Levia Gravia/Libro II/Dopo Aspromonte

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XXII.

DOPO ASPROMONTE


Fuggon, ahi fuggon rapidi
Gl’irrevocabili anni!
E sempre schiavi fremere
4Sempre insultar tiranni,

Ovunque il guardo e l’animo
Interrogando invio,
Odomi intorno; ed armasi
8Pur d’odio il canto mio.

Sperai, sperai che, il ferreo
Tempo de l’ire vòlto,
Io libero tra i liberi,
12A liete mense accolto,

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Potrei ne’ vóti unanimi
Seguir con l’inno alato
L’ascensïon de’ popoli
16Su per le vie del fato.

Tal salutando Armodio1
Incoronar le cene
Solea tornata a civica
20Egualitade Atene:

Fremean gli aerei portici
Al canto, e Salamina
Rosea del sole occiduo
24Ridea da la marina:

Pensoso udía Trasibulo,
E nel bel fior de gli anni
La fronte radïavagli,
28Minaccia de’ tiranni.

Oh, ancor nel mirto ascondere
Convien le spade: ancora
L’antico e il nuovo obbrobrio
32Ci fiede e ci addolora.

O libertà, sollecita
Speme de’ padri e nostra,
Sangue di nuovi martiri
36Il tuo bel velo inostra;

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Né da te gl’inni movono
Dove Rattazzi impera
E geme in ceppi il vindice
40Trasibul di Caprera.

Oh de l’eroe, del povero
Ferito al carcer muto
Portate, o venti italici,
44Il mio primier saluto.

Evviva a te, magnanimo
Ribelle! a la tua fronte
Piú sacri lauri crebbero
48Le selve d’Aspromonte.

Spada il tuo nome (o improvvido,
Ei non ti fu lorica,)
Tu solo ardisti insorgere
52Contro l’Europa antica.

Chi vinse te? Deh, cessino
I vanti disonesti:
Te vinse amor di patria
56E nel cader vincesti.

Evviva a te, magnanimo
Ribelle e precursore!
Il culto a te de’ posteri,
60Con te d’Italia è il cuore!

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Io bevo al dí che fausto
L’eterna Roma schiuda,
Non a’ Seiani ignobili,
64A i Tigellini, a i Giuda,

Sí a libertà che vindice
De l’umano pensiero
Spezzi la falsa cattedra
68Del successor di Piero.

Io bevo al dí che tingere
Al masnadier di Francia
Dee di tremante e luteo
72Pallor l’oscena guancia.

Ferma, o pugnal che in Cesare
Festi al regnar divieto,
O scure a cui mal docile
76S’inginocchiò Capeto!

Sacro è costui: segnavalo
Co ’l dito suo divino
La libertà: risparmisi
80L’imperïal Caino.

Viva; e un urlar di vittime
Da i gorghi de la Senna
E da le fosse putride
84De la feral Caienna

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Lo insegua: e, spettri lividi
Con gli spioventi crini,
— Sii maledetto — gridingli
88Mameli e Morosini.

— Sii maledetto — e d’odio
Con inesauste brame
I fratricidi il premano
92Onde Aspromonte è infame.

Viva: insignito gli omeri
De la casacca gialla,
Al piè che due repubbliche
96Schiacciò, la ferrea palla,

Di sua vecchiezza ignobile
Contamini Tolone
Ove la prima folgore
100Scagliò Napoleone.

Ahi, grave è l’odio e sterile,
Stanco il mio cuor de l’ire;
Splendi e m’arridi, o candida
104Luce de l’avvenire!

Arridi! i nostri parvoli
Che a te veder son nati
Io t’accomando: ei vivano
108Del raggio tuo beati.

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A terra i serti e l’infule!
In pezzi, o inique spade!
Solo nel mondo regnino
112Giustizia e libertade!

O dee, ne la perpetua
Ombra si chiuderanno
Quest’occhi, e il vostro imperio
116In van ricercheranno.

O dee, ma, quando cómpiansi
L’età vaticinate,
Di vostra gloria un alito
120Su l’avel mio mandate.

Io ’l sentirò: superstite
A i fati è amor: e vive
Esulteran le ceneri
124Del vostro vate, o dive.

Or distruggiam. De i secoli
Lo strato è su ’l pensiero:
O pochi e forti a l’opera,
128Ché ne i profondi è il vero.

Odio di dèi Prometeo,
Arridi a’ figli tuoi.
Solcati ancor dal fulmine,
132Pur l’avvenir siam noi.



Note

  1. [p. 397 modifica]In questa e nelle tre seguenti strofe si accenna al glorioso scolio di Callistrato, che solevasi cantare dagli Ateniesi ne’ conviti, a onore degli eroi della libertà, Armodio e Aristogitone: incomincia “Entro un ramo di mirto la spada io vo’ portare, come Armodio e Aristogitone, quando il tiranno uccisero e a leggi uguali Atene fecero.„