Lezioni sulla Divina Commedia/Appendice/VI. Esposizione critica della Divina Commedia/Riepilogo
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Riepilogo.
Volendo ora raccogliere in uno ciò che siamo andati sparsamente discorrendo, nell’inferno signoreggia la materia anarchica, rotta alle passioni, senza freno di ragione: le sue forme ricevono di ogni sorta differenze, spiccate, distinte, prominenti e, per usare una vivace parola moderna, monumentali. Nel purgatorio la materia è un momento: lo spirito ha acquistato coscienza di sua forza, e, contrastando e soffrendo, si fa libero: la realtá vi è in immaginazione, rimembranza del passato, da cui si sprigiona, aspirazione ad un avvenire, a cui si avvicina; onde le sue forme sono fantasmi e rappresentazioni della fantasia, anziché obbietti presenti e determinati: pitture, sogni, visioni estatiche, simboli e canti. Nel paradiso lo spirito, giá redento, s’india; le differenze qualitative sono risolute nella unitá, e tutte le forme svaporate nella semplicitá della luce, insino a che ci spariscono a poco a poco davanti. Tanta varietá e ricchezza di forme ci mostra non pure la feconditá dell’ingegno dantesco, ma ancora la veritá della sua ispirazione, la quale consiste singolarmente in questo, che il poeta s’immedesimi con l’obbietto, facendo della sua anima quasi l’anima di quello e trasandando quella parte della sua personalitá, che gli rimane estranea. Il che piú agevolmente è venuto fatto al nostro autore in quanto la forma del suo poema è tale che egli, senza sforzare punto il subbietto, ha potuto manifestarvi liberamente se stesso ed il suo tempo e congiungere con l’essenziale della sua visione l’arbitrario e l’accidentale. Non pertanto la forma prende dalla qualitá dell’ingegno una cotal propria maniera di rappresentazione, che dicesi stile. Si reputa comunemente che lo stile sia la veste del pensiero: il qual modo figurato di dire può significare o troppo o troppo poco, potendosi cosí di leggieri confondersi lo stile o con la forma o con l’elocuzione. Lo stile è la forma nel suo movimento esplicativo, e però strettamente legato con l’obbietto, anzi l’obbietto vivente. Ma qui piú che altrove apparisce l’individualitá dell’ingegno, avendo ciascuno artista un suo proprio modo, secondo sua facoltá, di condurre e svolgere il concetto. Dante nell’immenso orizzonte, che gli si move dinanzi, non fisa lungamente lo sguardo su’ singoli obbietti; ma passa lievemente di cosa in cosa, per modo che le individualitá par che si fuggano davanti e si perdano nella totalitá della vista. E medesimamente ei non segue il pensiero o l’immagine nelle sue particolari gradazioni; ma con veloce immaginare trascorre di una in un’altra, conseguendo con la copia delle cose quell’effetto, che altri ottengono con la quantitá degli accessori. I suoi periodi sono brevissimi; anzi sono, d’ordinario, sentenze che hanno termine col verso: alla quale maniera serrata e ricisa di poetare è bene accomodata la terzina, siccome l’uso che prevalse dopo dell’ottava rima ci mostra giá il nuovo indirizzo, per il quale si fu messa la poesia italiana. Pratichissimo della lingua ed uso a trarre, senza ritegno, dal provenzale, da’ dialetti e dal latino, egli non è punto impacciato da quelle distinzioni spesso pedantesche di parole nobili e plebee, italiane e fiorentine, poetiche e prosaiche, eleganti e volgari, e da altrettali differenze che vennero dappoi, di questo unicamente sollecito, che la parola renda il pensiero cosí vivo e caldo com’è nella sua mente. Egli mira piú all’armonia che alla melodia, piú all’evidenza che all’eleganza, piú alla proprietá che alla nobiltá del linguaggio; e, secondo che è richiesto alla forza e brevitá del suo stile, egli abbonda di vivaci ellissi, di arditi costrutti e di vocaboli comprensivi; di maniera che la parola rappresenta la cosa nella sua vivente unitá, mostrando sotto l’immagine un pensiero e sotto il pensiero un sentimento. L’arte s’indirizza non a’ sensi, ma all’immaginativa; né dee ritrarre dell’obbietto altro che il razionale o l’ideale, ma di guisa che lasci intravvedere la totalitá dell’apparenza, s i che la cosa monca nella rappresentazione si offra intera alla fantasia. Qui è l’eccellenza di Dante, la cui visione si raccoglie nel centro, ove vanno a convergere i raggi, illuminando con la luce di lá riflettentesi tutto il contorno. Rapido è il suo sguardo, ma animatore; e dove ch’ei passi lascia orme incancellabili: diresti che egli abbia la chiave magica di Faust, con la quale vivifica tutto ciò che tocca.
Irritat, mulcet, falsis terroribus implet, Ut Magus, et modo me Thebis, modo ponit Athenis. |
La poesia moderna, dopo di aver condotta alla piú minuta notomia l’imitazione della realtá, e l’analisi del sentimento, ritorna a questa maniera temperata e vereconda dello stile dantesco; onde lo studio della Divina Commedia può essere antidoto efficacissimo contro questo naturalismo e sentimentalismo, come suole chiamarsi, di cui non mancano ancora oggi esempi, principalmente presso i francesi. Di che non vogliamo inferire che questo stile si abbia a proporre come perfetto, e meno come unico esemplare: perché, oltre che lo scrittore non dee essere altro mai che se stesso, se questa maniera di dettare può essere in alcun modo conforme a questo genere di poemi a quadri e a scene, come ne’ Trionfi, nell’Amorosa visione, nella Basvilleide; ne’ lavori, per contrario, dove una sola azione si snodi nel contrasto de’ caratteri e degli affetti si richiede maggiore determinazione ne’ particolari e soprattutto piú ricca esplicazione subbiettiva, che non è nella Divina Commedia. Nelle presenti condizioni della poesia signoreggia meno la forma e piú il sentimento; il che se è un male, tal sia: ciascun tempo ha la sua necessitá. Dante, per l’opposito, trasporta tutto al di fuori, e il sentimento vi è spesso nascosto e trasparente di sotto dalla forma. Il perché la sua lettura può tornare utile a temperare gli scrittori da quel lirismo astratto e rettorico, nel quale leggermente oggi si sdrucciola.
Ma giá fin dal principio di questo secolo la poesia in alcuni grandissimi si è alzata alla dignitá dell’ideale; e certo segno della ristaurazione del buon gusto è la stima in che è venuta presso l’universale la Divina Commedia, avendo essa, come la Scienza nuova del Vico, varcate le Alpi, divenute amendue parte essenziale dell’educazione del pensiero umano. L’indirizzo ontologico preso dalla filosofia e dalla critica, il favore in che sono venuti gli studi storici, massimamente intorno al medio evo, il culto rinascente delle forme, se non nella loro ingenuitá natia, almeno come simboli e caratteri estrinseci del vero, fanno abbastanza aperto perché la Divina Commedia, poco studiata e meno compresa per innanzi, sia ora tenuta nel suo debito pregio. Ma presso di noi il culto di Dante ha un significato ancora piú grave: perocché, in fino a che osserveremo e onoreremo il nobilissimo poeta, non sará in noi spenta affatto quella virile dignitá, in che è la vita de’ popoli e degl’individui. ’