Lettere di Paolina Leopardi a Marianna ed Anna Brighenti/LVI

LVI. Alla stessa - A Novara

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LV LVII

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LVI

A MARIANNA BRIGHENTI

a Bologna

25 marzo (1835)

               Mia carissima,

Hai giudicato bene della tua Paolina quando hai creduto che con infinita gioia aprirebbe la tua tanto desiderata e tanto aspettata lettera, e che ti perdonerebbe la pena che le hai data col tuo eterno silenzio. Oh come m’ha pesato questo silenzio, Marianna mia! Come mi è sembrato eterno e doloroso questo interminabile carnevale in cui non ho veduto pure una riga di te, o cara, una riga sola! Oh come vorrei che gli affari tuoi ti ritenessero sempre a Bologna, perchè altro che costi posso sperare che ti ricordi di me! Però sarei tutt’altro che ragionevole, se anche col desiderio impedissi che tu volassi a nuovi trionfi, a nuove serate brillantissime, quasi direi a nuovi amori, se lo potessi dire, ma nol posso dire in verità. [p. 159 modifica]

Quanto mi faccian pena i tuoi racconti non te lo so dire, io fremeva di rabbia per l’indegno procedere del signor maestro, non so cosa avrei dato perchè l’amica mia non avesse avuto l’umiliazione di non trovarsi amata come si merita di esserlo, umiliazione tanto più indegna, quanto menò degno di lei era colui cui essa avea rivolto il suo affetto, ed io avrei voluto che tu mi raccontassi che non l’avevi voluto più vedere, che in presenza sua e senza leggerlo avevi gittato al fuoco il suo biglietto, avrei voluto che nel montare in legno non gli avessi stretta la mano, tutto questo io avrei voluto sentire. E mi è piaciuta assai la tua risposta alla sciocca ed insolente e temeraria sua domanda, quando egli voleva da te una parola di compatimento, di stima.

Oh tu gli hai risposto bene, ma come sono temerari questi uomini! dopo di avere ingannato colle loro melate artificiose parole un cuore cui facevan credere di non palpitare che per lui, dopo di avere noi esaurite tutte le facoltà dell’anima nostra nell’amarli, dopo di averne riempiute delle più care speranze, ne riempono di dolore e di angoscia — e poi vengono a dirci — compatitemi! stimatemi! Oh non vi son parole che valgano ad esprimer tutto il disprezzo che ne inspira questa orribile condotta. Ma tu sei troppo buona, Marianna mia, sei troppo confidente; il tuo cuore è troppo sensibile, e si affeziona con troppa rapidità, e poi soffri, soffri, e piangi quando invece le tue lagrime dovrebbero inaridirsi al fuoco del disprezzo, quando la cognizione di te stessa, dell’angelica tua bontà, delle tante tue virtù, ti dovrebbero [p. 160 modifica]preservare dal porre la tua affezione in chi ne è affatto indegno, in chi non arriverà mai a comprenderti. Dio voglia che tu persista nel proponimento fatto di non più amare alcuno, di non fidarti di alcuno, ma io non ti ho troppa fede, me l’hai detto tante volte!

Quanto riderei se Ninetta diventasse la moglie del signor Gaetanino! Sai che questa idea mi si è fitta in capo, e che non me la posso togliere? Già sono sicura che al mio uccellino debba un giorno o l’altro succedere di sentirsi tarpare le ali, e finirà allora di alzare tanto il capo. A proposito di Nina, una volta, ma è un pezzo, mi scrivevi — chi sa che tu non abbi presto in gabbia l’uccellino, o qualche cosa che gli somigli? — Marianna mia, ogni volta che mi tornano in mente queste parole, mi arrabbio per la curiosità e pel dispetto di non trovarmi in gabbia altro che il mio canarino. Ti ringrazio del sonetto, il quale leggo e rileggo, destandomi grande piacere il vederti tanto ammirata e lodata. Ringrazia per me papà tuo del dono fattomi nel passato carnevale, dono che ho gradito assai, e pel proprio pregio e per vedervi un nome che io amo tanto.

T’invidio le diecisette ore passate con Giordani, oh te le invidio assai! già non mi scordo mai quelle che passammo con lui tanti anni fa, ore nelle quali io ero sempre in estasi dinanzi a lui, non parlando, ma ascoltando sempre con grandissima avidità e piacere. Godo di sentire ch’ei stia benone, e avrei amato assai di sapere se è libero... ma se sta benone, perchè non fa più niente?

Prima di andare a Reggio, voglio una tua [p. 161 modifica]lettera, — sai addio, carissima. Salutami papà e mamà il più affettuosamente che puoi, ed a Nina da tanti baci per me. Oh avrei voluto vederti abbigliata di raso bianco! come avrei voluto stringerti al mio cuore e baciarti con ineffabile tenerezza!