Melmoth o l'uomo errante/Volume III/Capitolo IX

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Charles Robert Maturin - Melmoth o l'uomo errante (1820)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1842)
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CAPITOLO IX.


La vita ritirata, che conduceva Isidora, l’umore di donna Chiara, cui la mancanza di penetrazione non permetteva di sospettare nulla di straordinario; queste circostanze unite alla foggia di vestire, che costumava in que’ tempi le permisero di nascondere il suo stato fino all’ultimo momento. Quando questo momento si approssimò, non è difficile immaginarsi tutti i preparativi, che ebbero luogo; e la nutrice importante, e la [p. 180 modifica]cameriera di confidenza ed il fedele e discreto medico. Melmoth procurò ad Isidora tutto il denaro di cui poteva abbisognare.

Una sera mentre tutto pareva indicare, che l’avvenimento avrebbe luogo l’indomani, Melmoth che era andato a visitare la sua sposa, le dimostrò una tenerezza od un’affezione straordinaria. La riguardò più volte in silenzio, e con una certa sollecitudine inquieta. Pareva che avesse qualche cosa da dirle, e che non si sentisse il coraggio di comunicare a lei. Isidora che ben comprendeva cotesto linguaggio muto di lui, sovente più espressivo della stessa parola, lo pressava a dirle ciò che pensava. Vostro padre ritorna, disse alla fine benchè contro voglia Melmoth; esso sarà certamente qui tra pochi giorni e forse tra poche ore. — Mio padre! esclamò ella, io non ho mai veduto mio padre! E come oserò a lui presentarmi?.... Ma la mia genitrice ne è informata?.... Perchè non me lo ha ella annunziato? ― Ella lo ignora fin qui, ma non tarderà molto ad [p. 181 modifica]esserne informata. E come avete voi fatto a sapere una notizia, che ella ignora? Melmoth fece una breve pausa; la sua fisonomia si ricuoprì di una certa tetra oscurità, che da molto tempo più non aveva; finalmente con alterigia ed una ripuguanza marcata le rispose: Non mi fate mai più simili interrogazioni. Gli avvisi, che vi do sono per voi più importanti, che i mezzi, de’ quali mi servo per ottenerli; basta che sieno veri, — Perdonatemi, amico mio; secondo tutte le apparenze io non vi molesterò più. Non mi vorrete perdonare l’ultima mia colpa? Melmoth era troppo riconcentrato nelle sue riflessioni perchè potesse rispondere alle dolenti parole della sua donna; pure dopo un momento di silenzio aggiunse: Il vostro sposo arriva in compagnia del vostro genitore...... Il padre di Montillo è morto.... tutto è concertato pel vostro sposalizio.... Vostro fratello, che è andato loro in contro, li accompagna..... Si darà una festa per celebrare le vostre prossime nozze..... Forse in questa festa [p. 182 modifica]udirete parlare d’un strano convitato..... io ci sarò!..... Isidora inorridì ed esclamò: una festa! una festa nuziale! Ma io sono già vostra sposa e prossima a divenir madre!

Quando ella ebbe terminate queste parole si udì un calpestio di cavalli. I domestici percorrevano tumultuosamente le camere e le sale per farsi incontro ai nuovi ospiti; Melmoth disparve all’istante con un gesto, che pareva simile ad una minaccia, ed Isidora in meno di un’ora s’inginocchiò avanti al padre, che ella non aveva giammai veduto, permise a Montillo di baciarle la mano, e corse quindi ad abbracciare suo fratello, il quale veggendola pallida e costernata fu quasi sul punto di rigettare le di lei carezze.

La riunione fu eseguita con tutta la solennità spagnuola. Una calma ingannevole regnava intorno ad Isidora, le cui inquietudini eransi dissipate veggendo, il momento, che ella temeva, esser meno prossimo di quello che aveva immaginato. Essa soffrì con una sufficiente pazienza i [p. 183 modifica]preparativi delle sue nozze; dimostrò del coraggio alle gravi felicitazioni de’ suoi genitori, e alle felicitazioni miste di egoismo di Montillo, sicuro di possedere la sua sposa in un colla dote, finalmente al consenso forzato di don Fernando, il quale non cessava di ripetere, che sua sorella avrebbe potuto pretendere un partito più cospicuo. Isidora ascoltava tutto con sangue freddo e diceva fra sè: quando la mia mano e quella di Montillo saranno già unite, Melmoth saprà bene strapparmi da lui. La persuasione vaga del potere soprannaturale di cui credeva dotato lo spirito di lui, e cotesta idea che le aveva cagionato tanto spavento nell’origine del suo amore, ora si era convertita nella sola risorsa, nell’unica speranza che le rimanesse.

