Liguria preistorica/Parte terza/Capitolo I

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PARTE TERZA



I. INCISIONI RUPESTRI



Considerazioni generali.


Allo studio delle reliquie preistoriche fu attribuita scherzosamente la definizione di archeologia degli analfabeti, per la circostanza che suol essere coltivato da persone incompetenti nelle lingue e nell’archeologia classiche ed anche per alludere al supposto che tali reliquie appartengano a gente che non conobbe la scrittura.

È avvenuto della paletnologia come di ogni vena di scibile, che, cioè, massime nei primordi, fosse coltivata da dotti e indotti, e che, nel fervore delle prime ricerche, si raccogliessero con sollecitudine frustoli di prezioso metallo e pagliuzze di mica lucenti, ma destituite di ogni valore.

Non perciò i suoi cultori meritano la taccia collettiva di analfabeti, come non si addice il vanto di letterati a tutti i decifratori di epigrafi.

Che i popoli primitivi, ignari di ogni industria tranne quella di fabbricar rozze armi e suppellettili colla pietra o coll’osso, che i cavernicoli dei tempi più remoti non conoscessero la scrittura non fa d’uopo dimostrarlo.

La paletnologia ha però messo in chiaro come talvolta costoro, pel singolare sviluppo di peculiari attitudini intellettuali di cui erano dotati, fossero in grado di tradurre le loro impressioni, forse di serbar traccia di eventi memorabili, mediante figure di uomini e di animali graffite, [p. 458 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/464 [p. 459 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/465 [p. 460 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/466 [p. 461 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/467 [p. 462 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/468 [p. 463 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/469 [p. 464 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/470 [p. 465 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/471 [p. 466 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/472 [p. 467 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/473 [p. 468 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/474 [p. 469 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/475 [p. 470 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/476 [p. 471 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/477 [p. 472 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/478 [p. 473 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/479 [p. 474 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/480 [p. 475 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/481 [p. 476 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/482 [p. 477 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/483 [p. 478 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/484 [p. 479 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/485 [p. 480 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/486 [p. 481 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/487 [p. 482 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/488 [p. 483 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/489 [p. 484 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/490 [p. 485 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/491 [p. 486 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/492 [p. 487 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/493 [p. 488 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/494 [p. 489 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/495 [p. 490 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/496 [p. 491 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/497 [p. 492 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/498 [p. 493 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/499 [p. 494 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/500 [p. 495 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/501 [p. 496 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/502 [p. 497 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/503 [p. 498 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/504 [p. 499 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/505 [p. 500 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/506 [p. 501 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/507 [p. 502 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/508 [p. 503 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/509 [p. 504 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/510 [p. 505 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/511 [p. 506 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/512 [p. 507 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/513 [p. 508 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/514 [p. 509 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/515 [p. 510 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/516 [p. 511 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/517 [p. 512 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/518 [p. 513 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/519 [p. 514 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/520 [p. 515 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/521 [p. 516 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/522 [p. 517 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/523 [p. 518 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/524 [p. 519 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/525 [p. 520 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/526 [p. 521 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/527 [p. 522 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/528 [p. 523 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/529 [p. 524 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/530 [p. 525 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/531 [p. 526 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/532 [p. 527 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/533 [p. 528 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/534 [p. 529 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/535 [p. 530 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/536 [p. 531 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/537 [p. 532 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/538 [p. 533 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/539 [p. 534 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/540 [p. 535 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/541 [p. 536 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/542 [p. 537 modifica]Pagina:Liguria preistorica.djvu/543 [p. 538 modifica] L’ ipotesi che attribuisce i bizzarri geroglifici ad Annibale raccolta da Elisée Reclus, come quella che li vuol tracciati per opera dei Cartaginesi guidati dai duci che militavano col celebre condottiero, caldeggiata da Fodere, son prive di ogni sussidio storico, etnografico ed archeologico. Superfluo il dimostrare, pur ammettendo il transito pel varco di Tenda di un’oste cartaginese, quanto è inverosimile supporre che si sia indugiata a scolpir migliaia di figure sulle rupi, in regione lontana da ogni via praticabile e nella quale regna quasi perennemente il rigor dell’ inverno.

Con maggior verosimiglianza fu sostenuta dal compianto professore Emanuele Celesia la tesi che gli artisti di Val d’Inferno e di Val Fontanalba fossero Fenici approdati in tempi antichi, per ragioni di commercio, ai lidi della Liguria, ed ascesi poi fino alle alte pèndici di quelle Alpi, per fare incetta dei preziosi metalli forniti loro dalla miniera di Vallauria, coltivata da epoca remotissima 1.

