Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Proemio delle Vite

Proemio delle Vite

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Introduzione 35 Cimabue
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PROEMIO DELLE VITE.


O non dubito punto, che non sia quasi di tutti gli scrittori commune, et certissima opinione, che la scultura insieme con la pittura fussero naturalmente da i popoli dello Egitto primieramente trovate; E che alcun’altri non siano, che attribuischino a’ Caldei le prime bozze de marmi; et i primi rilievi delle statue; come danno anco a’ Greci la invenzione del pennello, et del colorire. Ma io dirò bene, che dell’una, et dell’altra Arte il disegno, che è il fondamento di quelle, anzi l’istessa anima, che concepe, et nutrisce in se medesima tutti i parti degli intelletti, fusse perfettissimo in sul origine di tutte l’altre cose; Quando l’altissimo Dio fatto il gran corpo del mondo, et ornato il cielo de suoi chiarissimi lumi, discese con l’intelletto piu giu nella limpidezza dell’aere, et nella solidità della terra; et formando l’huomo, scoperse con la vaga invenzione delle cose, la prima forma della scoltura, et della pittura, dal quale huomo a mano a mano poi (che non si de dire il contrario) come da vero esemplare fur cavate le statue, et le sculture, et la difficulta dell’attitudini, e de i contorni, et per le prime pitture (qual che elle si fussero) la morbidezza, l’unione, et la discordante concordia, che fanno i lumi con l’ombre. Cosi dunque il primo modello, onde usci la prima imagine dell’huomo fu una massa di terra; et non senza cagione: percioche il divino Architetto del tempo, et della natura, come perfetissimo volle mostrare nella imperfezzione della materia, la via, del levare, et dell’aggiugnere; nel medesimo modo, che sogliono fare i buoni scultori; et pittori, i quali ne’ lor modelli, aggiungendo, et levando, riducono le imperfette bozze a quel fine, et perfezzione che vogliono. Diedegli colore vivacissimo di carne, dove s’è tratto nelle pitture poi da le Miniere della terra gli istessi colori, per contraffare tutte le cose, che accaggiono nelle Pitture. Bene è vero, che e’ non si può affermare per certo, quello, che ad imitazione di cosi bella opera si facessino gli huomini avanti al Diluvio in queste arti; avvegna, che verisimilmente paia da credere, che essi ancora, et scolpissero, et dipignissero d’ogni maniera; Poi che Belo figliuolo del Superbo Nebrot circa .cc. anni dopo il Diluvio fece fare la statua, donde nacque poi la Idolatria; et la famosissima nuora sua Semiramis Regina di Babilonia, nella edificazione di quella città pose tra gli ornamenti di quella, non solamente variate, et diverse spezie di animali ritratti, et coloriti di naturale, Ma la imagine di se stessa, et di Nino suo marito; et le statue anchora di bronzo del suocero, et della suocera, et della antisuocera sua, come racconta Diodoro, chiamandole co’ nomi de’ Greci, che ancora non erano, Giove, Giunone et Ope. Da le quali statue appresero per avventura i Caldei, a [p. 68 modifica]fare le imagini de’ loro Dii; poi che 150 anni dopo Rachel nel fuggire di Mesopotamia insieme con Iacob suo marito; furò gli Idoli di Laban suo padre, come apertamente racconta il Genesi. Ne forono pero soli i Caldei a fare sculture, et pitture, ma le fecero ancora gli Egizzij esercitandosi in queste arti con tanto studio, quanto mostra il Sepolcro maraviglioso dello Antichissimo Re Simandio; largamente descritto da Diodoro; et quanto arguisce il severo comandamento fatto da Mose nello uscire del Egitto; cioè che sotto pena della morte, non si facessero a Dio imagini alcune. Costui nello scendere di sul monte, havendo trovato fabricato il vitello dell’oro, et adorato solennemente dalle sue genti; Turbatosi gravemente di vedere