Lettere (Bentivoglio)/Dai carteggi domestici
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V
DAI CARTEGGI DOMESTICI
I
Al signor Enzio Bentivoglio, — Roma.
Non è comparso qua l’ordinario d’Italia questa settimana ed io perciò mi trovo senza lettere di Vostra signoria. Contuttociò non voglio lasciar di scrivere per continovar l’ordine cominciato. Partí poi di qua il signor Ferrante l’ultimo giorno del mese passato con intenzione d’andar ad ogni modo in Ispagna, cosí avendo concertato col marchese dal quale fingerá che a Parigi gli siano giunte lettere con le quali gli venga comandato a trasferirsi a quella corte. Egli anderá insomma semplicemente per farsi conoscer servitore al re e per aiutare la lite di Napoli, deposto ogni pensiero d’andar a pretendere; perché ciò saria contro la volontá dell’arciduca, il quale non ha voluto dargli licenza conforme all’ordine del re di non la dare a niuno che voglia andare a pretendere. Sono ormai due mesi che Vostra signoria cominciò a darmi intenzione di farmi rimetter due mila ducatoni, e fin qui non ho veduto effetto alcuno. E veramente se le cose dovessero continovar cosí, io temerei di non esser venuto in Fiandra a perder la reputazione in cambio d’acquistarne. Anzi io non so come finora l’avrò ben mantenuta, essendomi sul bel principio bisognato pigliar in credito pane birra legna e mille altre cose necessarie, potendo ben considerare Vostra signoria che in questo tempo ch’io sono stato senza danari non ho potuto viver d’aria con tante bocche alle spalle. Non ho potuto perciò ritenermi di metterle in considerazione. Che bell’onor sará stato questo a me ed alla casa nostra, avendo io avuto bisogno di far cosí presto del debito! Vengo insieme a pregarla che per l’avvenire abbia maggior pensiero alle cose mie ed al mio mantenimento dando ordini tali che mi sia soccorso in tempo, e ch’io non abbia occasione di dolermi di lei. E le bacio per fine con tutto l’affetto le mani.
P.S. — So che non potrò mai dolermi di Vostra signoria ma della necessitá, nondimeno bisogna vincerla trattandosi tanto all’ingrosso di tutte le cose nostre.
II
Allo stesso, — Ferrara.
Signor fratello. Mi trovo senza lettere di Vostra signoria non solo di quelle ch’io poteva aspettar quest’ordinario, ma anche di quelle che dovean capitarmi la settimana passata. Il tempo da parecchi giorni in qua non è sí cattivo che tutta la colpa di sí gran tardanza possa esser della stagione, onde è forza che in parte nasca dalla negligenza dei corrieri e maestri delle poste dello stato del papa, i quali non fanno capitar le lettere in tempo debito a Mantova, dove s’uniscono la maggior parte delle lettere d’Italia che vengono in Fiandra, ed io mi confermo in questa opinione avendo saputo che sono comparse questo ordinario tutte le lettere di Lombardia e del resto d’Italia da quello dello stato della Chiesa in poi. A me frattanto è di grandissimo dispiacere questo disordine, trovandomi io con estremo desiderio d’aver nuova del negozio del molino, e d’aver risposta a molti particolari che sono passati nelle nostre lettere precedenti.
Io, cosí per non aver sue lettere come per non esser qui cosa alcuna di nuovo, non sarò piú lungo con questa dopo averle dato conto della salute del cavaliero e mia. E resto baciandogli affettuosamente le mani.
P.S. — Questo carnovale non abbiamo avuto altro trattenimento che di una festa che si fece lunedí in corte alla presenza di questi principi. Comparvero alcune dame della signora infanta con invenzioni e fecero poi un balletto che riuscí molto bello, con diversitá di musica, d’instromenti e di voci.
III
Alla signora marchesa Bentivoglio, — Ferrara.
