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mente non si può ravvisare la più lontana relazione fra i bronzi delle stazioni preistoriche del nostro territorio e i disegni delle bizzarre falci sopradescritte.
Escluse, in seguito a plausibili considerazioni, le ipotesi che attribuiscono le incisioni ai Cartaginesi e ai Saraceni, Bicknell conclude che gli ignoti artefici furono gente di origine affricana dedita all’ agricoltura e forse anche alla caccia, stabilita in qualche punto del vicinato. Egli crede che due popoli affini, ma diversi, abbiano lasciate le proprie vestigia nelle valli delle Meraviglie e di Fontanalba.
Bicknell non è inclinato a comprendere fra i geroglifici propriamente detti le figure scolpite, perchè nella massima parte sparse senza ordine, e dice che in certi casi la stessa figura fu eseguita in più tempi da mani diverse. Egli ammette che furono tutte scolpite di proposito deliberato, per soddisfare al sentimento religioso, e ricorda in proposito, senza però ritenerla confermata dai fatti, l’opinione di Moggridge, il quale vede nelle incisioni delle Alpi Marittime qualche cosa di simile ai segni mistici che alcuni popoli delle alte regioni montane, presso il limite delle nevi perenni, sogliono tracciare allo scopo dì tramandare alla posterità la memoria di fatti importanti. Tutti i popoli primitivi, soggiunge, tennero in conto di sacri certi monti, laghi o boschi, i quali erano per essi, in qualche modo, manifestazioni di un mondo invisibile, dì misteriose e potenti forze naturali. Con ciò non è necessario accogliere il supposto del Sìg. Edmond Blanc, secondo il quale gli artefici preistorici adoravano una terribile divinità infernale.
Il Monte Bego, visibile da gran distanza (chiaramente si proietta nella Valle di Roia dal ponte di Ventimiglia), può essere stato oggetto di culto per gli antichi visitatori, tanto più che le rupi a superficie levigate e a smaglianti