concessi i divini honori all’imagine d’una Bestia; non solamente lo ruppe, e ridusse in polvere; Ma per punizione di cotanto errore, fece uccidere da Leviti molte migliaia degli scelerati figliuoli d’Israel, che havevano commessa quella Idolatria. Ma perche, non il lavorare le statue, ma l’adorarle era peccato sceleratissimo; si legge nell’Esodo, che l’arte del disegno, et delle statue, non solamente di marmo, ma di tutte le sorte di metallo, fu donata per bocca di Dio a Beseleel della tribu di Iuda, et ad Oliab della tribu di Dan, che furono que’ che fecero i due cherubini d’oro, et candellieri, e ’l velo, et le fimbrie delle veste sacerdotali; et tante altre bellissime cose di getto nel Tabernacolo; non per altro, che per indurvi le genti a contemplarle, et adorarle. Da le cose dunque vedute innanzi al Diluvio, la superbia degli huomini trovò il modo di fare le statue di coloro, che al mondo volsero, che restassero per fama immortali; Et i Greci, che diversamente ragionano di questa origine, dicono, che gli Etiopi trovarono le prime statue secondo Diodoro, et gli Egizzij le presono da loro, et da questi i Greci, poi che in sino a tempi d’HOMERO si vede essere stato perfetta la scultura, et la pittura, come fa fede nel ragionar dello scudo d’Achille quel Divino Poeta, che con tutta l’arte piu tosto sculpito, et dipinto, che scritto ce lo dimostra. Lattanzio Firmiano, favoleggiando le concede à Prometeo, il quale a similitudine del grande Dio formò l’immagine humana di loto; et da lui l’arte delle statue afferma essere venuta. Ma secondo che scrive Plinio, questa arte venne in Egitto da Gige Lidio; Il quale essendo al fuoco, et l’ombra di se medesimo riguardando, subito con un carbone in mano, contornò se stesso nel muro. Et da quella età per un tempo le sole Linee si costumò mettere in opera senza corpi di colore, si come afferma il medesimo Plinio, laqual cosa da Filocle Egizzio con piu fatica, et similmente da Cleante, et Ardice Corinthio, et da Telephane Sicionio fu ritrovata. Cleophante Corinthio fu il primo appresso de’ Greci, che colori. Et Apolodoro il primo, che ritrovasse il pennello. Segui Polignoto, Tasio, Zeusi, et Timagora Calcidese, Pithio, et Alaupho tutti celebratissimi, et dopo questi il famosissimo Apelle da Alessandro Magno tanto per quella virtu stimato, et honorato, ingegnosissimo investigatore della Calumnia, et del Favore, come ci dimostra Luciano; et come sempre fur quasi tutti i pittori, et gli scultori eccellenti dotati dal cielo il piu delle volte, non solo dell’ornamento della Poesia, come si legge di Pacuvio; ma della Filosofia anchora, come si vide in Metrodoro perito tanto in Filosofia, quanto [p. 69 modifica]in pittura, mandato da gli Ateniesi a Paulo Emilio per ornar’il trionfo, che ne rimase a leggere filosofia a suoi figliuoli. Furono adunque grandemente in Grecia esercitate le sculture nelle quali si trovarono molti artefici eccellenti, e tra gl’altri Fidia Ateniese, Prasitele, et Policleto grandissimi maestri; cosi Lisippo, et Pirgotele in intaglio di cavo valsero assai; et Pigmaleone in Avorio di rilievo; di cui si favoleggia, che co’ preghi suoi impetrò fiato, et spirito alla figura della vergine, ch’ei fece. La pittura similmente honorarono, et con premij gli antichi Greci, et Romani, poiche a coloro, che la fecero maravigliosa apparire, lo dimostrarono col donare loro Città, et dignità grandissime. Fiori talmente quest’arte in Roma, che Fabio diede nome al suo casato sottoscrivendosi nelle cose da lui si vagamente dipinte nel tempio della Salute, et chiamandosi Fabio Pittore. Fu proibito per decreto publico che le persone serve tal arte non facessero per le città, et tanto honore fecero le gente del continuo all’arte, et agli artefici, che l’opere rare nelle spoglie de’ trionfi, come cose