Lezioni sulla Divina Commedia/Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57/Il Paradiso/Lezione III

Il Paradiso - Lezione III

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Lezione III

[La visione, generata dalla luce, e l’impressione.]


La forma poetica dee corrispondere alla realtá da lei espressa. La luce non è la sostanza celeste, ma la sua immagine, «ombrifero prefazio del vero»; e cosí la forma non è la luce, ma un’immagine, che se le approssimi. La luce celeste fin nel suo infimo grado è di lá dalla luce terrena e quindi dalla fantasia; e siccome Dante non può prender la forma che dalle cose terrene, sará questa non la forma celeste, ma un semplice paragone, una metafora, che rimane fuori di quella. Nel mondo della luna gli appariscono sembianti specchiati, facce umane tremolanti e lucenti, sicché egli si volge indietro per vedere gli originali. Ed egli le compara alle immagini che vediamo attraverso di vetri trasparenti o sotto acque nitide e tranquille. Quelle facce vanienti non ti offrono piú che i semplici lineamenti, le postille, cosí poco distinguibili, come poco si distingue una perla sopra bianca fronte. Cosi nel canto trentesimo vuol rappresentare l’amore che strinse insieme i beati; e tosto gli viene innanzi un fiume tra rive smaltate di fiori; e le faville vive che si posano amorosamente su quei fiori gli risvegliano l’immagine di rubini incastrati in anelli d’oro. Di qui nasce che il celeste rimane sempre un di lá, ed il terrestre riceve una compiuta forma poetica sotto aspetto di paragone: onde i paragoni cosí nuovi, cosí vivaci di cui abbonda il Paradiso. Sono paragoni nuovi per rappresentare fenomeni nuovi. Tal è il celebre paragone «come per acqua cupa cosa grave». Tale l’altro dell’orologio, il cui suono turge d’amore la vergine che surge a mattinar il suo sposo.

La visione si può rappresentare non solo per se stessa, ma mediante l’impressione che produce: è la seconda forma di Dante. Il cuore e l’immaginazione sono in reciprocanza di azione: il risvegliarsi dell’uno è il muoversi dell’altra. L’impressione aiuta la fantasia a concepire la visione e siccome il fenomeno è oltre naturale; cosí l’impressione ha alcun che di colossale che ti gitta nel vago dell’infinito. [p. 289 modifica]

Il riso di Beatrice talora è tale, che nel fuoco faria l’uomo felice; talora è tale «che Dio parea sul suo volto gioire»; e talora i suoi occhi ardono in modo, che a Dante pare di toccare il fondo della sua grazia e del suo paradiso. L’effetto che producono queste forme è di gittare l’anima in una esaltazione mistica, in una di quelle estasi o rapimenti, tanto comuni nel primo fervore del cristianesimo, ne’ quali l’anima si sente staccare da’ sensi e levarsi alla contemplazione delle cose celesti.