Lirica (Ariosto)/Canzoni/IV. - Filiberta di Savoia, sconsolata,...

IV. - Filiberta di Savoia, sconsolata,...

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IV. - Filiberta di Savoia, sconsolata,...
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IV

Filiberta di Savoia, sconsolata, invoca amaramente la morte per ricongiungersi al marito Giuliano dei Medici, che tutto il mondo, e specialmente Roma, ha lasciato in preda allo sconforto.

     Spirto gentil, che sei nel terzo giro
del ciel fra le beate anime asceso,
scarco dal mortal peso,
dove premio si rende a chi con fede
5vivendo fu d’onesto amore acceso,
a me, che del tuo ben non giá sospiro,
ma di me ch’ancor spiro,
poi che al dolor che ne la mente siede
sopra ogn’altro crudel non si concede
10di metter fine all’angosciosa vita,
gli occhi che giá mi fûr benigni tanto,
volgi alli miei, ch’al pianto
apron sí larga e sí continua uscita;
vedi come mutati son da quelli
15che ti solean parer giá cosí belli.


     La infinita inefabile bellezza,
che sempre miri in ciel, non ti distorni
che gli occhi a me non torni,
a me, che giá mirando, ti credesti
20di spender ben tutte le notti e i giorni;
e se levarli alla superna altezza
ti leva ogni vaghezza
di quanto mai qua giú piú caro avesti,
la pietá almen cortese mi ti presti
25che ’n terra unqua non fu da te lontana;
ed ora io n’ho da aver piú chiaro segno,

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quando nel divin regno,
dove senza me sei, n’è la fontana.
S’amor non può, dunque pietá ti pieghi
30d’inchinar il bel sguardo alli miei prieghi.


     Io sono, io son ben dessa; or vedi come
m’ha cangiata il dolor fiero ed atroce,
ch’a fatica la voce
può di me dar riconoscenza vera.
35Lassa! che al tuo partir partí veloce
da le guance, da li occhi e da le chiome
quella a cui davi il nome
tu di beltá ed io n’andava altèra,
ché mel credea, poi ch’in tal pregio t’era.
40Ch’ella da me partisse allora e s’anco
non tornasse mai piú, non mi dá noia;
poi che tu, a cui sol gioia
di lei dar intendea, mi vieni manco.
Non voglio, non, s’anch’io non vengo dove
45tu sei, che questo o ch’altro ben mi giove.


     Come possibil è, quando soviemme
del bel sguardo soave ad ora ad ora,
che spento ha sí breve ora,
o di quel dolce e lieto riso estinto,
50che mille volte io non sia morta o mora?
Perché, pensando all’ostro ed alle gemme
ch’avara tomba tiemme,
di ch’era il viso angelico distinto,
non scoppia il duro cor dal dolor vinto?
55Come è ch’io viva, quando mi rimembra
ch’empio sepolcro e invidiosa polve,
contamina e dissolve
le delicate alabastrine membra?
Dura condizion, che morte e peggio
60patir di morte e insieme viver deggio!

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     Io sperai ben di questo carcer tetro,
che qui mi serra, ignuda anima sciôrme,
e correr dietro all’orme
de li tuoi santi piedi, e teco farme
65de le belle una in ciel beate forme;
ch’io vederei, quando ti fusse dietro
e insieme udisse Pietro
e di fede e d’amor da te lodarme,
che le sue porte non potria negarme.
70Deh! perché tanto è questo corpo forte,
che né la lunga febre né il tormento,
che maggior nel cor sento,
potesse trarlo a disiata morte,
sí che lasciato avessi il mondo teco,
75che senza te, ch’eri suo lume, è cieco?


     La cortesia e il valor, che stati ascosi
non so in qual’antri e latebrosi lustri
eran molt’anni e lustri,
e che poi teco apparvero, e la speme
80che in piú matura etade all’opre illustri
pareggiassi di Publi e Gnei famosi
tuoi fatti gloriosi,
sí ch’a sentir avessero l’estreme
genti, ch’ancor vive di Marte il seme;
85or piú non veggio, né da quella notte
ch’alli occhi miei lasciasti un lungo oscuro,
mai piú veduti fûro;
ché ritornâro a loro antique grotte,
e per disdegno congiuraron, quando
90del mondo uscîr, tôrne perpetuo bando.


     Del danno suo Roma infelice accorta,
disse: — Poi che costui, Morte, mi tolli,
non mai piú i sette colli
duce vedran che trionfando possa

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95per sacra via trar catenati colli.
De l’altre piaghe, onde son quasi morta,
forse sarei risorta,
ma questa è in mezo il cor quella percossa
che da me ogni speranza m’ha rimossa. —
100Turbato corse il Tibro alla marina,
e ne die’ annonzio ad Ilia sua, che mesta
gridò piangendo: — Or questa
di mia progenie è l’ultima ruina. —
Le sante Ninfe, i boscarecci dèi
105trassero al grido a lacrimar con lei.


     E fu sentito in l’una e l’altra riva
pianger donne e donzelle e figlie e matri,
e da’ purpurei patri
alla piú bassa plebe il popul tutto;
110e dire: — O patria, questo dí fra li atri
d’Alia e di Canne a’ posteri si scriva;
quei giorni che captiva
restasti e che ’l tuo imperio fu distrutto,
né piú di questo son degni di lutto. —
115Il desiderio, signor mio, e il ricordo
che di te in tutti gli animi è rimaso,
non trarrá giá all’occaso
sí presto il violento fato ingordo;
né potrá far che, mentre voce e lingua
120formin parole, il tuo nome si estingua.


     Pon’ queste appresso l’altre pene mie,
ché di salir al mio signor, Canzone,
sí ch’oda tua ragione,
d’ogn’intorno ti son chiuse le vie;
125piacesse ai venti almen di rapportarli
che di lui sempre o pensi o pianga o parli!