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LETTERE

ve da sopportare, quand’i’ sappia non esser discara la mia servitù.


Scherzi amorosi honesti.


D

A quel giorno, ch’io vi vidi (ò bellissima Donna) obliai non sol tutte l’altre cure, e tutti gli altri pensieri; ma me stesso ancora, e furono gli occhi miei cagione di tanto danno per esser di sovverchio desiderosi di mirar lo splendor de’ vostri, ilquale turbò in un punto tutti i miei sensi, il cuore, e l’anima mia, e ben m’avveggo, che fui come quel cervo, che non s’accorge dei cacciatori, che lo seguono, sintanto, ch’egli non si sente ferito; e quando hà ricevuto il mortal colpo fugge ben (lasso) i cacciatori: ma non fugge però quella ferita, e quel dolore, che lo conduce à morte. Così dopò l’havervi veduta poco valse, ch’io vi fugissi, portando io meco in ogni luogo i miei tormenti, e le mie piaghe: ma, s’Amore arde il cuor mio di così bella fiamma, e se nell’Impero suo mi sono così dolci le pene, che languendo gioisco, stolto à che mi lagno? à che mi querelo? Bramate pur voi debili amanti à cui non da ’l cuore di sostener gli amorosi martiri i conforti, e le gioie, ch’io per me non cambierei il minimo de’ miei travagli con la maggior vostra felicità, godendo dell’honorata mia prigione, e godendo parimente di vedermi ardere, e ’ncenerire da così nobil fuoco, e s’alcuna volta sciocca-


mente