Bicknell osserva opportunamente che, se i Fenici seppero estrarre dai loro giacimenti rame e stagno, non risulta che coltivassero miniere di piombo.

Egli tuttavia non è alieno dal riconoscere, con Celesia, l' influenza fenicia in taluno dei segni che più spesso si ripetono sulle pietre scolpite di quelle valli. Io soggiungo, in proposito, che uno dei riscontri più notevoli sui quali Celesia fondava la sua tesi, il ritrovamento cioè della croce ansata dei Fenici, non si concilia colla interpretazione razionale di numerose figure cornute della Valle di Fontanalba, figure spesso ridotte a segni schematici, nei quali l’asta verticale è convertita in croce da una sbarra che la taglia trasversalmente.


[p. 539 modifica] Mader non reputa probabile, come crede taluno dei suoi predecessori, che i segni e figure di cui ci siamo occupati sieno dovuti ai Fenici, i quali coltivavano forse la miniera di Vallauria, non per estrarne piombo, di cui facevano poco o niun conto, ma argento, rame e zinco 2.

Sarebbero documenti di molto valore, a prò di certe affermazioni ed ipotesi, gli antichi manufatti rinvenuti, secondo Celesia, in questa miniera; ma, disgraziatamente, non furono veduti da alcuna autorità competente.

Non mancano autori che ravvisano tracce di una influenza fenicia anche nelle immagini scolpite sui monumenti megalitici, massime su quelli situati alle foci dei fiumi e in riva al mare, e ciò non solo in Europa, ma nel Nuovo Continente. Infatti Levistre, nell’ illustrare i geroglifici della Pierre du Petit-Mond (Morbihan) e dei megaliti di S. Luis in Bolivia e di Dighton-Rock, nel Massachusetts, come pure*Ouffroy de Thoron, nel suo opuscolo Les Phéniciens à l' Ile d' Haiti, sostengono questa tesi, la quale, malgrado il ripetersi in punti fra loro tanto lontani di alcuni motivi caratteristici, mi pare assai ardita per non dire arrischiata.

Molon stima che le nostre incisioni rupestri sieno saggi di scrittura lasciati da popoli aborigeni allo scorcio dell’età della pietra e quando già cominciava a diffondersi la cognizione dei metalli ; e sarebbe ipotesi verosimile se l’arte degli aborigeni, quale si palesa nei più antichi manufatti, in parte coevi con quelli delle caverne, non fosse improntata a caratteri assai diversi.

Le rarissime immagini d’uomini o d’animali, modellate in terra cotta dagli antichi Liguri, non offrono alcuna analogia colle figure incise nella Valle di Fontanalba. Simil

[p. 540 modifica]mente non si può ravvisare la più lontana relazione fra i bronzi delle stazioni preistoriche del nostro territorio e i disegni delle bizzarre falci sopradescritte.

Escluse, in seguito a plausibili considerazioni, le ipotesi che attribuiscono le incisioni ai Cartaginesi e ai Saraceni, Bicknell conclude che gli ignoti artefici furono gente di origine affricana dedita all’ agricoltura e forse anche alla caccia, stabilita in qualche punto del vicinato. Egli crede che due popoli affini, ma diversi, abbiano lasciate le proprie vestigia nelle valli delle Meraviglie e di Fontanalba.

Bicknell non è inclinato a comprendere fra i geroglifici propriamente detti le figure scolpite, perchè nella massima parte sparse senza ordine, e dice che in certi casi la stessa figura fu eseguita in più tempi da mani diverse. Egli ammette che furono tutte scolpite di proposito deliberato, per soddisfare al sentimento religioso, e ricorda in proposito, senza però ritenerla confermata dai fatti, l’opinione di Moggridge, il quale vede nelle incisioni delle Alpi Marittime qualche cosa di simile ai segni mistici che alcuni popoli delle alte regioni montane, presso il limite delle nevi perenni, sogliono tracciare allo scopo dì tramandare alla posterità la memoria di fatti importanti. Tutti i popoli primitivi, soggiunge, tennero in conto di sacri certi monti, laghi o boschi, i quali erano per essi, in qualche modo, manifestazioni di un mondo invisibile, dì misteriose e potenti forze naturali. Con ciò non è necessario accogliere il supposto del Sìg. Edmond Blanc, secondo il quale gli artefici preistorici adoravano una terribile divinità infernale.

