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D’ISABELLA ANDREINI. 96

stanca di più difendermi, consentì per eterna mia doglia, ch’io pur vi vedessi, e veramente posso dire, che quel giorno infelice ch’io vi vidi, fù giorno in cui si fabricarono tutti i miei tormenti, e s’annunziò la mia morte, e posso dire, che quel giorno memorabile, lagrimoso, & acerbo, ch’io venni à visitarvi seco trahesse, per guida, e per iscorta del mio viaggio, tutte le infelicità. Ben voll’io più volte tornar indietro; ma ’l numeroso, e forte stuolo di quelli affanni, che mi conduceva bramando troppo di tormentarmi, e d’uccidermi superò ogni mia forza; e la ferma credenza, ch’io portava, che Amore non potesse haver luogo, se non ne gli animi otiosi, fù quella, che più d’ogn’altra mi tradì, ond’io, che dopò haver fuggito la prima volta Amore, hò sempre fuggito l’otio, pensai, che non dovesse toccar à me di nuovo così fiera avversità, e pure (ò misero me) bench’io (per dir così) non istessi mai colpa delle sollecite cure in un luogo istesso, e che da me fosse quasi sbandito interamente il sonno, non che ’l riposo, e ch’io fossi sforzato à lasciar prima il letto, che la notte l’ombre, e che mille, e mille noiosi pensieri mi fossero sempre intorno, e che (per conchiudere) non havessi mai tregua, nonche pace co’ travagli familiari, talmente che alcuna volta io era satio di vivere, tuttavia rimasi per voi mia vita sfortunato prigioniero dell’Avversario mio, & allhora conobbi di nuovo, che rispetto alle cure, & à i pensieri d’Amore, tutte le altre cure, e tutti gli altri pensieri son nulla; pur quant’egli di noioso mi dà, mi sarà lie-


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