miracolose, a Roma si mandavono: et gli Artefici egregi erono fatti di servi liberi, et riconosciuti con honorati premij dalle Republiche. Gli stessi Romani tanta reverenza a tale arti portarono, che oltre il rispetto, che nel guastare la città di Siragusa volle Marcello, che s’havesse a uno artefice famoso di queste, nel volere pigliare la città predetta hebbero riguardo di non mettere il fuoco a quella parte, dove era una bellissima tavola dipinta, la quale fu di poi portata a Roma nel trionfo con molta pompa. Dove in spatio di tempo, havendo quasi spogliato il mondo, ridussero gli artefici stessi, et le egregie opere loro, delle quali Roma poi si fece si bella, perche le diedero grande ornamento le statue pellegrine, e piu che le domestiche, et particolari, sapendosi, che in Rhodi, città d’Isola, non molto grande, furono piu di trenta mila statue annoverate fra di bronzo, et di marmo, ne manco ne hebbero gli Ateniesi, ma molto piu que’ d’Olimpia, et di Delfo, et senza alcun numero que’ di Corinto, et furono tutte bellissime, et di grandissimo prezzo. Non si sa egli, che Nicomede Re di Licia, per l’ingordigia di una Venere, che era di mano di Prasitele, vi consumò quasi tutte le ricchezze de’ popoli? non fece il medesimo Attalo? che per havere la tavola di Bacco dipinta da Aristide, non si curò di spendervi dentro piu di sei mila sestertij. La qual tavola da Lucio Mummio fu posta, per ornarne pur Roma, nel tempio di Cerere con grandissima pompa. Ma con tutto, che la nobiltà di quest’Arte fusse cosi in pregio; e non si sà però ancora per certo, chi le desse il primo principio. Perche come gia si è di sopra ragionato: ella si vede antichissima ne’ Caldei; certi la danno all’Etiopi; et i Greci à se medesimi l’attribuiscono; e puossi non senza ragione pensar, ch’ella sia forse piu antica appresso à Toscani: Come testifica il nostro Lion Batista Alberti; e ne rende assai buona chiareza la maravigliosa sepoltura di Porsena à Chiusi, dove non è molto tempo, che si è trovato sotto terra fra le mura del Laberinto alcune tegole di terra cotta dentrovi figure di mezzo rilievo, tanto eccellenti, et di si bella maniera; che facilmente si puo conoscere, l’Arte non esser cominciata à punto in quel tempo; anzi per la perfezzione di que’ lavori, esser molto piu vicina al colmo, che al principio. Come ancora ne puo far [p. 70 modifica]medesimamente fede, il veder tutto il giorno molti pezzi di que’ vasi rossi, et neri Aretini fatti come si giudica per la maniera, intorno a que tempi, con leggiadrissimi intagli et figurine, et istorie di Basso rilievo; et molte mascherine tonde sottilmente lavorate da Maestri di quella età, come per leffetto si mostra, pratichissimi, e valentissimi in tale arte. Vedesi anchora per le statue trovate a Viterbo, nel principio del pontificato d’Alessandro. VI. la scultura essere stata in pregio, et non picciola perfezzione in Toscana; Et come che e non si sappia apunto il tempo, che elle furon fatte, pure, et dalla maniera delle figure, et dal modo delle sepulture, et delle fabriche, non meno che dalle inscrizzioni di quelle lettere Toscane, si puo verisimilmente conietturare, che le sono antichissime, et fatte ne tempi, che le cose di qua erano in buono, et grande stato. Ma che maggior chiarezza si puo di cio havere? essendosi a tempi nostri, cio è l’anno 1554. trovata una figura di bronzo fatta per la chimera di bellero fonte, nel far fossi, fortificazione, et muraglia d’Arezzo? Nellaquale figura si conosce la perfezzione di quell’arte essere stata anticamente appresso i Toscani, come si vede alla maniera Etrusca, ma molto piu nelle lettere intagliate in una zampa, che per essere poche si coniettura, non si intendendo hoggi da nessuno la lingua etrusca, che le possino cosi significare il nome del maestro, come