Il Monte Bego, visibile da gran distanza (chiaramente si proietta nella Valle di Roia dal ponte di Ventimiglia), può essere stato oggetto di culto per gli antichi visitatori, tanto più che le rupi a superficie levigate e a smaglianti

[p. 541 modifica]colori, allora emergenti dalle tetre foreste onde erano vestiti i suoi fianchi, dovevano fissar l’attenzione ed eccitar la fantasia di gente semplice e superstiziosa. Tali rupi apparivano probabilmente più liscie alcune migliaia di anni addietro che non al presente, avverte Bicknell, ed era forse meno sviluppata la cotica di muschi e licheni, che ora aderisce alle parti di esse più profondamente alterate dagli agenti esterni.

Gli odierni pellegrinaggi religiosi e civili, pei quali una moltitudine di persone di ogni ceto e di ogni età conviene periodicamente, da lontani paesi, in certi punti venerati, perchè si connettono ad avvenimenti memorabili, od anche a tradizioni o a miti, e lascia tracce della sua visita con inscrizioni o segni particolari, come pure con ex-voto, tributi, offerte di vario genere, ci forniscono plausibile spiegazione del fenomeno che qui consideriamo.

In altre parole, le figure incise erano in certo modo ricordi e segni di un culto remoto, offerte votive, invocazioni a potenze invisibili, benefiche o maligne, espressione di desideri relativi alla prosperità e sicurezza della tribù o di singoli individui, alla conservazione degli armenti, alla abbondanza dei raccolti, al buon successo delle imprese venatorie o guerresche. Si tratta, soggiunge il nostro autore, di invocazioni, le quali, per coloro che le incidevano nella viva pietra, dovevano essere valide non solo nel presente, ma anche nel lontano avvenire.

Le figure cornute in molti casi, come si è già detto, significavano indubbiamente bovi, ma in altri avevano forse significato analogo a quello che anche ai dì nostri si attribuisce alle corna, quali talismani atti ad allontanare il mal’ occhio o la jettatura. Cosi si spiegherebbe, secondo Bicknell, immenso numero di emblemi cornuti incisi in quelle alpestri regioni. D’altra parte, le figure che consistono in una semicirconferenza, inferiormente alla


[p. 542 modifica]quale si innesta una retta, sono identiche ad un nòto segno alfabetico fenicio, e costituirebbero un riscontro storico assai importante, se non si verificasse, come si è detto, una transizione graduata fra le dette figure e le rozze, ma evidenti, immagini di bovi tanto comuni nella Valle di Fontanalba e in quella delle Meraviglie.

L’ autore precitato accenna ad alcuni segni da lui rinvenuti colassù, che furono spesso tracciati dai popoli preistorici, per esempio dagli edificatori dei dolmen, segni pur compresi negli alfabeti cretese, libico, etrusco, paleogreco. Soggiunge che altri da lui raccolti sono simili a numeri primitivi, ma non inclina ad attribuir loro questo significato, perchè compariscono solo per eccezione.

Lissauer attribuisce i segni da noi descritti agli Iberi, ciò principalmente a motivo dei tipi cui si riferiscono alcune delle armi rappresentate, e soggiunge che dodici o tredici secoli prima dell’era volgare questo popolo frequentava per scopi commerciali una via (la via Erculea), la quale poneva in relazione la Spagna orientale col Piemonte per Antibo, Nizza, Villafranca, la Turbia, attraversando lo spartiacque, secondo ogni verosimiglianza, al passo di Tenda. Senonchè, per generale consenso dei paletnologi italiani, gli Iberi e i Liguri appartenevano ad una medesima stirpe, ia quale, con caratteri antropologici ed etnografici comuni, avrebbe occupato il territorio compreso fra la penisola Pirenaica e la Valle del Po, come pure gran parte della penisola Italiana, la Corsica, la Sardegna e la Sicilia. Se si vogliono autori delle incisioni rupestri gli Iberici così stretti parenti dei Liguri, perchè, non si attribuiranno invece a questi ultimi?

Comunque sia l’ipotesi alla quale accenno merita di essere tenuta in molta considerazione.

Presso l’antichità classica sì riferivano gli abitanti di un dato territorio o paese ad un popolo o all’altro, sulla

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Le figure della Valle Fontanalba, meno infantili e più complicate di quelle della Valle d’Inferno e dei territori vicini, sono verosimilmente alquanto posteriori.

  1. La tradizione attribuisce gli scavi della miniera ai Saraceni, che la fantasia popolare avrebbe per anacronismo sostituito ai Fenici.
  2. Egli non nega però che possono aver esercitato qualche influenza sugli autori delle incisioni.