Lezioni sulla Divina Commedia/Primo Corso tenuto a Torino nel 1854/VII. Allegoria generale del poema dantesco

Primo Corso tenuto a Torino nel 1854 - VII. Allegoria generale del poema dantesco

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Lezione VII

ALLEGORIA GENERALE DEL POEMA DANTESCO


In ciascuna finzione dantesca si nasconde una veritá o moralitá spesso volgare: talora il poeta stesso ne fa accorto il lettore, come nei noti versi:

                                         O voi che avete gl’intelletti sani,
Mirate la dottrina che s’asconde
Sotto il velame degli versi strani.
               


Dove egli, secondo che nota un cementatore, intende nel fattodi Medusa mostrarci come l’uomo rimane facilmente invescato ne’ diletti sensuali, quando non si copre con lo scudo della ragione. Forse ha voluto intender questo, forse altro: gli è una specie di fabula docet, di quelle massime triviali di prudenza e di sapienza, che si possono cavare a dozzina da ogni favola e da ogni racconto. Il lettore, se veramente ha l’intelletto sano, non si dee dar pensiero piú che tanto di questi concetti affatto estrinseci al contenuto poetico, che si possono applicare a tutte le poesie, di quegli ammaestramenti che l’avolo, il babbo, il maestro sogliono trarre coi denti dalle storie e che non valgono che ad annoiare i fanciulli: essi ricordano il fatto ed obliano il precetto. Per gustare la poesia egli è necessario che noi ci abbandoniamo alla favola con tutta l’anima, con perfetta illusione. Se voi mi arrestate bruscamente e mi dite: — Guardate, tutto ciò è immaginato a bello studio per insegnare questo e [p. 46 modifica]questo — , voi distruggete la mia illusione, mi togliete al mio esaltamento poetico e mi gittate in uno stato prosaico. Di questi concetti che restano fuori della favola non porta il pregio che si ragioni piú oltre: il concetto è sparito e la favola è rimasta; ed essa basta a sé sola. Ben vogliamo intrattenerci intorno a ciò che si chiama allegoria generale del poema, come quella che penetra nella essenza stessa della poesia.

L’uomo traviato dal senso può solo con la guida della ragione e con l’aiuto della Grazia ammendarsi e salvarsi: ecco il succo dell’allegoria dantesca, il senso astratto della Divina Commedia nella sua forma piú generale. In questo concetto ci ha due punti estremi, e si va dall’uno all’altro, dal sensibile al razionale, dal terreno al divino, dalle false immagini di bene, dall’apparenza al vero bene, alla sostanza.

                                         E volse i passi suoi per via non vera,
Immagini di ben seguendo false.
Che nulla promission rendono intera.
               

Nel giro della realtá il mondo de’sensi è la terra, sottoposta all’accidente ed alle passioni; il mondo dello spirito, razionale, etico, o morale che vogliam dirlo, è l’altro mondo, il mondo immutabile della veritá e della giustizia. La poesia comincia dal punto che il poeta traviato in mezzo alle vanitá, alle superbie, alle ambizioni terrene, e disperando di uscirne salvo, vede innanzi a sé dispiegarsi l’altro mondo, il mondo dello spirito, interpretatogli dalla Ragione e dalla Fede.

                                         .    .    .    .    .    .    Tutti argomenti
Alla salute sua eran giá corti,
Fuor che mostrarli le perdute genti.
               

