Lettere (Andreini)/Lettera CXLVIII
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Del giuramento de gli amanti.
infedele. S’io v’amo più, che mi sia dato per pena il conoscer la vostra leggierezza, & ogni altra vostra imperfettione, e ciò conoscendo habbia ardentissimo desiderio di fuggirvi: ma perche per disperatione in rabbia mi converta non trovi mai la strada, e ’n cambio di scior gli indegni nodi gli senta far sempre più stretti, e sentendomi in ogni luogo rimproverar la vil fiamma porti continuamente acceso il volto di rossor di vergogna, senza haver però cuor di lasciarvi. Se più vi servo, ch’i’ possa, mentre starò la notte sotto le vostre finestre inutilmente lamentandomi, esser sicuro, che voi burlandovi di me, godiate di vedervi strettamente abbracciata da un huomo abbieto, vile, mercenario, brutto, & ignorante, onde una pestifera gelosia, con tutte quelle noiose cure, con tutti quei serpi velenosi, con tutte quelle negre fiamme d’Averno, con tutti quegli aspri furori, e con tutti quelli stimoli pungenti, ch’ella suol trar dalla tenebrosa Dite, senz’alcun intervallo m’affligga, siche per la sovverchia passione perdendo il cibo, e ’l sonno io ne divenga talmente attenuato, ch’i’ paia proprio il magro digiuno, e la pallida astinenza, onde con aspetto non men’orribile, che lagrimoso rechi à gli occhi altrui è maraviglia, e pietate. Insomma. S’io v’amo più prego Amore, che spenda in me (come dice quel gentilissimo nostro) tutte le aurate sue quadrella, e l’impiombate in voi, talch’io vegga per mio danno farsi tanto grande il vostro ghiaccio, quant’e grande il mio fuoco. Mi guardi turbato il Sole, o pur sia per me con gli altri lumi del Cielo eternamente coperto d’oscurissime nubi, sì ch’io viva eternamente in tenebrosa notte. Per me sia morta la pietà, e viva la crudeltà. Habbia sempre contra la Terra, gli huomini, le fiere, l’onde il vento, e ’l Cielo, ilqual mi neghi, non ch’altro, la morte; affine ch’i’ non possa mai ritrovar modo di terminar le mie angoscie. Ma se mantenendomi in questo fermo, e giuditioso proponimento fuggirò di vedervi, non che d’amarvi, mi conceda benigna sorte, che nel corso di breve tempo io vegga quegli occhi tormentosi abbissi di fiamme, e dispietato incendio dell’anima mia (colpa, di cui inutilmente, per tanto spatio mi son consumato) rimaner privi d’ogni vaghezza, e d’ogni forza, mi conceda anche il veder quella chioma, onde fu avviluppato il cuor mio, mutar l’oro in argento, e fatta aspra, & incolta si sdegni la vostra propria mano di toccarla, e quel vostro volto, c’hor è cibo de gli occhi, e veleno del cuore solcato dall’aratro del Tempo si faccia in modo rugoso, e brutto, che vi convenga per non ispaventar voi medesima nel guardarlo non solamente consacrar lo specchio à Venere; ma per disperatione romperlo, sì ch’io rimanga vendicato di quel cristallo, che vi consigliò tanto al mio male, & vi fece tanto altera. Siami conceduto l’udirvi amaramente riprender voi stessa della vostra follia, non havendo conosciuto quand’era tempo, che la gioventù, e la bellezza sono più fugaci, che la saetta, ò ’l vento, imparando troppo caramente à giudicar quant’erri colei, che spezza un fido, e leal amatore, ch’io allhora senza doglia, senza paura, e senza danno, ridendomi del vostro vano, e tardo pentimento prenderò i vostri sospiri, e le vostre lagrime, per fortunata ricompensa del tormento mio, e per giusta punitione della fierezza vostra.