Due lettere di Vostra signoria illustrissima ho ricevute questa settimana, una delle quali deve esser quella che mi mancò l’ordinario passato. Dall’una e dall’altra ho preso grandissimo piacere, e particolarmente della dimostrazione della cittá verso il signor Enzio nella sua elezione per ambasciatore a Roma. Me ne rallegro con Vostra signoria illustrissima e starò aspettando la resoluzione che si piglierá intorno al trasportar la casa a Roma, e come e quando si penserá di far ciò, con avviso di tutto quel piú che possa occorrere di nuovo intorno alle cose nostre. Del negozio del molino mi dá buone nuove il signor Enzio, e tale che ne sperava la spedizione conforme al desiderio ed al bisogno nostro, come credo che ne abbia scritto a Vostra signoria illustrissima ancora. Piaccia a Dio benedetto che ne vediamo l’effetto. Io sto tuttavia con salute, come fa anche il cavaliero al quale ho communicato le lettere di Vostra signoria illustrissima. Ho avuto la cedola de’ 2000 filippi mandatami dal Magnanimo, ma essendo questa la paga di natale, bisogna pensare per l’altra, avend’io speso questo danaro prima che mi capitasse. Vostra signoria illustrissima faccia comune questa con la signora Caterina e bacio per fine ad ambedue con tutto l’affetto le mani.
P.S. — Quanta invidia io sia per avere a Vostra signoria illustrissima che vada a Roma senza di me, ella medesima può immaginarselo. Ma essendo l’andata sua e del signor Enzio tutta indrizzata principalmente a mio beneficio, mi parerá d’esser con loro io medesimo e starò pur anche sperando che possiamo un giorno trovarci tutti insieme a Roma. Il che piaccia a Dio di concederci. Vostra signoria illustrissima mi vada avvisando quello che passerá.
IV
Al signor Enzio Bentivoglio.
Signor fratello. Quand’io aspettava da Vostra signoria una lunga lettera con particolare avviso del totale stabilimento del negozio del molino, m’è capitata la sua dei 16 del passato ch’è solamente di quattro righe, con le quali mi dá conto di trovarsi in procinto di partire per Ferrara il giorno seguente, dove io mando questa. Hanno però soddisfatto in gran parte al mio desiderio il cavalier Pignatta ed il Landinelli, con una larga relazione che m’hanno data intorno all’ultima spedizione del negozio, la quale essendo riuscita tanto conforme al nostro desiderio, lascio considerare a Vostra signoria il piacer ch’io n’ho sentito. M’è stato anche infinitamente caro l’aver avuto avviso dei vivi segni di buona volontá che il papa e Borghese hanno dati verso la casa nostra, essendomi accennato questo particolare da Vostra signoria medesima. Aspetto ora di saper tutte le risoluzioni che ella penserá di pigliare intorno al trasferire la casa a Roma, alli ordini ch’è per lasciar costi a Ferrara, e circa i mezzi con i quali pensa di trovar danari, volend’io credere che le gobbe avranno ormai cominciato a sguizzar in cotesta pescaria; fra di noi insomma dovranno passar lunghissime lettere intorno alla forma del suo ridursi a Roma, sopra che avendomi scritto il Landinelli che Vostra signoria pensava di pigliar il palazzo de’ Salviati alla Longara o quello di Capodiferro, debbo dirle ch’io non posso approvar simile abitazione per lei, perché questi palazzi sí grandi mettono in necessitá chi vi sta dentro di tener troppo gran casa cosí quanto al numero della famiglia come alle stanze che bisogna fornire, ed io vorrei ad ogni modo che Vostra signoria mettesse casa in Roma governandosi nel principio in forma tale che potesse corrispondergli con egual tenore nel mezzo e nel fine del suo carico, e questo potrá bastar quanto alla qualitá della abitazione. Degli altri particolari discorreremo con le nostre prossime.
Dalle due lettere ch’io mando a Vostra signoria con questa ella vedrá l’officio ch’io son richiesto a far con lei. Io le raccomando l’uno o l’altro, ma però quando non si possa sperar di compiacere ad ambedue avrò caro che Vostra signoria procuri la soddisfazione del cameriere segreto del papa, cosí per la qualitá della persona come per la mira che doviamo aver di farci amici quelli che assistono alla persona di Sua Santitá. Con questa non ho che dirle di piú, se non che aspetto l’avviso dell’arrivo suo con salute a Ferrara. E le bacio affettuosamente le mani.
