Medea (Euripide - Romagnoli)/Secondo stasimo

Secondo stasimo

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Euripide - Medea (431 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Secondo stasimo
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coro

Strofe I
Gli amori che trasmodano
per troppa furia, agli uomini
non consiglian virtú, non dànno fama.
Se con misura invece appressa Cípride,
Diva non v’è che lei pareggi in grazia.
Signora, e mai non sia che tu dall’aureo
arco vibri su me l’inevitabile
freccia intrisa di brama.

Antistrofe I
Me tuteli, dei Superi
guiderdone bellissimo,
Saggezza; e mai, né garruli contrasti,
né risse insazïate, a me nell’animo
pel desiderio d’altrui letto susciti
la terribil Ciprigna. Io le pacifiche
nozze venero, eleggo delle femmine
sagge i talami casti.

Strofe II
O casa mia, mia patria,
deh, ch’io non resti priva

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di mia città, fra i lacci inestricabili
di miseria io non viva!
Morte mi colga; morte, pria di giungere
a simil giorno! Vivere
dalla terra natale
esule, è mal che supera ogni male.

Antistrofe II
Ho visto, e non già memore
parlo d’altrui parola,
che niun amico i tuoi tormenti orribili,
niun cittadin consola.
Muoia l’ingrato che all’amico schiudere
nega del cuore gl’intimi
serrami, e non gli fa
onore: amico mio mai non sarà.