Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti/XX
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XX.
AD ANNA BRIGHENTI
a Bologna
13 luglio (1831)
Nina mia!
Dalla cara tua lettera io vedo con piacere che non mi sono punto ingannata nel qualificare il tuo amore di piccolo genio, e non di quella passione più terribile e tremenda, che io credo bene che tu sapresti provare, ma non molte anime con te. Dalla quale passione se io ti avessi creduta invasa, non ti avrei mica burlato, oh no certo! Ti avrei compianta, ed avrei procurato di persuaderti a cercar la guarigione che ti offriva quello stesso che ti aveva ferito; ma mi avrebbe fatto troppo dolore il tuo caso, perchè avessi cuore di schernirti; chè già so con qual mano delicata vadano toccate simili piaghe. Vedi dunque che Marianna mi aveva detto di te il vero, e null’altro che il vero.
La tua professione di fede poi mi fa sicura che non ti accadrà di sovente l’innamorarti veramente e con tutto il cuore, e poichè tanto raramente accade di poter conseguire la felicità, trovata che anche si sia, io quasi ti auguro di non trovarla mai, per non provare quel dolore che è tanto difficile a superarsi perduta che sia quella speranza che sola rendeva cara la vita. Ma tu non vuoi che ridere, e se questo è il solo tuo scopo riderai spesso, ne sono sicura.
In questo sei il mio contrario — io non ho riso mai, appunto perchè non mi sono contentata di ridere solamente: io voglio ridere e piangere insieme: amare e disperarmi, ma amare sempre, ed essere amata egualmente, salire al terzo cielo, poi precipitare — ed io sono veramente precipitata.
Nina mia, ma al terzo cielo non sono salita mai.
Non posso affatto esprimere quale sensazione dolorosa, quale affanno indescrivibile mi cagion; la vostra venuta a Fermo: tutti i miei dolori, tutta la rabbia, la disperazione si sono risvegliate in me in modo eccessivo.
Sapervi a poche miglia da me, e non potere corrervi addosso, nè dirvi venite ch’io vi aspetto a braccia aperte, è cosa che mi umilia, e mi dispera ad un segno estremo, Nina, se tuo padre non ha letto nel dizionario storico di Feller che si stampa ora a Venezia, l’articolo di Babini, fa che legga queste parole che ne formano l’ultimo paragrafo — Mori (il Babini), il 21 settembre 1816, e glorioso ed immortale ne fece il nome l’amico suo, il dotto Brighenti, coll’elogio che di lui compose, vestito delle più severe e forbite eleganze del dire.
Nella rivista letteraria dell’Antologia vi è un opuscolo di papà tuo; è quello ch’egli stampò nel giornaletto di Bologna?
lo non vedo l’Antologia, ma ho veduto il nome di Brighenti in un elenco dei suoi articoli. Nina mia, divertiti e sta allegramente.
Già a te non manca l’allegria e non può mancare finchè tutti i tuoi stanno bene. Spero che Marianna mi dirà quali sono le altre piazze per cui essa è fissata. Abbracciami fortemente quella cara anima, e dille ch’io le sto sempre vicina col cuore, sempre, senza mai vederla! Fa ch’essa non si scordi di parlarmi di Salvatori: io ho molto impazienza di sentire il suo giudizio. E tu dimmi un poco se la Mosca si è mai maritata. Essa è mia parente assai stretta — io la conobbi per un istante due anni sono. — Una giovane bolognese è venuta a purgare i suoi peccati a Recanati sposa di uno già garzone di pettinaio di costi. Io la vedrei con molto piacere per farle certe interrogazioni sopra certe persone che tu non conosci affatto. Cara Nina, addio. In mezzo ai tuoi trastulli pensa qualche volta a me per amarmi, e per compiangermi.
Non ti venga mai in pensiero che le tue lettere mi diano noia: già sai quanto le Brighenti mi sieno care: ora pensa se qualunque cosa che venga da alcuna di esse potrà mai dispiacermi. Il viaggio non ti darà certo fastidio: quest’anno l’estate non si conosce.
Per me, che non c’è che il sole e il caldo che mi rallegrino, è oggetto di pena anche questa stagione così infelice. Ora debbo chiederti scusa io delle mie ciarle, ma il piaciere di discorrer teco mi trasporta, e poi tu sei tanto buona!