Io sperai ben di questo carcer tetro,
che qui mi serra, ignuda anima sciôrme,
e correr dietro all’orme
de li tuoi santi piedi, e teco farme 65de le belle una in ciel beate forme;
ch’io vederei, quando ti fusse dietro
e insieme udisse Pietro
e di fede e d’amor da te lodarme,
che le sue porte non potria negarme. 70Deh! perché tanto è questo corpo forte,
che né la lunga febre né il tormento,
che maggior nel cor sento,
potesse trarlo a disiata morte,
sí che lasciato avessi il mondo teco, 75che senza te, ch’eri suo lume, è cieco?
La cortesia e il valor, che stati ascosi
non so in qual’antri e latebrosi lustri
eran molt’anni e lustri,
e che poi teco apparvero, e la speme 80che in piú matura etade all’opre illustri
pareggiassi di Publi e Gnei famosi
tuoi fatti gloriosi,
sí ch’a sentir avessero l’estreme
genti, ch’ancor vive di Marte il seme; 85or piú non veggio, né da quella notte
ch’alli occhi miei lasciasti un lungo oscuro,
mai piú veduti fûro;
ché ritornâro a loro antique grotte,
e per disdegno congiuraron, quando 90del mondo uscîr, tôrne perpetuo bando.
Del danno suo Roma infelice accorta,
disse: — Poi che costui, Morte, mi tolli,
non mai piú i sette colli
duce vedran che trionfando possa