Il cuore di don Francesco Aliaga si dilatava di mano in mano, che vedeva approssimare il momento che dovea mettere il sigillo ai progetti, che aveva egli stesso formati, e la sua borsa aprendosi insieme col cuore risolvette di dare una sontuosa festa [p. 184 modifica]per celebrare il matrimonio di sua figlia. Allorquando Isidora sentì far menzione di questa festa si rinsovenne della predizione di Melmoth e della promessa: io ci sarò; cotesta promessa le ispirò una orribile confidenza; ma a misura che vedevano i preparativi, quando si sentì consultare su i divertimenti da offrire e sulla decorazione degli appartamenti, il coraggio le mancò, e non rispose che con tronchi ed interrotti accenti, e con uno sguardo smarrito.

Fu deciso per un ballo in maschera, ed Isidora immaginandosi che Melmoth ne profitterebbe, attendeva con impazienza, che egli le comunicasse i mezzi che egli contava di mettere in uso per facilitar la sua fuga. Egli non le disse nulla, e questo silenzio terribile confermava ed abbatteva alternativamente la confidenza, che ella riponeva nel potere di lui. In un momento di disperazione ella esclamò: Rimuovetemi deh! rimuovetemi da questo luogo! io non reputo nulla la vita; ma la mia ragione è incessantemente minacciata. Non [p. 185 modifica]posso più a lungo sopportare l’orrore della mia posizione. In tutta la presente giornata mi hanno fatto percorrere degli appartamenti magnificamente decorati per un matrimonio impossibile! O Melmoth! se voi più non mi amate, abbiate almen compassione di me. Salvatemi! salvate il figlio vostro! mi avete pur detto, che potevate approssimarvi a queste mura ed entrarvi senza che persona vi vedesse; vi siete vantato della caligine in cui potete invilupparvi. Ebbene! ricopritevi con essa. Pensate alla notte terribile della nostra unione! Tremante io vi seguii; le barriere si aprivano al suono della voce; voi percorrevate un sentiero incognito, e ciò non ostante vi seguii. Oh! se voi realmente possedete questo misterioso potere, cui io non oso credere, e del quale non posso dubitare, fatene uso in questo estremo periglio. Facilitate la mia fuga; e quantunque io senta che non potrò vivere più a lungo per contestarvene la mia riconoscenza, riflettete che io parlo in nome di un ente senza voce, ma [p. 186 modifica]che un giorno ve ne ringrazierà per me!

Nel mentre che ella favellava in tal guisa, Melmoth ascoltandola attentamente guardava il silenzio. Alla fine le disse: Vi abbandonate dunque a me? — Ahimè non l’ho io già fatto? — Una interrogazione non equivale già ad una risposta. Volete voi, rinunziando a qualunque altro vincolo, a qualunque altra speranza, fidarvi a me solo, onde io trarre vi possa dall’imbarazzo crudele in cui vi trovate? — Sì, lo voglio. — Volete voi promettermi, che se vi rendo il servizio, che mi dimandate, se impiego per voi il mio potere, che mi attribuite, voi sarete mia?Vostra! e non lo sono già da gran tempo? — Voi vi date dunque tutta a me, alla mia protezione! Cercate volontariamente il soccorso del potere che io posso promettervi! Voi volete, che io impieghi cotesto potere per salvarvi?... Parlate! Io non posso esercitare questo potere, se voi non lo dimandate da voi medesima. Vi ho intesa fare questa dimanda; voi fatta [p. 187 modifica]l’avete. Fosse piaciuto al cielo, che non vi fosse venuta la volontà di farla! (Mentre Melmoth profferiva le suddette parole, i suoi lineamenti esprimevano un atroce dolore.) Ma voi avete ancor tempo di ritrattarvi. Rifletteteci bene! — Non volete voi dunque salvarmi dall’onta e dal pericolo?... Ed è questa la prova del vostro attaccamento per me?... Questo è dunque il potere, di cui vi siete tante volte vantato? — Se vi scongiuro a riflettere, se io stesso sono esitante, se tremo... non è per altro, che per darvi il tempo di ascoltare le ispirazioni del vostro buon Angelo... — Oh! salvatemi, disse Isidora prostrandosi ai piedi di lui, e voi sarete il mio angelo tutelare!...

