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D’ISABELLA ANDREINI. 152

bato il Sole, o pur sia per me con gli altri lumi del Cielo eternamente coperto d’oscurissime nubi, sì ch’io viva eternamente in tenebrosa notte. Per me sia morta la pietà, e viva la crudeltà. Habbia sempre contra la Terra, gli huomini, le fiere, l’onde il vento, e ’l Cielo, ilqual mi neghi, non ch’altro, la morte; affine ch’i’ non possa mai ritrovar modo di terminar le mie angoscie. Ma se mantenendomi in questo fermo, e giuditioso proponimento fuggirò di vedervi, non che d’amarvi, mi conceda benigna sorte, che nel corso di breve tempo io vegga quegli occhi tormentosi abbissi di fiamme, e dispietato incendio dell’anima mia (colpa, di cui inutilmente, per tanto spatio mi son consumato) rimaner privi d’ogni vaghezza, e d’ogni forza, mi conceda anche il veder quella chioma, onde fu avviluppato il cuor mio, mutar l’oro in argento, e fatta aspra, & incolta si sdegni la vostra propria mano di toccarla, e quel vostro volto, c’hor è cibo de gli occhi, e veleno del cuore solcato dall’aratro del Tempo si faccia in modo rugoso, e brutto, che vi convenga per non ispaventar voi medesima nel guardarlo non solamente consacrar lo specchio à Venere; ma per disperatione romperlo, sì ch’io rimanga vendicato di quel cristallo, che vi consigliò tanto al mio male, & vi fece tanto altera. Siami conceduto l’udirvi amaramente riprender voi stessa della vostra follia, non havendo conosciuto quand’era tempo, che la gioventù, e la bellezza sono più fugaci, che la saetta, ò ’l vento, imparando troppo caramente à giudi-


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