Meditazioni sulla economia politica con annotazioni/IV
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§. IV.
Principj motori del Commercio, e analisi del prezzo.
Il prezzo, esattamente parlando, significa la quantità d’una cosa che si dà per averne un’altra. Se in una nazione, a cui sia ignoto il denaro, un moggio di grano si cambierà in estate con tre pecore, e in autunno vi vorranno quattro pecore per l’istesso moggio di grano, in quella nazione, dico, sarà contrattato il grano a maggior prezzo in autunno, e le pecore saranno contrattate a maggior prezzo nell’estate. Prima dell’invenzione del denaro non potevano aversi le idee di compratore, e di venditore, ma soltanto di proponente, e di aderente al cambio. Dopo l’introduzione del denaro ebbe il nome di compratore colui che cerca di cambiare la merce universale con un’altra merce, e colui che cerca di cambiare una cosa qualunque colla merce universale si chiamò venditore.
Presso di noi che abbiam l’uso della merce universale, la parola prezzo significa la quantità della merce universale che si dà per un’altra merce. Ciò accade, perchè gli uomini generalmente non s’accorgono che il prezzo della merce universale medesima è variabile, e le universali esclamazioni dei popoli si restringono a lagnarsi del prezzo generalmente incarito di tutt’i generi, senza travedere che querele sì fatte rese universali come sono, provano appunto la diminuzione del prezzo della merce universale.
Il prezzo comune è quello, in cui il compratore può diventar venditore, e il venditore compratore, senza discapito o guadagno sensibile. Sia per esempio il prezzo comune della seta un gigliato per libbra, dico essere egualmente ricco colui che possede cento libbre di seta, quanto colui che possede cento gigliati, poichè il primo facilmente può, cedendo la seta, avere 100. gigliati, e parimente il secondo cedendo 100. gigliati aver 100. libbre di seta: che se maggior difficoltà vi fosse in uno di questi due a fare il cambio, allora direi che il prezzo comune non sarebbe più d’un gigliato per libbra. Il prezzo comune è quello, in cui nessuna delle parti contraenti s’impoverisce.
Giovi il riflettere, come il prezzo comune dipendendo dalla comune opinione degli uomini non può trovarsi se non in quelle merci, le quali siano comunemente in contrattazione. Le altre merci rare e di minor uso necessariamente debbono avere un prezzo più arbitrario, e variabile, dipendente dall’opinione di pochi, senza il contrasto d’un libero mercato, in cui cozzino in gran numero i reciproci interessi degli uomini per livellarsi.
Quai sono dunque gli elementi che formano il prezzo? Non è certamente il solo bisogno che lo constituisca. Per convincerci di questo, basta il riflettere che l’acqua, l’aria, e la luce del sole non hanno prezzo alcuno, eppure di niuna altra cosa abbiam tanto bisogno, quanto di queste. Le cose tutte, le quali comunemente si possono avere, non hanno prezzo alcuno, perchè il bisogno non basta a dar prezzo a una cosa.
Nemmeno la sola rarità d’una merce basta a darle prezzo. Una medaglia, un cameo antico, una curiosità d’istoria naturale, e simili oggetti, benchè fossero rarissimi e di sommo valore presso alcuni, o curiosi, o amatori, pure nel mercato troverebbero comunemente poco, o nessun prezzo.
L’abbondanza d’una merce influisce sul di lei prezzo; ma per nome d’abbondanza non intendo l’assoluta quantità di essa esistente, ma bensì la quantità delle offerte che se ne fanno nella vendita. Ogni quantità di merce occultata alla contrattazione non entra a influire nel prezzo, ed è come non esistente. Dirò adunque che l’abbondanza assoluta non è un elemento del prezzo, ma lo è l’abbondanza apparente. Il prezzo precisamente cresce (tutto il resto eguale) colla rarità della cosa che si ricerca.
Il prezzo delle cose vien formato adunque da due principj riuniti, bisogno, e rarità; o sia, quanto più sono forti questi due principj riuniti, tanto più s’innalza il prezzo delle cose; e vicendevolmente quanto più s’accresce l’abbondanza d’una merce, o se ne scema il bisogno, sempre anderà diminuendosi il di lei prezzo, e riuscendo a miglior mercato.
Riflettasi che quando si parla di commercio, o sia di permutazione di una cosa coll’altra, col nome di bisogno non s’intende già un sinonimo del desiderio, ma s’intende unicamente la preferenza che si dà alla merce che si ricerca, in paragone della merce che si vuol cedere. Dunque bisogno significherà l’eccesso della stima che si fa della merce che si desidera, in paragone di quella che si vuol cedere. Da ciò ne deriva che in quel paese, in cui la merce universale sia in grande abbondanza, se il bisogno delle merci particolari non sarà proporzionatamente grande, essa verrà a riuscire per conseguenza di minor pregio nella estimazione comune, e bisognerà cederne quantità maggiore per ogni merce particolare. Ma siccome l’effetto della merce universale, gradatamente e ripartitamente su molti entrando in uno Stato, si è di accrescere sempre più le voglie per le merci particolari, nè verrà quindi, che quanto la merce universale sarà meno ammassata, e più suddivisa in molti, tanto più conserverà di valore, e meno alzerà il prezzo delle merci particolari.
