Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Proemio delle Vite
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PROEMIO DELLE VITE.
qualchuno venisse il principio; ne anche negherò essere stato possibile, che l’uno aiutasse l’altro, et insegnasse, et apprisse la via al disegno, al colore, et rilievo, perche io sò, che l’Arte nostra è tutta imitazione della Natura, principalmente, et poi, perche da se non può salir tanto alto delle cose, che da quelli, che miglior Maestri di se giudica, sono condotte. Ma dico bene, che il volere determinatamente affermare chi costui, ò costoro fussero, è cosa molto pericolosa à giudicare, et forse poco necessaria a sapere, poi che veggiamo la vera radice, et origine donde ella nasce. Perche poi che delle opere, che sono la vita, et la fama delli Artefici, le prime, et di mano in mano le seconde, et le terze, per il tempo, che consuma ogni cosa venner manco; et non essendo allhora chi scrivesse, non potettono essere almanco per quella via conosciute da posteri; Vennero anchora à essere incogniti gli Artefici di quelle; Ma da che gli scrittori cominciorono a far memoria delle cose state innanzi a loro, non potettono gia parlare di quelli, de quali non havevano potuto haver notizia; in modo, che primi appo loro vengono à esser quelli, de quali era stata ultima à perdersi la memoria. Si come il primo de’ Poeti, per consenso commune si dice esser Homero; non perche innanzi à lui non ne fusse qualcuno, che ne furono, se bene non tanto eccellenti, et nelle cose sue istesse si vede chiaro, ma perche di que’ primi tali quali essi furono, era persa gia dumila anni fa, ogni cognizione. Però lasciando questa parte indietro, troppo per l’antichità sua incerta, vegnamo alle cose piu chiare della loro perfezzione, et Rovina, et Restaurazione, et per dir meglio Rinascità, delle quali con molti miglior fondamenti potremo ragionare.
Dico adunque, essendo però vero, che elle cominciassero in Roma tardi, se le prime figure furono come si dice il simulacro di Cerere fatto di metallo, de’ beni di Spurio Cassio; Il quale perche macchinava di farsi Re, fu morto dal proprio Padre, senza rispetto alcuno. Che se bene continuarono l’Arti della Scultura, et della pittura insino alla consumazione de’ dodici Cesari, non però continuarono in quella perfezzione, et bontà, che havevano havuto innanzi: perche si vede ne gli edifizij, che fecero, succedendo l’uno all’altro gl’Imperatori, che ogni giorno queste Arti declinando, venivano à poco à poco perdendo l’intera perfezzione del disegno. Et di ciò possono rendere chiara testimonanza l’opere di Scultura, et d’Architettura, che furono fatte al tempo di Gostantino in Roma, e particularmente l’Arco Trionfale, fattogli dal popolo Romano al colosseo, dove si vede, che per mancamento di Maestri buoni, non solo si servirono delle storie di Marmo fatte al tempo di Traiano, ma delle spoglie ancora, condotte di diversi luoghi à Roma; E chi conosce, che i voti, che sono ne’ tondi, cioè le Sculture di mezzo rilievo, et parimente i prigioni, et le storie grandi, et le colonne, et le cornici, et altri ornamenti fatti prima, et di spoglie sono eccellentemente lavorati; conosce anchora, che l’opere, le quali furon fatte per ripieno da gli Scultori di quel tempo, sono goffissime; Come sono alcune storiette di figure piccole di marmo sotto i tondi, et il basamento da pie, dove sono alcune Vittorie.nell’antichissimo Tempio di San Giovanni nella città loro. Nel medesimo tempo la pittura, che era poco meno, che spenta affatto, si vide andare riacquistando qualche cosa, come ne mostra il musaico, che fu fatto nella capella maggiore della detta chiesa di San Miniato.