P.S. — Ho stimato bene di ringraziare il papa e Borghese. Mando copia a Vostra signoria delle lettere. Non vorrei che Vostra signoria si mettesse tant’alto nel pigliar casa a Roma, perché non le riuscirá. E si vaglia dell’occasione per accomodar e non per scomodar d’avantaggio la casa. Per amor di Dio m’avvisi la quantitá delle gobbe e le baruffe che si faranno con Pier Scolino e cogli altri.
V
Allo stesso.
Signor fratello. L’ultima di Vostra signoria dei 12 del passato mi dá avviso ch’era per seguir sicuramente quello che altre volte m’ha scritto intorno al taglio caetano, il che m’è carissimo d’intendere, e piú caro mi sará poi di saper che a noi abbia di qui risultato quel benefízio che ne aspettiamo.
M’è stata anche di grandissimo gusto la nuova certezza che mi dá Vostra signoria dell’intenzione sua verso il cavaliere, e della mira ch’ella ha di procurar che fra di noi si conservi ogni maggior concordia ed unione d’animi, col che deve ella persuadersi che noi parimente dal canto nostro siamo per corrispondergli in un istesso fine. La lettera che Vostra signoria gli scrive in questo proposito io gliela manderò, essendo egli partito di Brusselles, come le ho scritto con altre mie. E quanto alla venuta a Roma di esso cavaliere, quando pur mancassero tutti gli altri rispetti per indurvelo, stimo che a persuaderlo sia per bastare il fine di farsi conoscere ai padroni, come appunto Vostra signoria mi accenna, ed io procurerò tuttavia di confermarlo nella intenzione ch’egli ne mostra.
Io non aveva conoscenza alcuna del Ghirardi, ma quando intesi ch’era lucchese, non restai soddisfatto della risoluzione di Vostra signoria, sapendo io per un poco di pratica che in generale quella nazione è piena di grande pretensione e vanitá. Il Piccinino, che lo conosceva, me n’avea poi data poco buona relazione, onde tanto piú dispiaceva che Vostra signoria fosse per averlo al suo servizio. Per questi rispetti ora m’è carissimo che Vostra signoria si sia sbrigato di lui. E quanto al desiderio ch’ella tuttavia mostra d’avere il Verato, io non posso non persistere in quello che giá le ho scritto intorno al non giudicarlo io a proposito in modo alcuno per tal servizio. Ma dovendo egli venire in Italia, e forse qualche giorno prima del cavaliero, Vostra signoria avrá occasione di trattarlo e di conoscere meglio da se stesso quello che le è stato scritto da me.
Il negozio di pace non ha altro di nuovo dopo lo scritto con le passate. Ed io bacio a Vostra signoria, per fine, affettuosamente le mani.
P.S. — Finalmente dopo molte diligenze ho concluso il partito di due cavalli per Vostra signoria, dei quali spero che ella sia per restar soddisfatta, siccome a me sono d’intero gusto. Sono di mantello baio, e di vita de’ piú grandi che si sogliono veder qua, onde credo che sotto i fornimenti alla romana sieno per riuscire benissimo, e forse non ve ne sará un paro di simili in Roma. Sono giovani, uno di quattro l’altro di cinque anni, e gli ho avuti anche a buona condizione avendoli pagati solo 200 scudi, il che m’è riuscito per la scarsitá di danari che ora corre qua; ha bisognato dar anche uno scudo al garzone del mercante. Li manderò con la venuta del Veneto, e frattanto li farò governare benissimo ed avvezzar a tirare.
I cavalli sono di straordinaria grandezza, e veramente paiono due montagne. Il mercante si è contentato aspettar il danaro per un mese e mezzo, non avend’io potuto pagarlo per trovarmi al verde al solito. Però Vostra signoria mi favorisca di far la rimessa quanto prima.
VI
Allo stesso.