In questa situazione lo stato di traviamento, lo stato terreno è un passato, un antecedente, il presupposto, di cui il poeta ci dá una magnifica rappresentazione allegorica, non potendo farne una descrizione diretta senza aggiungere un poema ad un poema. [p. 47 modifica]La selva è allegoria, come quella di ser Brunetto; perché ivi abbiamo due realtá distinte, di cui l’una è figura e adombramento dell’altra: la selva è l’immagine della terra, d’Italia, di Firenze, di Roma, poco monta; la conclusione è la stessa, è sempre lo stato terreno, lo stato di passione e di errore con questo o quel contenuto: il leone, la lonza e la lupa sono immagini dello stato morale degli uomini terreni, sia che il poeta vi adombri i vizii in genere, o gli uomini viziosi, o la tale cittá, o il tale uomo; il concetto è sempre lo stesso in un contenuto più o meno particolare. Immaginate ora che Dante, in luogo della selva, abbia rappresentato lo stato terreno, descritto la societá del suo tempo, quegli uomini, quei costumi, quelle passioni: dove sarebbe piú l’allegoria? Ebbene, l’allegoria finisce con la selva: l’altro mondo è rappresentato non sotto figura, ma in se stesso, nella sua immediata realtá: qui non abbiamo lettera e simbolo scissi, non fatto e significato l’uno fuori dell’altro: l’altro mondo non è il simbolo di qualche altra cosa, ma è il mondo razionale stesso effettuato: il concetto e la realtá sono compenetrati. Nondimeno l’altro mondo, come realtá concreta, è piú ricco che la sua idea, il mondo astratto della ragione; e contiene infiniti particolari ed accidenti proprii, i quali, non che offuscar l’ideale, servono a dargli l’evidenza della vita. E parimente i personaggi che abitano l’altro mondo, Dio, gli angioli e i demòni e gli uomini non sono piú esseri allegorici, segno di qualche cosa che non è loro, ma se stessi, compiute persone poetiche, in cui il concetto non è estrinseco, ma il loro stesso ideale, la loro stessa anima. E tutto questo è rappresentato con tanta serietá, con tanta pienezza di vita che io non so perché quelli che reputano l’altro mondo una figura non dicano altrettanto della guerra troiana e del Paradiso perduto. Che vogliono intendere essi? Che l’altro mondo non sia una congregazione empirica di fatti? Che esso abbia un significato? Ma certamente: ogni poesia ha il suo significato, il suo concetto; e se perciò me la chiamate allegoria, ogni poesia è allegoria, qual è l’ultima conseguenza del sistema di Creuzer. Che se quello che dite senso allegorico della Divina Commedia è il [p. 48 modifica]concetto stesso che informa quel mondo poetico, non vedete che l’allegoria è distrutta, che l’altro mondo è il concetto non figurato, ma effettuato, che prenderlo allegoricamente è prenderlo alla lettera, che tra i due sensi vi è identitá, non somiglianza? Resta dunque che per allegoria intendiate non un concetto astratto, ma realtá, di cui crediate l’altro mondo figura: ciò è piú logico, ma non meno assurdo. Cosi, per tacer d’altri, alcuni sono d’opinione che Dante sotto il velo dell’altro mondo abbia voluto far la storia dell’umanitá; concetto gratuito, postumo, panteistico, appiccato alla Divina Commedia dal pensiero moderno. L’umanitá, considerata come l’eterna idea del mondo, vivente nella specie, con indefinito progresso verso il bene, l’umanitá come qualcosa di sostanziale e d’impersonale, che abbia in sé il suo ultimo scopo, è fuori del concetto cattolico, fuori del tempo e dello spirito di Dante. Egli non ha innanzi a sé che individui, la cui storia finale è in un altro mondo: questo ha voluto egli rappresentarci, cristianamente, scientificamente, seriamente. Se vogliamo intendere gli scrittori, poniamoci nel loro tempo e nelle loro idee.

Ma se l’altro mondo ed i personaggi che lo abitano sono da prendere nel loro senso reale e diretto, può affermarsi il medesimo di Dante e di tutti coloro che lo aiutano nel suo fantastico viaggio, come Virgilio e Beatrice? Nessuno dirá che questi sieno simbolo di altri esseri, come la Lupa della selva e il Grifone del Purgatorio: rimane dunque che sieno segno di concetti astratti, come il Leone della forza, il circolo dell’eternitá, ecc. Dicono in effetti che Dante sia simbolo dell’uomo, Virgilio della Ragione, Beatrice della Teologia, ecc. E sta bene. Ma non istá qui il punto. Dante, Beatrice, Virgilio, Matilde, S. Bernardo, Lucia, ecc. sono puri segni del concetto, spogliati di ogni qualitá che non risponda a quello, di modo che essi ed il loro concetto rimangano estrinseci l’uno all’altro, figura e figurato? Ovvero il concetto è divenuto loro, si è individuato in loro, ha preso in loro tutti gli accidenti, tutta la libertá della persona? Nel primo caso abbiamo l’allegoria; e nel secondo caso abbiamo la vita, abbiamo la poesia: il concetto è calato nel suo [p. 49 modifica]segno e si è animato. Come l’altro mondo non è figura di un mondo estraneo ed il concetto allegorico è lo stesso concetto che lo informa e lo avviva; cosí questi personaggi non sono simboli di altri esseri, non segno d’idee astratte; il concetto allegorico è divenuto il loro concetto, la loro ragion d’essere, la loro condizione di vita; l’allegoria è calata nella lettera, ha negato se stessa e si è fatta lettera, o, per uscire una volta da questo poco preciso linguaggio, qui non vi è piú senso allegorico e senso letterale: vi è l’unitá poetica, la creatura poetica, ideale c reale ad un tempo, esseri vivi in cui l’idea traspare visibile e conscia, com’è indole della moderna poesia, ma in tutta la sua concretezza, in tutta la varietá della liberá persona umana.

Ne addurrò in esempio Dante e Beatrice nelle seguenti lezioni.