro mi starà tanto a cuore quanto il farvi canonizzare. Voi mi somministrerete certo un numero sufficiente di miracoli! — Possa la vostra conversione essere il primo! gli disse Isidora con una energia, che fece rabbrividire Melmoth. Ella gli strinse la mano, ed essendosi accorta che esso tremava, volle proseguire il suo immaginario trionfo. Melmoth! esclamò ella, io ho il diritto di esigere da voi una promessa. Ho fatto per voi il più grande sacrifizio, giammai femmina ha dato un esempio di una tanto perfetta sommissione: avrei potuto vedere gli sposi i più illustri depositare a’ miei piedi i loro titoli, le ricchezze loro: nelle prime ore delle mie sofferenze del parto le prime famiglie della Spagna si sarebbero affollate intorno alla mia porta. Ma io deggio soffrire la lotta terribile della natura, sola, senza sostegno, senza consolazioni, senza soccorso; mentre essa è terribile ancora a quelle, le cui sofferenze sono alleviate dalla presenza di una madre, e che sentono ripetere i primi vagiti della prole, che danno alla luce in mezzo alle acclamazioni festive di una famiglia intiera. O Melmoth! che deve dunque esser per me, che soffrirò nel silenzio e nella solitudine, che vedrò strapparmi di braccio la prole prima di averla potuta abbracciare? Accordatemi una cosa, una cosa sola: giuratemi che la prole che nascerà da me, sarà battezzata secondo il rito della Chiesa cattolica; allora se i miei funesti presagii si adempiono, io morrò almeno tranquilla pensando, che lascio dietro di me una creatura, che pregherà per suo padre e le cui preghiere esser potranno esaudite. Ah! se la mia voce non sarà degna di essere esaudita nel cielo, lo potrà ben esser quella di un cherubino. Il Salvatore, che si lasciava avvicinare i fanciulli, quando era in terra; non li rigetterà nel cielo. Oh! no.... no! egli non rigetterà il vostro. — E perchè dovrei ciò ricusarvi? le rispose Melmoth; no, no, il figlio che nascerà da voi sarà cristiano, maomettano... tutto ciò, che vorrete: perciocchè se voi cambiate divisamento, non avrete che a dirmelo.
In quel momento istesso si fecero udire le campane di un convento vicino, e quindi incominciossi a distinguere un canto solenne e monotono. Era l’uffizio de’ morti che i religiosi cantavano per uno de’ loro confratelli estinto. Ascoltate, disse Isidora, la voce che parla così non è forse quella della verità? Ah! se la verità non si trova nella nostra religione, non ce ne è sulla terra! Chi non riconosce un Dio non può avere un cuore. Oh mio amico! quando voi vi prostrerete sulla pietra, che mi coprirà, non desidererete voi, che l’ultimo mio sonno sia addolcito da una musica simile a questa? Promettetemi almeno che condurrete la mia prole verso la mia tomba, e che farete ad essa leggere la semplice iscrizione, che gli farà vedere, che io sono morta nella fede Cristiana e nella speranza della immortalità. Promettetemelo! giuratemelo! — Il vostro figlio sarà cristiano, le rispose Melmoth.