Signor fratello. Lodo sommamente il pensiero nel qual è entrata Vostra signoria di voler ch’io procuri che si stabilisca qui col mezzo mio, prima che parta il cavaliero, l’accordo che egli avrebbe animo di concludere con lei, e mi piacciono tutte le ragioni per le quali ella mostra di muoversi a ciò, oltre alla mira principale di veder che fra di loro nell’occasione di trattare dell’accordo suddetto non abbia a nascer disparere alcuno, il che sarebbe forse potuto facilmente occorrere per qualche particolaritá, che fosse stata suggerita costí al cavaliero da qualcuno o per malevolenza o con pretesto di mostrarsi interessato verso di lui. Ho considerato diligentemente quanto Vostra signoria m’ha scritto in questo proposito, e tornato che sia il cavaliero, attenderò al negozio vestendomi la persona d’ambidue loro e procurando di ridurne il fatto a termine di pari soddisfazione, intorno a che m’adoprerò con tutto lo spirito e con ogni affetto possibile. Frattanto non debbo lasciar di dire a Vostra signoria che il cavaliero non vorrá forse concordarsi con lei per sí lungo tempo come sarebbono dieci anni, perché quando pure egli s’inducesse a contentarsi de’ 3000 scudi che ha ora, lo farebbe, a creder mio, piú facilmente per qualche minore spazio di tempo, con speranza di poter poi migliorare di condizione ed entrare anch’egli in comoditá di spendere un poco piú, ancorché Vostra signoria abbia prudentemente accennato ch’egli non è per ridursi in bisogno di spender al pari di Vostra signoria e di me, per quei rispetti ch’ella tocca molto bene. Io insomma, per quanto sará in me, vedrò di terminar l’accordo prima che egli parta, con le considerazioni ch’ho detto di sopra di procurar all’uno ed all’altro ugual gusto; ed aspetto la procura ch’ella dice di dover mandarmi col prossimo ordinario. Nel resto posso assicurare Vostra signoria che il cavaliero è di molto buona natura ed assai pieghevole; onde sempre piú io mi vado assicurando dell’intenzione che egli mostra di procurare, dal canto suo, che fra di noi abbia a conservarsi ogni miglior unione d’anime e concordia di volontá.
Avrò caro che ’l Frescobaldi venga a Roma con Vostra signoria per il gusto ch’ella mostra d’averlo in casa sua. Agli altri capi della sua lettera del 20 del passato non ho che rispondere.
Siamo senza novitá dopo lo scritto con le ultime, ed aspettiamo di veder in che forma dovrá disciorsi la giunta, come si dubita, essendo ridotte queste pratiche all’ultimo termine. E bacio a Vostra signoria per fine affettuosamente le mani.
P.S. — Il cavaliero continova il suo viaggio allegramente. Mi scrive da Spa, dove era andato per far riverenza al duca di Mantova, dandomi conto d’aver ricevuto gran beneficio dalla seconda purga, che egli ha fatta in Liege per mano d’uno di questi medici da segreti, perché era tornato nelle sue forze di prima, e saltava a cavallo senza porre il piede in staffa.
I cavalli compri per Vostra signoria danno tuttavia maggiore speranza di riuscita. Io gli faccio governar benissimo ed anche usare a tirare.
Lo speziale che mi ha servito in Roma desidera servir anche a Vostra signoria, ed io non posso lasciar di dirle che è un buon uomo.
Io mi servirò anche del signor Pompeo Caimo medico di Montalto, e però Vostra signoria potrebbe servirsi del medesimo.
VII
Allo stesso.
