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4 PROEMIO

[versione diplomatica]


durre una simile eternità et nobiltà di materia ne Musaici loro, per vedersene delli antichissimi quanto le piu antiche sculture che siano in Roma, et essendosi usato di farli di gioie, et pietre fini. Et quanto al piccolo, ò minor numero loro, affermano che cio non è per che l’arte ricerchi miglior disposizione di corpo; et il giudizio maggiore: ma che ei dipende in tutto da la povertà delle sustanze loro, et dal poco favore, o avaritia, che vogliamo chiamarlo, de gli huomini ricchi, i quali non fanno loro commodità de’ marmi, ne danno occasione di lavorare, come si puo credere, et vedesi che si fece ne’ tempi antichi, quando la scultura venne al sommo grado. Et è manifesto, che chi non può consumare, o gittar via una piccola quantità di marmi, et pietre forti, le quali costano pur’assai: non può fare quella pratica nell’arte, che si conviene; chi non vi fa la pratica, non l’impara; et chi non l’impara, non può far bene. Per laqual cosa doverrebbono escusare piu tosto con queste cagioni la imperfezzione, e il poco numero degli eccellenti; che cercare di trarre da esse sotto un’altro colore la nobiltà. Quanto a’ maggior pregi delle sculture, rispondono che quando i loro fussino bene minori, non hanno a compatirli, contentandosi di un putto, che macini loro i colori, et porga i pennelli, o le predelle di poca spesa, dove gli Scultori oltre alla valuta grande della materia, vogliono di molti aiuti, et mettono piu tempo in una sola figura, che non fanno essi in molte, et molte; per il che appariscano i pregi loro essere piu della qualità, et durazione di essa materia, degl’aiuti, che ella vuole a condursi, et del tempo che vi si mette à lavorarla; che dell’eccellenza dell’arte stessa. Et quando questa non serva, ne si truovi prezzo maggiore, come sarebbe facil cosa, a chi volesse diligentemente considerarla; Truovino un prezzo maggiore del maraviglioso, bello, et vivo dono, che alla virtuosissima, et eccellentissima opera d’Apelle, fece Alessandro il Magno; donandogli non tesori grandissimi, o stato, ma la sua amata, et bellissima Campsaspe. Et avvertischino di piu, che Alessandro era giovane, innamorato di lei, et naturalmente agli affetti di Venere sotto posto, et Re insieme et Greco, et poi ne faccino quel giudizio, che piace loro. Agli amori di Pigmalione, et di quelli altri scelerati non degni piu d’essere huomini, citati per pruova della nobiltà dell’arte, non sanno, che si rispondere; se da una grandissima cecità di mente, et da una sopra ogni natural modo sfrenata libidine, si può fare argumento di nobiltà. Et di quel non so chi allegato dagli Scultori d’haver fatto la scultura d’oro, et la pittura d’argento come disopra, consentono che se egli havesse dato tanto segno di giudizioso, quanto di ricco, non sarebbe da disputarla. Et concludono finalmente, che l’antico vello dell’oro per celebrato che e’ sia, non vestì però altro, che un Montone senza intelletto; per il che nè il testimonio delle ricchezze, nè quello delle voglie disoneste; ma delle lettere, dell’esercizio, della bontà, et del giudizio son quelli a chi si debbe attendere. Nè rispondono altro alla dificultà dell’havere i Marmi, et i Metalli, se non, che questo nasce da la povertà propria, et dal poco favore de’ potenti, come si è detto, et non da grado di maggiore nobiltà. All’estreme fatiche del corpo, et a pericoli proprij, et dell’opere loro, ridendo, et senza alcun disagio rispondono, che se le fatiche


[versione critica]


durre una simile eternità et nobiltà di materia ne Musaici loro, per vedersene delli antichissimi quanto le piu antiche sculture che siano in Roma, et essendosi usato di farli di gioie, et pietre fini. Et quanto al piccolo, o minor numero loro, affermano che cio non è per che l’arte ricerchi miglior disposizione di corpo; et il giudizio maggiore, ma che ei dipende in tutto da la povertà delle sustanze loro, et dal poco favore, o avaritia, che vogliamo chiamarlo, de gli huomini ricchi, i quali non fanno loro commodità de’ marmi, ne danno occasione di lavorare, come si puo credere, et vedesi che si fece ne’ tempi antichi, quando la scultura venne al sommo grado. Et è manifesto, che chi non può consumare, o gittar via una piccola quantità di marmi, et pietre forti, le quali costano pur’assai, non può fare quella pratica nell’arte, che si conviene; chi non vi fa la pratica, non l’impara; et chi non l’impara, non può far bene. Per laqual cosa doverrebbono escusare piu tosto con queste cagioni la imperfezzione, e il poco numero degli eccellenti; che cercare di trarre da esse sotto un’altro colore la nobiltà. Quanto a’ maggior pregi delle sculture, rispondono che quando i loro fussino bene minori, non hanno a compatirli, contentandosi di un putto, che macini loro i colori, et porga i pennelli, o le predelle di poca spesa, dove gli Scultori oltre alla valuta grande della materia, vogliono di molti aiuti, et mettono piu tempo in una sola figura, che non fanno essi in molte, et molte; per il che appariscano i pregi loro essere piu della qualità, et durazione di essa materia, degl’aiuti, che ella vuole a condursi, et del tempo che vi si mette a lavorarla, che dell’eccellenza dell’arte stessa. Et quando questa non serva, ne si truovi prezzo maggiore, come sarebbe facil cosa, a chi volesse diligentemente considerarla, truovino un prezzo maggiore del maraviglioso, bello, et vivo dono, che alla virtuosissima, et eccellentissima opera d’Apelle, fece Alessandro il Magno; donandogli non tesori grandissimi, o stato, ma la sua amata, et bellissima Campsaspe. Et avvertischino di piu, che Alessandro era giovane, innamorato di lei, et naturalmente agli affetti di Venere sotto posto, et Re insieme et Greco, et poi ne faccino quel giudizio, che piace loro. Agli amori di Pigmalione, et di quelli altri scelerati non degni piu d’essere huomini, citati per pruova della nobiltà dell’arte, non sanno, che si rispondere; se da una grandissima cecità di mente, et da una sopra ogni natural modo sfrenata libidine, si può fare argumento di nobiltà. Et di quel non so chi allegato dagli Scultori d’haver fatto la scultura d’oro, et la pittura d’argento come disopra, consentono che se egli havesse dato tanto segno di giudizioso, quanto di ricco, non sarebbe da disputarla. Et concludono finalmente, che l’antico vello dell’oro per celebrato che e’ sia, non vestì però altro, che un Montone senza intelletto; per il che nè il testimonio delle ricchezze, nè quello delle voglie disoneste; ma delle lettere, dell’esercizio, della bontà, et del giudizio son quelli a chi si debbe attendere. Nè rispondono altro alla dificultà dell’havere i Marmi, et i Metalli, se non, che questo nasce da la povertà propria, et dal poco favore de’ potenti, come si è detto, et non da grado di maggiore nobiltà. All’estreme fatiche del corpo, et a pericoli proprij, et dell’opere loro, ridendo, et senza alcun disagio rispondono, che se le fatiche


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