Da cotal principio adunque, cominciò à crescere à poco à poco in Toscana il disegno, et il miglioramento di queste Arti, come si vide l’Anno mille, et sedici nel dare principio i Pisani alla fabbrica del Duomo loro: perche in quel tempo fu gran cosa mettere mano à un corpo di Chiesa cosi fatto di cinque Navate, et quasi tutto di marmo dentro, et fuori. Questo Tempio, ilquale fu fatto con ordine, et disegno di Buschetto Greco da Dulicchio, Architettore in quell’età rarissimo fu edificato, et ornato da i Pisani d’infinite spoglie condotte, per mare, essendo eglino nel colmo della grandezza loro, di diversi lontanissimi luoghi, come ben mostrano le colonne, base, capitegli, cornicioni, et altre pietre d’ogni sorte, che vi si veggiono. Et perche tutte queste cose erano, alcune piccole, alcune grandi, et altre mezzane, fu grande il giudizio, et la virtù di Buschetto nell’accommodarle, et nel fare lo spartimento di tutta quella fabbrica, dentro, et fuori molto bene accommodata: Et oltre all’altre cose nella facciata dinanzi con gran numero di colonne accommodò il diminuire del frontespizio molto ingegnosamente, quello di varij, et diversi intagli d’altre colonne, et di statue antiche adornando, si come anco fece le porte principali della medesima facciata: fra le quali, cioè allato à quella del carroccio, fu poi dato à esso Buschetto honorato sepolcro con tre Epitaffij, dequali è questo uno, in versi Latini, non punto dissimili dall’altre cose di que’ tempi.Quod vix mille boum possent iuga iuncta movere,
Et quod vix potuit per mare ferre ratis,
Buschetti nisu, quod erat mirabile visu,
Dena puellarum turba levavit onus.
Et perche si è di sopra fatto menzione della chiesa di Santo Apostolo di Firenze, non tacerò, che in un marmo di essa dall’uno de lati dell’Altare maggiore si leggono queste parole. VIII°. V°. DIE VI APRILIS in resurectione DOMINI KAROLUS Francorum rex a Roma revertens, ingressus Florentiam cum magno gaudio, et tripudio susceptus, civium copiam torqueis aureis decoravit. ECCLESIA Sanctorum Apostolorum in Altari inclusa est lamina plumbea, in qua descripta apparet præfata fundatio; et consecratio facta per ARCHIEPISCOPUM TURPINUM, testibus ROLANDO et ULIVERIO.
L’edifizio sopradetto del Duomo di Pisa svegliando per tutta Italia, et in Toscana massimamente l’animo di molti à belle imprese fu cagione, che nella Città di Pistoia si diede principio l’Anno mille et trentadue alla Chiesa di San Paulo, presente il beato Atto, Vescovo di quella Città, come si legge: in un contratto fatto inquel tempo; et in somma à molti altri edifizij, de’ quali troppo lungo sarebbe fare al presente menzione.
Non tacerò gia continuando l’andar de’ tempi, che l’Anno poi mille, et sessanta fu in Pisa edificato il Tempio tondo di San Giovanni, dirimpetto al Duomo, et in sulla medesima piazza. Et quello, che è cosa maravigliosa, et quasi del tutto incredibile, si truova, per ricordo in uno antico libro dell’opera del Duomo detto, che le colonne del detto San Giovanni, i pilastri, et le volte furono rizzate, et fatte in quindici giorni, et non piu. Et nel medesimo Libro, ilquale può chiunche n’havesse voglia vedere, si legge, che per fare quel tempio, fu posta una gravezza d’un danaio per fuoco, ma non vi si dice gia se d’oro ò di piccioli. Et in quel tempo erano in Pisa, come nel medesimo Libro si vede, trentaquattro mila fuochi. Fu certo questa opera grandissima, di molta spesa, et difficile à condursi, et massimamente la volta della Tribuna fatta à guisa di pera, et disopra coperta di Piombo. Il di fuori è pieno di Colonne, d’intagli, e d’Historie: et nel fregio della porta di mezzo è un GIESU CHRISTO con dodici Apostoli di mezzo rilievo, di maniera Greca.