Signor fratello. Mi trovo la lettera di Vostra signoria dei 10 del corrente, e con essa ho avviso dell’arrivo suo a Ferrara con tutta la casa prosperamente. Vedo insieme il pensiero ch’ella aveva di sbrigarsi quanto prima per poter ritornare a Roma, non avendo ella voluto rinunziare l’ambasceria alla quale intanto supplirebbe il conte Annibale Manfredi. Io non posso non lodar sommamente la risoluzione di Vostra signoria per quella considerazione, che altre volte glie l’ho accennata, intorno al benefizio grande che gl’interessi comuni della casa e miei propri possono ricevere dalla residenza che Vostra signoria faccia in Roma. Aspetterò poi ch’ella m’avvisi piú pienamente le decorrenze nostre di costá come ne promette. Lunedí prossimo passato uscii di Brusselles insieme col marchese Spinola, e venni qua a Bins per essere qualche giorno appresso a questi principi serenissimi, che al presente sono ai loro diporti di Marimonte, palazzo che hanno distante da questa terra una lega, in mezzo ad una grandissima tirata di campagne delle piú belle che siano in tutti questi paesi. Qui in Bins sono alloggiato col marchese in casa di Moncicidor segretario delle cose di guerra, ed il principale di tutti questi ministri spagnuoli, mio grandissimo amico. Passiamo il tempo allegramente in buona conversazione. Quasi ogni mattina andiamo a Marimonte, e il dopo desinare accompagniamo le Loro Altezze alle caccie, ora di cignali ora di lepri, con grande gusto particolarmente da quattro giorni in qua ché corre una bellissima stagione. Si trova qua parimenti don Luigi di Velasco generale della cavalleria, con molti altri cavalieri della corte. Io mi fermerò qua fuori quattro o cinque altri giorni, e spero che questo poco di ricreazione sia per giovarmi alla sanitá che, per Dio grazia, godo assai prospera. Vostra signoria avrá veduto quel ch’io le risposi in materia della rinunzia ch’ella mi scrisse ch’io facessi per conto della bonificazione, ed avrá inteso pur con mie lettere la risoluzione ch’io presi di trattar questo negozio col Landinelli, il quale avendomi scritto diffusamente sopra questo particolare, io son restato capace e soddisfatto di quanto egli m’accenna, ed al mio ritorno a Brusselles risolverò quel che sará necessario. Dalle risposte ch’io giá diedi a Vostra signoria ella avrá potuto comprendere che il mio dubbio di non risolvermi nacque solo dal non aver io bastante informazione della qualitá del fatto, che nel resto ella può fermamente credere ch’io non desidero cosa piú che di darle ogni gusto e soddisfazione, e per fine le bacio affettuosamente le mani.
P.S. — Signor fratello. Ora che Dio benedetto ha voluto che restiamo in due, conviene che stringiamo piú l’amor nostro, se però si può di vantaggio, ch’io per la mia parte non posso accrescerlo, come credo che il medesimo sia dalla parte di lei. Quello che almeno io desidero è che Vostra signoria poi minutamente mi tenga avvisato dello stato suo de’ suoi pensieri e di tutte le cose, massime ora che non ho il Landinelli che supplisca per lei. E quando la Vostra signoria non può faccia almeno che il Mag.no mi scriva copiosamente.
VIII
Allo stesso.
Signor fratello. Mi dá conto Vostra signoria con la sua de’ 17 del passato d’essere stata alla bonificazione e d’aver trovate le cose in buon termine, di che ho sentito gusto grandissimo. Con la medesima lettera ho avviso di quel poco risentimento di stomaco che Vostra signoria aveva avuto, e mi son rallegrato che non sia stata cosa di momento. In questo proposito parmi di dover replicarle quello che giá le ho scritto in materia del governarsi bene e dello aversi cura per quei rispetti, che la Signoria medesima può considerare, essendo piaciuto a Dio di ridurre la nostra giá si numerosa fratellanza in noi due soli. Insomma io la prego quanto piú posso ad aver sopra ogni cosa pensiero di conservar la sua persona e di procurar particolarmente che le fatiche della bonificazione non le siano di nocumento alla sanitá. La signora nostra madre m’ha scritto di sua mano, onde spero che non sará stata di considerazione quella febbretta ch’aveva avuta. Subito ch’io sia tornato a Brusselles darò ordine che si cominci a far pratiche per trovar gli aeroni che Vostra signoria vorrebbe; e procurerò di servirla con ogni possibile diligenza e conforme al suo gusto. Oltre al rispetto della ricreazione ch’io godo qua fuori, è sopraggiunto ancora qualche negozio che tuttavia mi trattiene appresso i principi serenissimi. Il tempo nondimeno si passa per il piú con la caccia e con la buona conversazione di tanti cavalieri che sono qui, come scrissi a Vostra signoria con le precedenti. Que’ giorni che non andiamo a Marimonte dove stanno le Loro Altezze, passiamo qualche ora in un giuoco di palla ch’è in questa terra, con molto gusto, e sappia Vostra signoria ch’io sono il miglior giuocator di tutti e che ho pelato molto bene questi generali dell’esercito, avendo guadagnato al marchese Spinola e a don Luigi di Velasco piú di cento scudi. Si sta insomma allegramente ed io, per Dio grazia, godo al presente assai prospera sanitá. Di nuovo ricordo a Vostra signoria l’aversi cura. E le bacio le mani.
