Lettere (Andreini)/Lettera CI
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Forza d’Amore.
generoso sdegno havea già liberato dalle sue forze; ma s’io ben considero la gloria della mia nuova prigionia non è sua. Egli invero non havrebbe havuta giamai vittoria del cuor mio, ch’io l’havrei continuamente contra lui difeso; ma voi Signora mia siete stata cagione di questa perdita; per voi mi chiamai vinto, & à voi sola mi rendei prigioniero. Voi tendeste l’arco, voi arruotaste gli strali, voi deste ardor alle faci, voi tempraste le catene, & annodaste le reti, ond’Amore di nuovo piagò, arse, incatenò, & avvinse l’anima mia. Non vada superbo dunque, e non rida il fiero delle mie sventure, e de’ miei tormenti vedendomi un’altra volta, con tanto mio dolore, tiranneggiato sotto ’l suo Impero, che questo non è avvenuto per la sua possanza, della quale io havea perduta ogni tema; e s’egli nol crede, lasciatemi voi cuor mio nella mia dolce libertà, nè ritenete prigioniera l’anima mia ne’ bei vostri occhi, e venga poi meco quest’altiero in campo, & avvedrassi ben tosto, che ’l suo arco, sarà senza corda, i suoi strali senza ferro, le sue faci senza calore, le sue catene senza tempra, le sue reti senza nodi, & egli stesso veramente cieco, nudo, con l’ali tarpate, e non men privo di forza, che di giuditio. Ma ohime, ch’egli è troppo astuto, onde non si ridurrà mai à quest’atto, conoscendo troppo bene, che quanto egli può in me sol’avviene per lo splendore, e per la virtù de gli occhi vostri, i quali schivò di veder l’anima mia, à tutto suo potere prevedendo, come divina, che da loro, e da voi dovea in breve avvenirmi ogni tormento. E quante cose prima, ch’io vi vedessi, & vi conoscessi mi predicevano il mio male? innanzi al preveder dell’anima mi fu predetto da gli accidenti. Se alcuna volta io sentiva ragionar di voi, sentiva insieme, che d’insolito moto mi palpitava il cuore, sentia mutarmi di color nel volto, venirmi un tremor nelle membra, un sudor gelato nella fronte, indi mi sentia scorrer per le vene un non sò che d’insolito, un calor vehemente, sentia tutta cambiarsi l’anima mia, perdeva le parole, & i sensi, e ’n somma prima, ch’io vi vedessi, ch’io vi conoscessi, ch’io v’amassi, e ch’io io vi temessi, vi vidi, vi conobbi, v’amai, & vi temei, conoscendo, che voi sola dodevate esser quella, che mi desse nelle mani del mio nemico. Hor mi sovviene, che di sovverchio ardeva in me il desiderio di veder gli occhi vostri, i quali dovevan’esser gli ucciditori della mia vita. Sovvienmi come ogni altro pensiero haveva discacciato quel solo, ch’io nudriva nel seno di veder quella Donna à giuditio commune favorita, e privilegiata dal Cielo in modo, ch’egli stesso l’ama, compiacendosi in lei della sua mirabil fattura, havendola fatta nascere per mostrar à mortali cosa perfetta; ma tutto che ’l cuor mio non bramasse mai altro che vedervi, e che per conseguir l’intento suo non mi fosse molto difficile per assai buoni mezi, ch’io tenea, pur la mia buona sorte, che per ancora non m’havea del tutto abbandonato impedì molte volte, che ’l mio nocivo desiderio non havesse il suo fine, facendo ogni volta ch’io m’incamminava per venir à voi nascer alcuna occasione contraria; finalmente, o satia, o stanca di più difendermi, consentì per eterna mia doglia, ch’io pur vi vedessi, e veramente posso dire, che quel giorno infelice ch’io vi vidi, fù giorno in cui si fabricarono tutti i miei tormenti, e s’annunziò la mia morte, e posso dire, che quel giorno memorabile, lagrimoso, & acerbo, ch’io venni à visitarvi seco trahesse, per guida, e per iscorta del mio viaggio, tutte le infelicità. Ben voll’io più volte tornar indietro; ma ’l numeroso, e forte stuolo di quelli affanni, che mi conduceva bramando troppo di tormentarmi, e d’uccidermi superò ogni mia forza; e la ferma credenza, ch’io portava, che Amore non potesse haver luogo, se non ne gli animi otiosi, fù quella, che più d’ogn’altra mi tradì, ond’io, che dopò haver fuggito la prima volta Amore, hò sempre fuggito l’otio, pensai, che non dovesse toccar à me di nuovo così fiera avversità, e pure (ò misero me) bench’io (per dir così) non istessi mai colpa delle sollecite cure in un luogo istesso, e che da me fosse quasi sbandito interamente il sonno, non che ’l riposo, e ch’io fossi sforzato à lasciar prima il letto, che la notte l’ombre, e che mille, e mille noiosi pensieri mi fossero sempre intorno, e che (per conchiudere) non havessi mai tregua, nonche pace co’ travagli familiari, talmente che alcuna volta io era satio di vivere, tuttavia rimasi per voi mia vita sfortunato prigioniero dell’Avversario mio, & allhora conobbi di nuovo, che rispetto alle cure, & à i pensieri d’Amore, tutte le altre cure, e tutti gli altri pensieri son nulla; pur quant’egli di noioso mi dà, mi sarà lieve da sopportare, quand’i’ sappia non esser discara la mia servitù.