d’essa figura, et forse ancora gl’anni secondo l’uso di que tempi. La quale figura è hoggi, per la sua bellezza, et antichità stata posta dal signor Duca Cosimo nella sala delle stanze nuove del suo palazzo, dove sono stati da me dipinti i fatti di Papa Leone X. Et oltre a questa nel medesimo luogo furono ritrovate molte figurine di bronzo della medesima maniera, lequali sono appresso il detto signor Duca. Ma perche le antichità, delle cose de’ Greci, et dell’Etiopi, et de’ Caldei, sono parimente dubbie come le nostre, et forse piu, et per il piu bisogna fondare il giudizio di tali cose in su le conietture; che ancor non sieno talmente deboli, che in tutto si scostino dal segno; io credo non mi esser punto partito dal vero, et penso che, ogniuno che questa parte vorrà discretamente considerare; giudicherà, come io, quando disopra io dissi, il principio di queste arti essere stata l’istessa natura; et l’innanzi, o modello, la bellissima fabrica del mondo; et il maestro, quel divino lume, infuso per grazia singulare in noi, il quale non solo ci ha fatti superiori alli altri animali; ma simili (se è lecito dire) à Dio. Et se ne’ tempi nostri, si è veduto (come io credo per molti esempli, poco inanzi poter mostrare) che i semplici fanciulli, et rozzamente allevati ne’ boschi; in sull’Esempio solo di queste belle pitture, et sculture della natura; con la vivacità del loro ingegno, da per se stessi hanno cominciato a disegnare; quanto piu si puo et debbe verisimilmente pensare, que’ primi huomini, iquali, quanto manco erano lontani dal suo principio, et divina generazione tanto erono piu perfetti, et di migliore ingegno; essi da per loro, havendo per guida la natura: per maestro l’intelletto purgatissimo; per essempio si vago modello del mondo, haver dato origine à queste nobilissime Arti; e da picciol principio à poco à poco migliorandole; condottole finalmente à perfezzione? Non voglio gia negare, che e’ non sia stato un primo, che cominciasse, che io sò molto bene, che e bisognò, che qualche volta, et da [p. 71 modifica]

qualchuno venisse il principio; ne anche negherò essere stato possibile, che l’uno aiutasse l’altro, et insegnasse, et apprisse la via al disegno, al colore, et rilievo, perche io sò, che l’Arte nostra è tutta imitazione della Natura, principalmente, et poi, perche da se non può salir tanto alto delle cose, che da quelli, che miglior Maestri di se giudica, sono condotte. Ma dico bene, che il volere determinatamente affermare chi costui, ò costoro fussero, è cosa molto pericolosa à giudicare, et forse poco necessaria a sapere, poi che veggiamo la vera radice, et origine donde ella nasce. Perche poi che delle opere, che sono la vita, et la fama delli Artefici, le prime, et di mano in mano le seconde, et le terze, per il tempo, che consuma ogni cosa venner manco; et non essendo allhora chi scrivesse, non potettono essere almanco per quella via conosciute da posteri; Vennero anchora à essere incogniti gli Artefici di quelle; Ma da che gli scrittori cominciorono a far memoria delle cose state innanzi a loro, non potettono gia parlare di quelli, de quali non havevano potuto haver notizia; in modo, che primi appo loro vengono à esser quelli, de quali era stata ultima à perdersi la memoria. Si come il primo de’ Poeti, per consenso commune si dice esser Homero; non perche innanzi à lui non ne fusse qualcuno, che ne furono, se bene non tanto eccellenti, et nelle cose sue istesse si vede chiaro, ma perche di que’ primi tali quali essi furono, era persa gia dumila anni fa, ogni cognizione. Però lasciando questa parte indietro, troppo per l’antichità sua incerta, vegnamo alle cose piu chiare della loro perfezzione, et Rovina, et Restaurazione, et per dir meglio Rinascità, delle quali con molti miglior fondamenti potremo ragionare.