Melmoth fremette all’udir queste parole. La sollevò, la consolò, con voce orrendamente cupa le promise d’assicurare la di lei fuga; quindi allontanandosi da lei ad un tratto si mise a percorrere la camera pronunziando delle parole interrotte; poscia scorgendo una magnifica veste donnesca preparata sur una seggiola [p. 188 modifica]esclamò: cosa significa questo sontuoso vestimento? — È la veste, che io deggio indossare per questa sera alla festa. Sento già lo cameriere che vengono per adornarmi. Oh! come palpiterà il mio cuore quando mi porrò in dosso cotesta ricca veste!... Voi pertanto non mi abbandonerete! soggiunse arrivata al colmo della inquietudine e della costernazione. Non dubitate di nulla, le rispose Melmoth con un tuono autorevole; voi avete implorato il mio soccorso e vi sarà accordato. Possa il vostro cuore esser più tranquillo quando vi leverete questa veste, che state per indossare, che al momento in cui la metterete!

L’ora avanzava e gl’invitati incominciavano ad arrivare. Isidora elegantemente vestita si aggirava per la sala, contenta della opportunità che le porgeva la maschera, di nascondere il pallore del volto. Ella non danzò che un momento con Montillo, scusandosi in seguito sotto il pretesto di dover assistere la sua genitrice nel ricevere gli amici della famiglia. Dopo un banchetto sontuoso incominciò [p. 189 modifica]di nuovo la danza, ed Isidora si recò nel salone in compagnia di tutti gli altri. Il cuore le batteva con violenza: Melmoth aveva promesso di venire a mezza notte: e vedeva nell’oriuolo che non ci mancava più d’un quarto d’ora. Il momento arrivò; suonò la mezza notte. Isidora, che aveva sempre tenuti gli occhi rivolti verso l’oriuolo, li ritirò con un movimento di disperazione; ad un tratto si sentì tirar dolcemente per la veste; una delle maschere se le avvicinò all’orecchio e le disse: Son qui! e nello stesso tempo le fece il segnale convenuto con Melmoth. Isidora non avendo forza di rispondere non fece che ripetere il segnale.

Affrettatevi, soggiunse egli, tutto è pronto per la nostra fuga: non c’è un momento da perdere; vi lascio per un istante, ma venitemi tosto a trovare sotto il portico occidentale; i fanali ne sono spenti, ed i domestici hanno dimenticato di riaccenderli. Silenzio e prontezza.

Favellando così disparve, ed Isidoro non tardò a seguirlo. Quantunque [p. 190 modifica]il portico fosse in realtà oscuro, il riflesso de’ lumi che ardevano nel salone le permisero di riconoscere Melmoth, il quale la prese, senza dirle nulla sotto il braccio, e la pressò ad abbandonare quel luogo.

Ferma, scellerato, ferma! gridò don Fernando, il quale seguito da Montillo si era slanciato fuori della porta del salone; ove trascini la mia sorella?... e tu, sciagurata, ove vuoi fuggire, e con chi? Melmoth voleva passar oltre tenendo sempre sotto il braccio Isidora, intanto che con l’altro si sforzava di respingere don Fernando; ma questi avendo tratta fuori la spada, si oppose ad amendue, e disse a Montillo di gridare al soccorso, di strappare Isidora al rapitore. Allontanatevi, allontanatevi! gridò Melmoth; voi andate incontro alla morte!... Io non cerco di spingervi alla tomba... mi basta una vittima in questa casa... Lasciateci passare o perirete! — Milantatore! dimostrate col fatto ciò che dite, rispose don Fernando calandogli un fendente, che Melmoth sì contento di [p. 191 modifica]riparare freddamente con la mano. Ponetevi in guardia, vile, o io farovvi vedere... Melmoth trasse fuori lentamente la sua spada e con una voce terribile: giovane incauto, gli disse, se io rivolgo soltanto questo ferro contro di voi la vostra perdita è inevitabile. Vogliate dunque esser più saggio e lasciateci parlare. Don Fernando non rispose, che con un secondo colpo, il quale forzò finalmente Melmoth a mettersi sulle difese.

Frattanto le grida d’Isidora erano pervenute fino al salone, dove si trovavano radunati i danzatori, che arrivarono in folla nel giardino dove erano pervenuti così altercando don Fernando e Melmoth, e con essi Isidora. I domestici sopraggiunsero portando delle faci accese; e la scena del combattimento, circondata da spettatori, offrì in un istante la chiarezza del giorno.