I Lucchesi ne’ medesimi tempi, cioè l’Anno mille, et sessant’uno, come concorrenti de’ Pisani principiarono la Chiesa di San Martino in Lucca, col disegno, non essendo allhora altri Architetti in Thoscana, di certi discepoli di Buschetto. Nella facciata dinanzi della qual Chiesa, si vede appiccato un portico di marmo con molti ornamenti, et intagli di cose fatte in memoria di Papa Alessandro secondo, stato poco innanzi, che fusse assunto al Pontificato, Vescovo di quella Città. Dellaquale edificazione, et di esso Alessandro, si dice in nove versi Latini pienamente ogni cosa. Il medesimo si vede in alcune altre lettere Antiche, intagliate nel marmo sotto il portico infra le porte. Nella detta facciata sono alcune figure, et sotto il portico molte storie di marmo di mezzo rilievo della vita di San Martino, et di maniera Greca. Ma le migliori, lequali sono sopra una delle porte, furono fatte cento settanta anni doppo, da Nicola Pisano, et finite nel mille ducento trenta tre, come si dirà al luogo suo, essendo operai, quando si cominciarono, Abellenato, et Aliprando, come per alcune lettere nel medesimo luogo intagliate in marmo, apertamente si vede. Le quali figure di mano di Nicola Pisano mostrano quanto per lui migliorasse l’Arte della Scultura. Simili à questi furono per lo piu, anzi tutti gl’Edifizij, che da i tempi detti di sopra, insino all’Anno mille dugento cinquanta furono fatti in Italia: percioche poco, o nullo acquisto, o miglioramento si vide nello spazio di tanti Anni havere fatto l’Architettura; ma essersi stata ne i medesimi termini, et andata continuando in quella goffa maniera, della quale anchora molte cose si veggiono, di che non farò al presente alcuna memoria, perche se ne dirà di sotto, secondo l’occasioni, che mi si porgeranno.
Le Sculture, et le Pitture similmente buone, state sotterrate nelle rovine d’Italia, si stettono insino al medesimo tempo rinchiuse, o non conosciute da gli huomini,ingrossati nelle goffezze del moderno uso di quell’età, nella quale non si usavano altre Sculture, ne pitture, che quelle, lequali un residuo di vecchi artefici di Grecia facevano, ò in imagini di terra, et di pietra, o dipignendo figure mostruose, et coprendo solo i primi lineamenti di colore. Questi artefici, come migliori, essendo soli in queste professioni, furono condotti in Italia; dove portarono insieme col musaico la Scultura, et la Pittura in quel modo, che la sapevano. Et cosi le insegnarono agl’Italiani goffe, et rozzamente. Iquali Italiani poi se ne servirono, come si è detto, et come si dira insino a un certo tempo.
Et gl’huomini di que’ tempi, non essendo usati a veder altra bontà, ne maggior perfezzione nelle cose; di quella, che essi vedevano, si maravigliavano; e quelle, ancora che baronesche fossero, non dimeno per le migliori apprendevano, pur gli spirti di coloro, che nascevano, aitati in qualche luogo dalla sottilità dell’aria si purgarono tanto, che nel mccl. il cielo à pietà mossosi de i belli ingegni, che ’l terren’ Toscano produceva ogni giorno, gli ridusse alla forma primiera. Et se bene gli innanzi à loro havevano veduto residui d’archi, o di colossi, o di statue, o pili, o colonne storiate, nell’età che furono dopo i sacchi, et le ruine, et gl’incendi di Roma; e’ non seppono mai valersene, o cavarne profitto alcuno, sino al tempo detto di sopra, gl’ingegni, che vennero poi, conoscendo assai bene il buono dal cattivo, e abbandonando le maniere vecchie, ritornarono ad imitare le antiche, con tutta l’industria, et ingegno loro. Ma perche piu agevolmente s’intenda, quello che io chiami vecchio, et antico, Antiche furono le cose innanzi à Costantino, di Corintho, d’Athene, et di Roma, et d’altre famosissime città, fatte fine à sotto Nerone, à i Vespasiani, Traiano, Adriano, et Antonino; percioche l’altre si chiamano vecchie, che da San Salvestro in quà furono poste in opera da un certo residuo de’ Greci, i quali piu tosto tignere, che dipignere sapevano. Perche essendo in quelle guerre morti gl’eccellenti primi artefici, come si è detto, al rimanente di que’ Greci vecchi, et non antichi altro non era rimaso, che le prime linee in un campo di colore; come di ciò fanno fede hoggidi infiniti musaici, che per tutta Italia lavorati da essi greci si veggono