     Dico adunque, essendo però vero, che elle cominciassero in Roma tardi, se le prime figure furono come si dice il simulacro di Cerere fatto di metallo, de’ beni di Spurio Cassio; Il quale perche macchinava di farsi Re, fu morto dal proprio Padre, senza rispetto alcuno. Che se bene continuarono l’Arti della Scultura, et della pittura insino alla consumazione de’ dodici Cesari, non però continuarono in quella perfezzione, et bontà, che havevano havuto innanzi: perche si vede ne gli edifizij, che fecero, succedendo l’uno all’altro gl’Imperatori, che ogni giorno queste Arti declinando, venivano à poco à poco perdendo l’intera perfezzione del disegno. Et di ciò possono rendere chiara testimonanza l’opere di Scultura, et d’Architettura, che furono fatte al tempo di Gostantino in Roma, e particularmente l’Arco Trionfale, fattogli dal popolo Romano al colosseo, dove si vede, che per mancamento di Maestri buoni, non solo si servirono delle storie di Marmo fatte al tempo di Traiano, ma delle spoglie ancora, condotte di diversi luoghi à Roma; E chi conosce, che i voti, che sono ne’ tondi, cioè le Sculture di mezzo rilievo, et parimente i prigioni, et le storie grandi, et le colonne, et le cornici, et altri ornamenti fatti prima, et di spoglie sono eccellentemente lavorati; conosce anchora, che l’opere, le quali furon fatte per ripieno da gli Scultori di quel tempo, sono goffissime; Come sono alcune storiette di figure piccole di marmo sotto i tondi, et il basamento da pie, dove sono alcune Vittorie.
[p. 72 modifica]Et fra gli Archi dalle bande certi fiumi, che sono molto goffi, et si fatti, che si puo credere fermamente, che insino allora, l’Arte della Scultura haveva cominciato a perdere del buono. Et non dimeno non erano ancora venuti i Gotti, et l’altre nazioni barbare, et straniere, che distrussono insieme con l’Italia tutte l’Arti migliori. Ben’è vero, che ne’ detti tempi haveva minor danno ricevuto l’Architettura, che l’altre arti del disegno fatto non havevano: perche nel bagno, che fece esso Gostantino fabricare à Laterano, nell’entrata del portico principale si vede; oltre alle colonne di porfido, i capitelli lavorati di marmo, e le base doppie tolte d’altrove benissimo intagliate: che tutto il composto della fabrica è benissimo inteso. Dove per contrario lo stucco, il musaico, et alcune incrostature delle facce, fatte da’ maestri di quel tempo non sono à quelle simili, che fece porre nel medesimo bagno, levate, per la maggior parte da i tempij degli dij de’ gentili. Il medesimo, secondo, che si dice, fece Gostantino del giardino d’equizio, nel fare il tempio, che egli dotò poi, et diede a’ sacerdoti christiani. Similmente il magnifico tempio di San Giovanni Laterano fatto fare dallo stesso Imperadore, può fare fede del medesimo, cioè, che al tempo suo era di gia molto declinata la scultura: perche l’imagine del Salvatore, e i dodici Apostoli d’argento, che egli fece fare, furono sculture molto basse, e fatte senza arte, et con pochissimo disegno. Oltre cio, chi considera con diligenza le medaglie d’esso Gostantino, et l’imagine sua, et altre statue fatte da gli scultori di quel tempo, che hoggi sono in Campidoglio, vede chiaramente, ch’elle sono molto lontane dalla perfezzione delle Medaglie, et delle statue degl’altri Imperatori: lequali tutte cose mostrano, che molto inanzi la venuta in Italia de’ Gotti, era molto declinata la scultura. L’Architettura, come si è detto, s’andò mantenendo, se non cosi perfetta, in miglior modo, nè di cio è da maravigliarsi: perche facendosi gl’edifizij grandi quasi tutti di spoglie era facile a gli Architetti nel fare i nuovi imitare in gran parte i vecchi, che