Parte sesta

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Parte quinta
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PARTE SESTA



Argomento.

Sopraggiunge Rosilde, la quale il dolore avea quasi tratta di senno, e rampognando con acerba ironia Adelaide le predice il suo futuro matrimonio con Ottone e spira accanto a colui che mai non aveala amata e del cui amore proclamavasi sola meritevole. Berengario passa la notte accanto alla bara della sua diletta Rosilde e di Lotario in S. Ambrogio in Milano e ne diviene ad un tratto canuto.

 
     Chi vien? ahimè! qual démone
Rosilde or qui trascina?
Ella all’amato giovane
Giurò morir vicina.

     5Le ancelle invan la seguono
A rattenerla intente;
D’amor funesto vittima
Altro non ode e sente.

     Innanzi a quel cadavere
10Le manca e voce e vita...
Così la rosa inchinasi
Sul cespo inaridita.

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     Impetuosa sorgere
Fu vista in un baleno;
15Ed al garzone aspergere
Di pianto il volto, il seno,

     A nome poi chiamandolo
Con disperata ambascia:
E in preda a quelle smanie
20Così la sposa il lascia?

     Bagnar d’ardenti lagrime
Lo può la sua rivale,
Nè quelle stille scendonle
Al cor qual rio pugnale?

     25Ah no! di quella misera
Ella pietà sentia
Quando alle voci, ai gemiti
Di lei s’accorse in pria.

     Nè sdegno poscia accenderla
30Poteva allor che bieca,
Di gelosia, d’angoscia
Colei furente e cieca,

     Crude rivolse ingiurie
All’innocente oggetto
35Che di Lotario tolsele
Quaggiù l’ambito affetto.

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     Esser non può fra gli uomini
Cagion del suo lamento
Se non colui ch’è inizio
40E fin del suo tormento.

     Fuor che da quello origine
Gli affetti suoi non hanno;
Assorta in lui, che importagli
Se il mondo è a lei tiranno?

     45Altro poter quell’anima
In terra or più non move;
Con lui la sua letizia;
È la sua speme altrove.

     Conforto è sol ripetere
50Con dolorosa ebbrezza:
«Visse e moriva amandomi!»
Altro quaggiù non prezza.

     Ma quel che a lei di gaudio
È pura fonte e sola,
55Lo strazio inenarrabile
Dell’altra non consola.

     Rosilde ahi! refrigerio
Al suo martir non trova;
Le inaspra i fieri spasimi
60Quello che all’altra giova.

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     «Fu amata... oh ciel! fu l’ultimo,
Fu il primo suo sospiro!..»
Questo pensier terribile
La pasce in suo deliro.

     65Le fibre sue dilania;
E lei, che avventurata
Estima in suo cordoglio,
Pel braccio afferra e guata.

     Allor con indicibile
70Accento a lei rivolta,
Torva nel ciglio, irrompere
Fu udita: «O donna, ascolta!

     Col suo morir cessarono
Sovr’esso i dritti tuoi;
75L’impero suo dividere
Tal si dovea fra noi.

     Fin che animava un palpito
Quel cor, fu a me ribelle:
Però nostr’alme furono
80Sempre in amar sorelle.

     Ed or ch’egli è dal carcere
Del suo bel corpo sciolto,
Nè dalle umane tenebre
Scernere il ver gli è tolto,

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     85Di me dolente, abbomina
Certo l’antico errore;
E scopre a qual dovevasi,
Qual di noi merta amore.

     Sottrarlo a trame orribili
90Sola potuto avresti;
Col tuo rigore, o perfida,
Tu invece lo uccidesti.

     Tu per salvarlo, perdere
Temesti e vita e fama:
95Colei che nell’esilio
Niega seguir chi l’ama,

     Dritto non ha di piangerlo
Poi che per essa è spento:
Ira ei ne sente, o ipocrita,
100Lassù dal firmamento.

     Sol io l’amai; le insidie
Vili scoperte appena,
Pel suo mortal periglio
Sol di terror ripiena,

     105Scordai me stessa; infrangere
Volea le tue catene;
Chè teco irne sol profugo
Potea per stranie arene.

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     Non più dubbiosa e timida,
110Di vergine regale
Deposto ancor l’orgoglio,
Ogni onta, ed ogni male

     Avrei sfidato impavida
Sol per serbarlo in vita:
115Tanto potea chi amavalo
Per te da lui schernita!

     Oh alfine è mio! tu scostati;
Mio lo facea la morte:
Ed or Veggente rendemi
120Per tuo rossor la sorte.

     No, non m’inganno!.. accendonsi
Le nuzïali tede...
A Otton la mano porgere1
Ti veggio ... egli ha tua fede.

     125Tu ascendi un’altro talamo...
Ah vanne!.. or tutto è mio:
Mi squarcia il vel de’ secoli
Per tuo rimorso Iddio!..»

     Nel vaticinio brillano
130Que’ rai d’ardor funesto;
Che qual baleno spegnesi...
E aggiunge in suon più mesto:

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   «Donna, ad Otton tu serbati!
Non io, no, l’abbandono:
135Muoio con lui; tu prostrati
E invoca il suo perdono».

   In quel furore indomito
Essa Michel2 parea
Che dal punire è reduce
140Nel re la gente ebrea.

   L’altra nel suo silenzio
Non par terrena cosa;
È rassegnato un’angelo
Che sovra un’urna posa.






   145In Sant’Ambrogio3 è posta il dì vegnente
Di re Lotario la terrena spoglia;
Sterile affetto la pietosa gente
A torme tragge sull’augusta soglia.
Del sonno eterno è pur colà dormente
150Rosilde bella; e ognuno al pianto invoglia
Morta veder la vergine gentile
Spuntato appena de’ suoi dì l’aprile.

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     155Ma come scende tacita la sera
Vassene il volgo; e sol entro si chiude
Chi a quel leggiadro fior di primavera
E al prence insieme ora l’avel dischiude.
Presso al feretro è muto alla preghiera,
160E fa il terror le pene sue più crude,
Terribil notte che quell’alma ha dôma!
Nera pur ier, bianca è al mattin la chioma.


Note

  1. [p. 61 modifica]Adelaide che, ferma nel ricusare le nozze di Adalberto era tenuta prigioniera da Berengario nel castello di Canossa, fu cagione della venuta in Italia di Ottone il Grande che la sottrasse a’ suoi oppressori e la fece sua sposa.
  2. [p. 61 modifica]Si allude alla pestilenza che afflisse il popolo d’Israele regnando il gran salmista. Un gran poeta disse a questo proposito:
    .....che fè alla gente ebrea
    Caro il censo costar di Palestina.
  3. [p. 61 modifica]È storico che la salma di Lotario fu deposta in S. Ambrogio a Milano.