Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti/VII
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VII.
ALLA STESSA
a Siena
28 luglio (1830)
Marianna mia,
Lascia ch’io abbracci la cara Giulietta, e che baci le sue belle guancie esprimendole così la parte ch’io prendo ai suoi trionfi, alle sue glorie. Quanta gioia, quanta inesprimibile gioia mi ha cagionato l’ultima tua lettera! e quanto mai avevo desiderato di provare questo sentimento, in tal modo a riguardo tuo!
Ma tu fai prodigi, sei novizza nella tua professione, e tutti i tuoi passi sono trionfi! E ti ammiro immensamente, e sono presa di entusiasmo per il tuo talento, per il tuo ingegno, per la tua voce, per la cara tua persona che io amo tanto, e che spero di sentire sempre esaltata e quasi direi amata, se non fossi gelosa, estremamente gelosa dell’amor tuo. Mi hai chiamato unica tua amica, ed avendoti io tanta fede vorrei crederti, io però vorrei essere sola ad essere amata da te, dopo i tuoi, s’intende; e quasi vorrei anche essere sola ad amarti tanto grandemente come faccio, ma qui temo di sbagliare: quando si ama veramente si desidera, io credo, che tutti trovino amabile l’oggetto amato, ed allora come non sarà amato anche da altri? Però, io che sono piuttosto gelosa di natura (e guai a me se avessi marito, chè la gelosia sarebbe il dolore della mia vita) ho delle massime tutte mie e quasi ridicole; ma non è certo ridicolo l’amore ch’io ti porto, e che vivrà sempre ardentissimo nel mio cuore.
Quanto mai sei buona, e quanto io ti ringrazio, di avermi dato le tue nuove, e quelle di Giacomo in momenti occupatissimi! Sebbene il ricevere tue caré lettere sia propriamente l’unica mia felicità in questa vita, pure devo pregarti a non prenderti fastidio per me quando non sei affatto libera; chè io non vorrei certo esserti di noia, nè vorrei che lo scrivere a me ti privasse di qualunque anche minimo piacere. Mia sola consolazione sarà di desiderare e d’aspettare lettere tue, di pensare a te, cui penso ogni momento, alla cara Nina, al giubilo che pure una volta proverei in questo mondo se io vi vedessi più realmente che in sogno, quale incanto sarebbe mai per me! Ridendo e saltando cominciai a leggere l’ultima tua, e la terminai col pianto, precisamente col pianto. Questa Russia mi fa disperare; ma lasciate, o mie care, che vada ancora dubitando sulla fine di tal progetto; io stimerò di perdervi affatto quando mi direte addio! noi partiamo! questo pensiero mi rende già infelicissima; figuratevi poi la realtà!
Ti prego dei miei complimenti ai tuoi Genitori, con i quali io mi rallegro dei plausi che ottiene la loro figlia, e di cui tanto più godranno quanto che è opera loro, chè io ho letto tuo principal maestro essere stato tuo padre, non è vero? Ed a proposito di tuo padre, nel Giornale di Bologna dei Teatri ecc. vi fu, tempo fa, un articolo Della musica Rossiniana e del suo autore che noi abbiamo creduto essere di Brighenti.1 Se te ne ricorderai, mi dirai se ci siamo apposti al vero. Quanto dureranno ancora le tue fatiche di costi? Ti raccomando grandemente la tua salute.
Addio, Marianna mia; ora sarai Egilda, non è vero? Alla cara Nina dirai tante cose per me.
Non ti dimenticare ch’io ti ammiro e ti amo affettuosissimamente con tutto il cuore, e che se questo cuore non cambia forma o natura, questi sentimenti non cangieranno mai oh non mai!
- ↑ Ed era infatti del Brighenti; quello scrtto fu anche tirato a parte in opuscolo (Bologna, Dall’Olmo. 1830.)