sempre havevano dinanzi à gl’occhi. E cio molto piu agevolmente, che non potevano gli scultori, essendo mancata l’arte, imitare le buone figure degl’antichi. E che cio sia vero, è manifesto, che il tempio del prencipe degl’Apostoli in Vaticano non era ricco, se non di colonne, di base, di capitegli, d’architravi, cornici, porte, et altre incrostature, et ornamenti, che tutti furono tolti di diversi luoghi, et da gl’edifizij stati fatti inanzi molto magnificamente. Il medesimo si potrebbe dire di Santa Croce in Gierusalemme, laquale fece fare Gostantino a preghi della madre Helena. Di San Lorenzo fuor delle mura, et di Santa Agnesa fatta dal medesimo à richiesta di Gostanza sua figliuola. Et chi non sà, che il fonte, il quale servì per lo battesimo di costei, et d’una sua sorella fu tutto adornato di cose fatte molto prima? E particolarmente di quel pilo di porfido, intagliato di figure bellissime, et d’alcuni candelieri di marmo, eccellentemente intagliati di fogliami, et d’alcuni putti di basso rilievo, che sono veramente bellissimi? In somma per questa, et molte altre cagioni si vede quanto gia fusse al tempo di Gostantino venuta al basso la scultura, e con essa insieme l’altre arti migliori. E se alcuna cosa mancava all’ultima rovina loro, venne loro data compiutamente dal partirsi Gostantino di Roma, per andare à porre la [p. 73 modifica]sede dell’Imperio in Bisanzio; percioche egli condusse in Grecia, non solamente tutti i migliori scultori, et altri artefici di quella età, comunche fussero, ma ancora una infinità di statue, et d’altre cose di scultura bellissime. Dopo la partita di Gostantino i Cesari, che egli lasciò in Italia, edificando continuamente, et in Roma, et altrove si sforzarono di fare le cose loro quanto potettero migliori, ma come si vede andò sempre cosi la scultura, come la Pittura, et l’Architettura di male in peggio. E ciò forse avvenne, perche quando le cose humane cominciano à declinare, non restano mai d’andare sempre perdendo, se non quando non possono piu oltre peggiorare. Parimente si vede, che se bene s’ingegnarono al tempo di Liberio papa gl’Architetti di quel tempo di far gran cose nell’edificare la chiesa di Santa Maria Maggiore, che non però riuscì loro il tutto felicemente: percioche se bene quella fabrica, che è similmente, per la maggior parte di spoglie, fu fatta con assai ragionevoli misure non si può negare non dimeno, oltre à qualche altra cosa, che il partimento fatto intorno intorno sopra le colonne con ornamenti di stucchi, et di pitture, non sia povero affatto di disegno, et che molte altre cose, che in quel gran tempio si veggiono, non argomentino l’imperfezzione dell’arti. Molti anni dopo, quando i christiani sotto Giuliano Apostata erano perseguitati, fu edificato in sul monte Celio un tempio à san Giovanni, e Paulo martiri di tanto peggior maniera, che i sopradetti; che si conosce chiaramente, che l’arte era à quel tempo poco meno, che perduta del tutto. Gli edifizij ancora, che in quel medesimo tempo si fecero in Toscana fanno di ciò pienissima fede; et per tacere molti altri, il tempio, che fuor dalle mura d’Arezzo fu edificato à San Donato, Vescovo di quella città, ilquale insieme con Hilariano monaco fu martirizzato sotto il detto Giuliano apostata; non fu di punto migliore Architettura, che i sopradetti. Ne è da credere, che cio procedesse da altro, che dal non essere migliori architetti in quell’età, concio fusse, che il detto tempio, come si è potuto vedere à tempi nostri, à otto facce, fabricato delle spoglie del teatro, colosseo, et altri edifizij, che erano stati in Arezzo innanzi, che fusse convertita alla fede di Christo; fu fatto senza