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il paradiso | 289 |
Il riso di Beatrice talora è tale, che nel fuoco faria l’uomo felice; talora è tale «che Dio parea sul suo volto gioire»; e talora i suoi occhi ardono in modo, che a Dante pare di toccare il fondo della sua grazia e del suo paradiso. L’effetto che producono queste forme è di gittare l’anima in una esaltazione mistica, in una di quelle estasi o rapimenti, tanto comuni nel primo fervore del cristianesimo, ne’ quali l’anima si sente staccare da’ sensi e levarsi alla contemplazione delle cose celesti.
Lezione IV
[La forma lirico-musicale
caratteristica della visione e dell’impressione.]
Queste due forme costituiscono nel loro insieme quella forma lirico-musicale, che Schlegel attribuisce a torto a tutta l’arte moderna, [e che] è propria solo di alcuni periodi; quando le forme religiose nascono, e quando si dileguano o si trasformano.
Dante appartiene al primo periodo; e però il suo paradiso è l’espressione piú compiuta di questa forma musicale. Come il suono non ti porge alcuna immagine diretta, ma te ne desta tante nell’anima, cosí la visione e l’impressione dantesca ti presenta fantasmi evanescenti anzi che corpi distinti. Questa stessa forma, quantunque cosí assottigliata, è ancora soverchia, e troppo vivo colore per rispetto al puro divino. Se ella può convenire agli uomini santificati, dove è ancora alcuna traccia dell’umano, falsificherebbe il divino la cui essenza è di non aver forma e di sottrarsi all’immaginazione. Il Dio degli Ebrei sta occulto nel santuario, senza forma e senza nome. Secondo il concetto cattolico-cristiano c’è un abisso tra la fattura ed il fattore; Dio rimane al di sopra della fantasia e dell’intelligenza; si può credere ma non si può comprendere.
Perch’io l’ingegno e l’arte e l’uso chiami, Si noi direi, che mai s’immaginasse. Ma creder puossi e di veder si brami. |
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