per ogni vecchia chiesa di qual si voglia città d’Italia, et massimamente nel duomo di Pisa, in San Marco di Vinegia, et ancora in altri luoghi, et cosi molte pitture, continovando fecero di quella maniera con occhi spiritati, et mani aperte in punta di piedi, come si vede ancora in San Miniato fuor di Fiorenza fra la porta, che va in Sagrestia, et quella che va in convento, et in Santo Spirito di detta città tutta la banda del chiostro verso la chiesa, et similmente in Arezzo in San Giuliano, et in San Bartolomeo, et in altre chiese, et in Roma in San Pietro nel vecchio storie intorno intorno fra le finestre, cose che hanno piu del mostro nel lineamento, che effigie di quel che si sia. Di Scultura ne fecero similmente infinite, come si vede ancora sopra la porta di San Michele à Piazza Padella di Fiorenza di basso rilievo, et in Ogni Santi, et per molti luoghi sepulture, et ornamenti di porte per chiese, dove hanno per mensole certe figure per regger il tetto, cosi goffe, et si ree, et tanto malfatte, di grossezza, et di maniera, che par’impossibile, che imaginare peggio si potesse. Sino a quì mi è parso discorrere, dal principio della Scultura, et della Pittura; et per avventura piu largamente, che in questo luogo non bisognava. Ilche ho io però fatto, non tanto traportato dall’affezzione della arte; quanto mosso dal benefizio, et utile comune de gli artefici nostri. Iquali havendo veduto inche modo ella da piccol principio, si conducesse a la somma altezza; e come da grado si nobile precipitasse in ruina estrema: e perconseguente la natura di questa arte, simile a quella dell’altre, che come i corpi humani, hanno, il nascere, il crescere, lo invecchiare, et il morire; Potranno hora piu facilmente conoscere il progresso della sua rinascita; et di quella stessa perfezzione, dove ella è risalita ne’ tempi nostri. Et a cagione ancora, che se mai (ilche non acconsenta Dio) accadesse per alcun tempo per la trascuraggine degli huomini, o per la malignita de’ Secoli, o pure per ordine de’ Cieli, i quali non pare, che voglino le cose di quaggiù mantenersi molto in uno essere; ella incorresse di nuovo, nel medesimo disordine di rovina, possino queste fatiche mie, qualunche elle si siano, (se elle però saranno degne di piu benigna fortuna) per le cose discorse innanzi, et per quelle che hanno da dirsi, mantenerla in vita; O al meno dare animo, à i piu elevati ingegni di provederle migliori aiuti: Tanto, che con la buona volontà mia, e con le opere di questi tali, ella abbondi di quelli aiuti, et ornamenti, de’ quali (siami lecito liberamente dire il vero) ha mancato sino a quest’hora. Ma Tempo è di venire hoggi mai a la vita di Giovanni Cimabue; Il quale si come dette principio al nuovo modo di disegnare, e di dipignere, cosi è giusto, et conveniente, che e’ lo dia ancora alle vite, nelle quali mi sforzerò di osservare il piu che si possa, l’ordine delle maniere loro piu che del Tempo. Et nel discrivere le forme, et le fattezzeFonte/commento: Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 1-2, 1568.djvu/12 de gl’artefici sarò breve, perche i ritratti loro, i quali sono da me stati messi insieme con non minore spesa, e fatica, che diligenza, meglio dimostreranno quali essi artefici fussero, quanto all’effigie, che il raccontarlo non farebbe gia mai, et se d’alcuno mancasse il ritratto, cio non è per colpa mia, ma per non si essere in alcuno luogo trovato. Et se i detti ritratti non paressero a qualcuno per avventura simili affatto ad altri, che si trovassono, voglio, che si consideri, che il ritratto fatto d’uno quando era di diciotto o venti anni, non sarà mai simile al ritratto, che sarà stato fatto quindici o venti anni poi. A questo si aggiugne, che i ritratti dissegnati non somigliano mai tanto bene, quanto fanno i coloriti: Senza, che gl’intagliatori, che non hanno disegno, tolgono sempre alle figure, per non potere, ne sapere fare appunto quelle minuzie, che le fanno esser buone, et somigliare, quella perfezzione, che rade volte, o non mai hanno i ritratti intagliati in legno. In somma quanta sia stata in cio la fatica, spesa, e diligenza mia coloro il sapranno, che leggendo vedranno onde io gli habbia, quanto ho potuto il meglio ricavati etc.
Fine del proemio delle vite.