L’abbondanza apparente, cioè quella che contribuisce alla formazione del prezzo, cresce col numero delle offerte, e scema col numero delle medesime. M’intendo con ciò di dire che l’abbondanza apparente si misura col numero de’ venditori. Per conoscere questa verità si consideri, che se in una Città vi fosse alimento bastante per nutrire il popolo per un anno, ma questo alimento fosse in potere di un uomo solo, quel solo venditore condurrebbe al mercato giornaliero la sola quantità proporzionata alla vendita di quel giorno, e così le offerte sarebbero ridotte al minimo grado, l’abbondanza apparente sarebbe la minima possibile, conseguentemente il prezzo sarebbe il massimo possibile, dipendendo dalla sola discrezione di quel solo dispotico venditore.
Questa medesima vittovaglia suppongasi divisa in due venditori; se essi faranno un accordo fra di lor due, siamo nel caso di prima; ma se diventano emuli, e nasce fra di loro la gara di accumulare più sollecitamente la merce universale, allora si vedranno raddoppiate le offerte; ciascuno dei due porterà al mercato la porzione bastante per il giornaliere consumo, l’abbondanza apparente sarà accresciuta, e il prezzo diminuito.
Accrescasi con questa norma il numero de’ venditori, ella è cosa evidente che quanto più questo numero cresce, tanto più l’accordo fra di essi si rende difficile; tanto più si rende probabile l’emulazione e la concorrenza, tanto più dunque crescerà l’abbondanza apparente, e tanto più si diminuirà il prezzo della merce. L’abbondanza apparente dunque si misura col numero de’ venditori.
Si è detto, che il bisogno si misura sull’eccesso della stima che si fa della merce che si desidera in paragone di quella che si vuol cedere. Questo è vero, considerando ogni individuo separatamente; ma considerando la massa totale della società, con qual norma misureremo noi la quantità del bisogno? Dico che il numero de’ compratori sarà la vera misura del bisogno. Per conoscerlo ritorniamo a un consimile esempio: Siavi un solo monopolista d’una merce; si è veduto che allora l’abbondanza apparente sarà minima; ma se di essa merce vi sarà un solo compratore, anche il bisogno sarà minimo, poichè il prezzo dipenderà dal conflitto eguale di due sole opinioni. Che se in vece d’un solo compratore il monopolista abbia due compratori, allora potrà accrescere le sue domande, e così a misura che il numero de’ compratori crescerà, crescerà pure il bisogno constitutivo del prezzo. Il numero dunque de’ compratori è quello, dal quale deve desumersi la quantità del bisogno, che influisce nel prezzo. Crescasi il numero de’ venditori, tutto il resto eguale, l’abbondanza crescerà, e il prezzo anderà ribassando; crescasi il numero de’ compratori, tutto il resto pure eguale, e il bisogno crescerà, e il prezzo anderà accrescendo. Il prezzo adunque delle cose si desume dal numero de’ venditori paragonato col numero de’ compratori; quanto più crescono i primi, o si diminuiscono i secondi, tanto il prezzo si anderà ribassando, e quanto più si vanno diminuendo i primi e moltiplicando i secondi, tanto più si alzerà il prezzo. Siami permesso usare il linguaggio di quella scienza che considera le quantità, poichè di queste appunto si tratta, nè altrimenti so esprimermi con esattezza. Il prezzo delle cose è in ragione diretta del numero de’ compratori, e inversa del numero de’ venditori.
Se il Commercio adunque da nazione a nazione altro non è che il trasporto delle merci; se questo trasporto è cagionato dall’utile, se questo dipende dalla sola diversità del prezzo; se questo prezzo è constituito dal paragone fra il numero de’ compratori e il numero de’ venditori, ne verrà per conseguenza che una nazione tanto più troverà sfogo all’eccedente delle sue merci presso gli esteri, quanto più sarà grande il numero de’ venditori di essa merce presso di lei, e piccolo il numero de’ venditori presso la nazione, a cui deve trasmetterla, e vicendevolmente piccolo il numero de’ compratori interni, e grande il numero de’ compratori esteri. Così una nazione tanto meno riceverà di merci estere, quanto più venditori ne avrà e meno compratori, e quanto meno venditori e più compratori ve ne saranno ne’ paesi stranieri.
Annotazioni.
Il Commercio in realtà non è altro che un trasporto delle mercanzie da un luogo a luogo. Il Commercio non è un trasporto; questi n’è il mezzo, ma il Commercio è un Cambio, o laFonte/commento: Pagina:Verri - Meditazioni sulla economia politica, 1771.pdf/273 comunicazione delle merci.