alcun risparmio, et con grandissima spesa; et di colonne di granito, di porfido, et di mischi, che erano stati delle dette fabriche antiche, adornato. Et io per me non dubito, alla spesa, che si vedeva fatta in quel tempio, che se gl’Aretini havessono havuti migliori Architetti, non havessono fatto qualche cosa maravigliosa, poi che si vede in quel, che fecero, che à niuna cosa perdonarono, per fare quell’opera, quanto potettono maggiormente ricca, et fatta con buon ordine. Et perche, come si è gia tante volte detto, meno haveva della sua perfezzione l’Architettura, che l’altre arti, perduto, vi si vedeva qualche cosa di buono. Fu in quel tempo similmente aggrandita la chiesa di Santa Maria in grado à honore del detto Hilarione; percioche in quella haveva lungo tempo habitato, quando andò con Donato alla palma del martirio. Ma perche la fortuna quando ella ha condotto altri al sommo della Ruota; o per ischerzo, o per pentimento il piu delle volte lo torna in fondo. Avvenne dopo queste cose, che sollevatesi in diversi luoghi del mondo quasi tutte le nazioni barbare, contra i Romani: ne seguì fra non molto tempo [p. 74 modifica]non solamente lo abbassamento di cosi grande imperio: Ma la rovina del tutto, et massimamente di Roma stessa, con la quale rovinarono del tutto parimente gli eccellentissimi Artefici, Scultori, Pittori, et Architetti, lasciando l’arti, et loro medesimi, sotterrate, et sommerse, fra le miserabili stragi, et rovine di quella famosissima Città. E prima andarono in mala parte la pittura, et la scoltura come arti che piu per diletto, che per altro servivano: e l’altra cio è l’architettura come necessaria, e utile alla salute del corpo, andò continuando, ma non gia nella sua perfezzione, e bontà. Et se non fusse stato, che le sculture, e le pitture rappresentavano inanzi agl’occhi di chi nasceva di mano in mano, coloro, che n’erano stati honorati per dar loro perpetua vita; se ne sarebbe tosto spento la memoria dell’une, e dellaltre. La dove alcune ne conservarono per l’imagine, e per l’inscrizioni poste nell’architetture private, e nelle publiche, cioè negli anfiteatri, ne’ teatri, nelle Terme, negli aquedotti, ne’ Tempij, negli obelisci, ne’ collossi, nelle piramidi, negli Archi, nelle conserve, e negli Erarij, e finalmente nelle sepulture medesime; delle quali furono distrutte una gran parte da gente barbara, et efferata, che altro non havevano d’huomo, che l’effigie e ’l nome. Questi fra gli altri furono i Visigothi, i quali havendo creato Alarico loro Re assalirano l’Italia, e Roma, e la saccheggiorno due volte e senza rispetto di cosa alcuna. Il medesimo fecero i Vandali venuti d’Affrica con Genserico loro Re; il quale non contento a la roba, e prede, e crudeltà, che vi fece, ne menò in servitù le persone con loro grandissima miseria, e con esse Eudossia moglie stata di Valentiniano Imperatore stato amazzato poco avanti da i suoi soldati medesimi. Iquali degenerati in grandissima parte dal valore antico Romano, per esserne andati gran tempo innanzi tutti i migliori in Bisanzio, con Gostantino Imperatore, non havevano piu costumi, ne modi buoni nel vivere. Anzi havendo perduto in un tempo medesimo i veri huomini, e ogni sorte di virtù; e mutato leggi, habito, nomi, e lingue; tutte queste cose insieme, e ciascuna per se, havevano ogni bell’animo, e alto ingegno fatto bruttissimo, e bassissimo diventare. Ma quello, che sopra tutte le cose dette fu di perdita, e danno infinitamente a le predette professioni, fu il fervente zelo della nuova Religione Christiana; la quale dopo lungo, e sanguinoso combattimento, havendo finalmente con la copia de’ miracoli, e con la sincerita delle operazioni