P.S. — Per amor di Dio Vostra signoria s’abbia cura e si moderi nelle fatiche della bonificazione; la quale che gioverá quando possa corrersi pericolo di non goderla? Ed io per me torno a replicar a Vostra signoria ch’io credo, che da quell’aria corrotta delle valli e dalle fatiche fatte in quel tempo pericoloso il nostro povero fratello acquistasse principalmente quel male che gli ha poi data la morte. È piaciuto a Dio che restiamo noi due soli. A Vostra signoria tocca principalmente il conservarsi, per la conservazione della casa. Procurerò ancor io di far il medesimo per poter fare quel poco ch’io potrò anch’io per la parte mia.
IX
Allo stesso.
Signor fratello. Sento ogni di maggior gusto dell’intendere che Vostra signoria dopo il suo ritorno a Ferrara vada applicando l’animo con quella attenzione e diligenza che bisogna alle cose nostre domestiche. E debbo credere ch’ella venga invitata a ciò dal vedersi ora piú innanzi agli occhi lo stato degl’interessi nostri, per quanto dipendono dalla buona amministrazione dei nostri beni. Della bonificazione ho tuttavia buone nuove per quello che piú copiosamente me ne scrisse il dottor Calcetti.
Mi sono rallegrato del partito sí grosso che Vostra signoria ha fatto del pesce di Filo. Piaccia a Dio che si vegga l’effetto del buon profitto che se ne spera, come non mi par che s’abbia a dubitare essendo giá la stagione del tutto a proposito.
Vostra signoria avrá inteso prima di me la nuova della morte del signor cardinale Lanfranco. Qua n’è giunto l’avviso questa settimana, ed io ne ho sentito il dolore ch’ella può immaginarsi. La corte in pochi giorni avrá vedute gran mutazioni con questa morte e con la caduta del signor cardinale di Nazaret.
Delle cose di qua non ho che scrivere a Vostra signoria; mi trovo con sanitá, per la Dio grazia. E bacio a Vostra signoria le mani.
P.S. — Dalla congiunta copia Vostra signoria vedrá quel che m’ha scritto il Landinelli e quel ch’io ho risposto a lui. Se paresse a Vostra signoria con lettere, poiché non può di presenza, far qualche officio con Borghese, a lei mi rimetto.
Quanto a dar di volta a Roma, io lo giudico molto a proposito e per le cose mie e per gl’interessi della casa. Ma bisogna che Vostra signoria vada in modo che non paia che voglia andare a far nuove ostentazioni e disordini; ché tali sarebbono i tornei che Vostra signoria aveva in animo di fare, ed altre simili cose che le vengono in pensiero senza occasione. Vostra signoria dunque potria andare e trattenersi due o tre mesi per volta secondo i negozi e le congiunture, e mostrare che stesse su l’ali, per dir cosi, ché a questo modo, vedendosi ch’ella non va per fermarsi, non si giudicherebbono necessarie le spese suol fare chi si ferma, e che ha fatto Vostra signoria quando si è fermata alla corte. Questo è il mio parere; ma so che gioverá poco, montando qualche capriccio a Vostra signoria.
Quanto al mandare i miei conti, ho scritto sopra ciò largamente al dottor Calcetti con l’ordinario passato, con quel piú che soggiunse e che Vostra signoria avrá veduto. Giá mi pare che cominciate a essere galantuomo, e che ne comincia a tornare in memoria ch’io sono al mondo. Io non mi partirò mai dal dovere, e la necessitá troppo grande m’ha fatto scrivere con quel giusto sentimento che ho scritto. Verrá a proposito quella rimessa di 2400 ducatoni di Pasqua. Intanto fará bene Vostra signoria ancora a provvedermi nuovi danari come mi promette, e quanto a me, pagandone Vostra signoria quelle partite delle quali ho scritto al dottor Calcetti, non domanderò altro se non gli assegnamenti ordinari, a ragione di 1500 ducatoni di tre mesi in tre mesi, come ho scritto ch’è il mio bisogno.
X
Allo stesso.