Guadagno sensibile. Questa deffinizione del prezzo comune appartiene piuttosto al prezzo giusto: il prezzo comune è il prezzo, nel quale conviene costantemente il mercato delle merci, come il prezzo adeguato è il limite, al di sopra del quale, o al di sotto si regolano le altercazioni dei diversi contratti.
Per livellarsi. Il prezzo comune delle cose rare è il prezzo che hanno queste cose presso i respettivi ricercatori: è più arbitrario, cioè è meno conosciuto, ed ha una concorrenza più ristretta.
Come non esistente. Le cose non offerte alla vendita influiscono nel prezzo come possibilmente offeribili; le cose state offerte, e sottratte in seguito dall’offerta influiscono nel prezzo; le cose non esistenti presso di noi, non offerte alle nostre vendite, ma offerte altrove influiscono sul prezzo delle offerte, che si fanno alla nostra vendita.
Di commercio, o sia di permutazione di una cosa coll’altra. Quì il Commercio è sinonimo di permutazione; al principio di questo paragrafo è sinonimo di trasporto: dunque trasporto, e permutazione sarebber sinonimi.
Quella che si vuol cedere. Il bisogno non è la preferenza che si dà alla merce, che si ricerca sopra quella che si offre; tuttociò è un effetto del bisogno: dunque bisogno non significa eccesso di stima di una cosa sopra l’altra. Quando le cose sono contrattate, la stima è eguale da una parte, e dall’altra. Il bisogno ch’entra come elemento nel prezzo delle cose sarà un vero desiderio, ma la valutabilità di questo bisogno non sarà la energia del desiderio particolare di chi cerca una tal merce, ma la maggiore, o minor ricerca della maggior parte, il che si misura dalla comune utilità: dunque in ragion composta del bisogno comune, e della rarità si stabiliranno i prezzi delle cose.
Merci particolari. La merce universale, cioè il danaro non accresce le voglie de’ posseditori, dà però la facoltà di soddisfare alle voglie già esistenti. Molto meno poi accresce il numero di quelle cose, che contribuiscono al soddisfacimento delle voglie medesime. Egli è vero, che durante l’accrescimento della massa del danaro si anima l’industria, ma aumentata ch’ellaFonte/commento: Pagina:Verri - Meditazioni sulla economia politica, 1771.pdf/273 sia tutto si riduce al primo stato. Ma se secondo l’Autore accresce sempre più il numero delle voglie per le merci particolari, vi sarà in proporzione dell’aumento di questa merce universale un eccesso di stima per le merci particolari, che alzerà il prezzo di esse. Accrescersi sempre più le voglie per le merci particolari è una contraddizione.
Raddoppiate le offerte. Il solo Proprietario, o Offeritore di una merce, li due Offeritori della medesima offriranno rispettivamente in proporzione dei bisogni loro. La diminuzione del prezzo è in proporzione dell’aumento delle offerte; ma il numero di queste offerte è proporzionale ai bisogni delli offeritori, e l’emulazione, o la gara a diminuire il prezzo nasce dal timore di perdere quel che ricercano a vicenda.
Saranno ne’ Paesi stranieri. Pare che in questo paragrafo si consideri la quantità de’ compratori stranieri ed esteri, come i fluidi nei Tubi comunicanti, ove quanto si alzano da una parte, altrettanto si abbassano dall’altra, cioè quanto crescono i compratori interni, tanto diminuiscono gli esterni, e viceversa. In vece che crescendo i Compratori interni cresconoFonte/commento: Pagina:Verri - Meditazioni sulla economia politica, 1771.pdf/273 i venditori parimenti interni a misura che è libera la concorrenza delle arti, libera la produzione, e la circolazione: Picciolo è il numero de’ compratori interni, picciolo il numero de’ venditori interni, o sicuramente scarsa, e debole la produzione, o la fabbricazione: dunque sarà picciolo lo sfogo presso gli esteri; perchè sia nel commercio delle materie prime, come in quelle delle manifatture, si comincia sempre dall’interna consumazione: l’influenza dell’industria si allarga come i circoli concentrici eccitati nell’acqua da una materia, che vi si getti.
È indifferente, che i Compratori siano esteri o Interni; l’Importante è di accrescere la produzione delle materie, di ampliare e variare l’impiego delle medesime in maniera che ambidue questi oggetti siano utili ad un maggior numero possibile delle persone, che formano la Nazione. È quest’oggetto si ottiene, e si può ottenere col crescere de’ compratori tanto esteri, quanto interni. Anzi l’avvantaggio stà tutto dalla parte dell’aumento de’ compratori interni, perchè le spese intermedie degli agenti, o rivenditori, che passano tra il venditor primo, e l’ultimo compratore, sono minori.