Separateli! separateli! salvateli! esclamava Isidora prostrata ai piedi de’ suoi genitori, che unitamente a tutto il resto contemplavano quello [p. 192 modifica]spettacolo sopraffatti da maraviglia e da terrore. Salvate mio fratello! salvate il mio sposo! continuava Isidora. In quell’istante la verità si manifestò tutta intiera allo spirito di donna Chiara, la quale dopo aver data un’occhiata d’intelligenza al padre Giuseppe, che era stato mandato a chiamare espressamente, cadde senza conoscimento sul suolo. Il combattimento fu tanto breve, quanto era diseguale. Melmoth passò due volte la sua spada a traverso del petto di don Fernando che spirò ai piedi di sua sorella. Uno spaventevole silenzio regnò per qualche tempo, ma fu quindi seguìto da un grido unanime: Sia preso il perfido omicida! Tutti incontanente circondarono Melmoth, il quale non fece neppure un movimento per difendersi, ma essendosi allontanato di qualche passo, riprese la spada nella guaina, e rimosse da sè gli aggressori con un semplice moto del suo braccio. La luce delle faci, che alcuni domestici tremanti alzavano in alto per guardarlo, cadendo in pieno sull’aspetto di lui, parecchie [p. 193 modifica]voci comprese da orrore esclamarono: Melmoth, l’uomo errante!

Son io!... sì, sono io!... (rispose) Chi pertanto oserà opporsi al mio passaggio? Chi vorrà farsi compagno della mia fuga? Io non cerco ora di farvi del male, ma non voglio esser trattenuto. Perchè mai questo insensato non ha piuttosto ceduto alla mia voce, che al mio brando?... Una sola corda sensibile poteva vibrare e muoversi nel mio cuore; questa corda si è spezzata per sempre! Io non tenterò più l’imbelle sesso! L’oragano che sbarbica le montagne ed atterra le città dovrà esso far prova della sua forza per isparpagliare le foglie di una rosa?

Mentre favellava così gli occhi di lui caddero sopra Isidora, che era caduta tramortita a lato di don Fernando. Egli si chinò verso di lei; sentì che respirava ancora, ed avvicinandosele all’orecchio, con voce bassa per non essere da nessuno ascoltato, le disse: Isidora, volete fuggire con me? Ecco il momento. Tutte le braccia sono paralizzate; tutti gli [p. 194 modifica]spiriti costernati! Isidora, alzatevi e fuggiamo! Ecco l’ora della vostra sicurezza! Isidora riconoscendo la voce di Melmolh, sollevò il capo per un momento, fissò primieramente gli occhi su di lui, gettò quindi un’occhiata dolorosa sul cadavere insanguinato del fratello, e ricadde sopra di quello. Melmoth sì rialzò precipitosamente; quelli che eran presenti fecero un movimento ostile, egli li guardò fiso, ed essi rimasero patrificati. Dopo ciò Melmoth attraversò il gruppo senza esser da veruno molestato, e non si arrestò se non quando si trovò vicino a don Francesco d’Aliaga, che muto per l’orrore contemplava la figlia ed il cadevere del figlio.

Vecchio infelice! Esclamò Melmoth guardando il padre sfortunato, che alzò le pupille per vedere chi fosse quegli, che gli indirizzava la parola, e che, quantunque a stento, riconobbe per lo straniero, il suo terribile compagno di viaggio; infelice vecchio!... voi foste avvertito!... ma trascuraste l’avviso... Io vi [p. 195 modifica]scongiurai di salvare la figlia vostra... sapeva io meglio di chiunque altri il pericolo, che ella correva... voi amaste più di salvare il vostro oro; paragonate dunque adesso ciò che avete perduto con quello, che vi rimane! Io mi collocai tra me e lei... vi feci avvertito... vi minacciai... non toccava a me di discendere alle preghiere. Vecchio infelice! mirate qual’è stato il resultato della vostra imprevidenza!

Dopo aver favellato così Melmoth incamminossi lentamente per partire. Delle esecrazioni involontarie lo seguirono, e l’ecclesiastico elevando la voce con indignazione esclamò: Parti, ente maladetto e per maladire! — Io parto vincitore e per vincere ancora, rispose Melmoth con un trionfo selvaggio e feroce. Nessuno ardì toccarlo; desso aveva la marca in fronte; quelli che la sapevano distinguere, sapevano altresì che ogni sforzo umano sarebbe stato inutile quelli che non la conoscevano provarono un orrore tale, che li rendette immobili. Melmoth abbandonò [p. 196 modifica]finalmente il giardino, ed all’istante medesimo si alzò un grido universale: bisogna abbandonarlo alla giustizia di Dio.