Signor fratello. Ricevo la lettera di Vostra signoria dei 22 del passato. Del buon progresso della bonificazione, anche dopo l’apertura di tutte le chiaviche, sento piacer grandissimo. Veggo i disegni di Vostra signoria in materia del seminare fabbricare case e far delle piantate, e desidero ch’ella possa mettere in esecuzione il tutto con ogni migliore esito. Quanto ai ghiacci, voglio sperar che non siano per torci il profitto che a Dio benedetto è piaciuto mandarci nella pesca di Filo.
Del torneo che Vostra signoria prepara di fare ad instanza del duca di Mantova, io non so che dirmi. E resto baciandole affettuosamente le mani.
P.S.—È un gran pezzo che non m’avete scritto lettere di tanta sostanza e di tanto gusto, e se m’aveste mandato danari non mi restava che desiderare: fatelo quanto prima, di grazia, perché vi giuro da vero fratello che mi trovo in grandissima necessitá. Quanto ai muletti vi ringrazio dell’offerta. Io, per Dio grazia, non vi avrò a dar spesa dei miei. E tenetemi pur addosso quante spie volete che non iscoprirete magagne. Non posso giá negare di non aver anch’io delle dame qui che mi vogliono bene, e giuro a Dio che alcune volte duro fatica a difendermi. Ma pur mi difendo, se non che è forza per galanteria scrivere qualche letterina piccante, che se intendeste spagnuolo ve ne farei parte. O che belle storie avremo a contare se piacerá a Dio che una volta ci rivediamo!
XI
Allo stesso.
Signor fratello. Finalmente Vostra signoria ha voluto lasciar passare l’anno intiero senza avermi mandato danari. Lodato Dio! Non so che mi dire, se non aver pazienza. Ancorché confesso che questa è una pazienza che mi passa l’anima, veggendomi ridotto ad esser favola, si può dire, di questa corte, e mi trovo accorato in maniera dal disgusto che se potessi non esser mai capitato qua mi terrei per molto contento. Ora io mi trovo con ventisei mila fiorini di debiti almeno, che fanno piú di dieci mila filippi, impegnati quasi tutti gli argenti, malissimo in ordine di tutte le cose, con la famiglia che avanza lunghi salari, e che ha sopportate ormai tante lunghezze che non so come non m’abbiano abbandonato giá un pezzo fa. S’io avessi i sei mila ducatoni che avanzo verrei a scaricarmi quasi di sette mila filippi, e quando ben me ne restassero tre mila non sarebbe sí gran cosa in sette anni di residenza fra tante spese ed alloggi, e con essere stato si male trattato. Ma non voglio dir altro se non che quando Vostra signoria non possa per altra via rimediare alle mie necessitá, ridotte ormai a miseria e a compassione, si risolva di vendere dei miei beni ad ogni peggior partito, perché, come ho detto, io non vorrei mai esser venuto qua, e lo starmi ora a questo modo è d’intollerabil pena e tormento. E a Vostra signoria bacio le mani.
XII
Alla signora Caterina Martinenga Bentivoglio, — Ferrara.
Sono molti giorni ch’io non ho scritto a Vostra signoria illustrissima, ma non voglio però ch’ella creda ch’io non tenga memoria di lei, conoscend’io molto bene qual’è l’affetto e l’osservanza ch’io debbo portarle. Perché ella sia certa di ciò, vengo con questa lettera a baciarle le mani ed a farle saper che, per Dio grazia, io sto tuttavia con salute ed ogni di piú soddisfatto di questo mio carico. Intendo che l’Enzio è per partir in breve per Roma. Non so come Vostra signoria possa lasciarlo partire senza esser prima totalmente guarito. Se ciò sará vero io lo reputerò per segno che ella li porti poco amore. Desidero che Vostra signoria illustrissima mi dia conto dello stato suo; se è gravida ancora nuovamente, e quel che fanno le puttine. Dell’infante me ne dá nuova spesso la signora mia madre, e mi disse che si fa ogni di piú bello, né io posso credere altrimenti essendo fattura di Vostra signoria illustrissima. La prego a credere ch’io in ogni luogo conserverò il mio solito desiderio di servirla, e baciandole nuovamente le mani le prego per fine ogni prosperitá.