Lezioni sulla Divina Commedia/Dai riassunti delle lezioni tenute a Zurigo nel 1856-57/Il Paradiso/Lezione II

Il Paradiso - Lezione II

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Lezione II

[Soluzione del problema: la luce.]


Il concetto del paradiso è il divino, lo spirito puro, un di lá dell’immaginazione della poesia e dell’uomo, un trasumanare. Ma l’uomo vede tutto attraverso il corpo, sensatamente, e dapprima prende quel corpo come l’idea stessa, come Narciso che prese la sua immagine per corpo. Di qui la freschezza e la potenza di poesia ne’ tempi barbari, e la ricchezza dell’Olimpo antico, dove ciascun dio ha la sua faccia i suoi attributi la sua personalitá. Tutto questo sparisce nel paradiso cristiano, dove il concetto sta spogliato di forma, anzi in opposizione con la [p. 286 modifica]forma, fuori della poesia; e non di meno Dante dee darvi una forma se vuole innalzarlo a poesia. Il problema racchiude in sé un assurdo e bisogna incominciare dal rimuoverlo.

Nel paradiso tutto è spirito eccetto Dante che rimane uomo, e quindi il concetto non può rivelarsegli se non sotto forma umana o corporale. Ben egli dapprima prende quelle forme non per semplici «parvenze», ombre del vero, ma per il vero stesso; se non che piú tardi Beatrice lo fa cauto del suo errore:

                                         Cosi parlar conviensi a vostro ingegno,
Perocché solo da sensato apprende
Ciò che fa poscia d’intelletto degno.

     Per questo la Scrittura condescende
A vostra facoltate e piedi e mani
Attribuisce a Dio ed altro intende.
     
Cosi uno spirito veggendolo in questo errore gli dice:
                                         Vostro dire è mortai siccome il viso,
Rispose a me; però qui non si canta
Siccome Beatrice non ha riso.
     

Cosi l’immagine entra in paradiso, e Dante può rappresentare l’infinito corporalmente cioè poeticamente.

Quale sará questa forma? Nell’inferno vi è la forma umana nelle diverse attitudini del peccato e della passione; perciò scolpita, scultoria. Nel purgatorio vi è la forma umana comune, senza spiccate differenze individuali per l’assenza della passione. Nel paradiso la forma dee possibilmente rendere l’infinito; quindi dev’essere una forma semplice elementare evanescente. La forma si risolve nella pura luce, che fin da’ primi tempi è stata sempre l’immagine dello spirito. Cosi nelle lingue tutto ciò che è spirituale si trova rappresentato con immagini tolte dalla luce. Nel paradiso gli oggetti perdono la loro individualitá, avviluppati di luce. Niente distingue l’un pianeta dall’altro; niente l’un uomo dall’altro; tutte le differenze qualitative sono [p. 287 modifica]scomparse. E come tutti i corpi si risolvono in una sola forma, cosí tutti gli affetti sono amore, tutti i sentimenti sono beatitudine, tutti gli atti sono contemplazione. E l’amore, la beatitudine, e la contemplazione si mostrano anch’esse sotto forma di luce.

                                         Luce intellettual piena d’amore,
Amor di vero ben pien di letizia,
Letizia che trascende ogni dolzore.
     

Ecco dunque tutto l’universo ridotto alla luce, materia di un’ode o di una canzone; ma come su di una forma tanto semplice si può edificare 33 canti? Aggiungi, che la luce non patisce qui alcuna determinazione, non essendo considerata in se stessa secondo le sue leggi fisiche, ma come immagine dell’infinito. Datele forma di lettere o di un’aquila, come per ragioni politiche ha fatto Dante una volta, e voi me la rimpicciolite.

Non è possibile dunque alcuna determinazione e siccome salendo di sfera in sfera si ha maggior beatitudine, non rimane ad esprimere questa gradazione se non un piú ed un meno, piú luce, meno luce. Per condurre innanzi il suo poema Dante è ridotto ad una semplice scala quantitativa. Dovendo lavorar sempre intorno alla medesima forma, ci sono certi momenti, ne’ quali la fantasia lo abbandona ed allora si esprime aridamente o acutamente.

                                              ... E quale io allor vidi
Negli occhi santi amor, qui l’abbandono.
     
Poi:
                                    E gli occhi avea di letizia si pieni,
Che passar mi convien senza costrutto.

     E tal nella sembianza sua divenne.
Qual diverrebbe Giove, s’egli e Marte
Fossero augelli e cambiassersi penne.