abbattuta, e annullata la vecchia fede de Gentili; mentre che ardentissimamente attendeva con ogni diligenza a levar via, et a stirpare in tutto ogni minima occasione, donde poteva nascere errore; non guastò solamente, o gettò per terra tutte le statue maravigliose, et le scolture, pitture, Musaici, e ornamenti de fallaci Dij de Gentili; Ma le memorie anchora, et gl’honori d’infinite persone egregie. Alle quali per gl’eccellenti meriti loro dà la virtuosissima antichità erono state poste in publico le statue, e l’altre memorie. In oltre per edificare le Chiese a la usanza Christiana, non solamente distrusse i piu onorati Tempij degli Idoli; ma per far diventare piu nobile, et per adornare San Piero oltre agli ornamenti, che da principio havuto havea spogliò di Colonne di pietra la Mole d’Adriano, hoggi detto Castello Santo Agnolo; e molte altre, le quali veggiamo hoggi guaste. Et avvenga che la Religione Christiana non [p. 75 modifica]facesse questo per odio, che ella havesse con le virtù, mà solo per contumelia, et abbattimento degli Dij, de’ Gentili; non fu però che da questo ardentissimo Zelo non seguisse tanta rovina a queste honorate professioni, che non sene perdesse in tutto la forma. E se niente mancava a questo grave infortunio sopravenne l’ira di Totila contro a Roma, che oltre a sfasciarla di mura, e rovinar col ferro, e col fuoco tutti i piu mirabili, et degni edificij di quella, universalmente la bruciò tutta; e spogliatola di tutti i viventi corpi, la lasciò in preda alle fiamme, et al fuoco, e senza che in xviii. giorni continui si ritrovasse in quella vivente alcuno; abbattè, e destrusse talmente le statue, le Pitture, i Musaici, e gli stucchi maravigliosi: che sene perdè non dico la maiestà sola, ma la forma, e l’essere stesso. Per il che essendo le stanze terrene prima dè palazzi, o altri edificij di stucchi, di pitture, e di statue lavorate, con le rovine di sopra affogorno tutto il buono, che a giorni nostri s’è ritrovato. E coloro, che successer poi, giudicando il tutto rovinato, vi piantarono sopra le vigne. Di maniera, che per essere le dette stanze terrene rimaste sotto la terra, le hanno i moderni nominate Grotte; e Grottesche le Pitture, che vi si veggono al presente. Finiti gli Ostrogotti, che da Narse furono spenti, habitandosi per le rovine di Roma in qualche maniera pur malamente, venne dopo cento anni Costante II. Imperatore di Costantinopoli, e ricevuto amorevolmente da i Romani guastò, spogliò, et portossi via tutto cio, che nella misera Città di Roma era rimaso, piu per sorte, che per libera volontà di coloro, che l’avevono rovinata. Bene è vero, che e’ non potette godersi di questa preda, perche dà la tempesta del Mare trasportato nella Sicilia, giustamente occiso da i suoi, lasciò le spoglie, il regno, e la vita tutto in preda della Fortuna. Laquale non contenta ancora de’ danni di Roma, perche le cose tolte non potessino tornarvi giamai, vi condusse un’armata di Saracini a’ danni dell’Isola; i quali, e le robe de’ Siciliani, e le stesse spoglie di Roma sene portorono in Alessandria; con grandissima vergogna, e danno dell’Italia, e del Cristianesimo. E cosi tutto quello, che non havevono guasto i Pontefici, e San Gregorio massimamente, ilqual si dice, che messe in bando tutto il restante delle statue, e delle spoglie degl’Edifizij, per le mani di questo sceleratissimo Greco finalmente capitò male. Di maniera, che non trovandosi piu ne vestigio, ne indizio di cosa alcuna, che havesse del buono; gl’huomini, che vennono a presso, ritrovandosi rozi, e materiali, e particularmente nelle pitture, e nelle scolture; incitati dalla natura, e assottigliati dall’aria, si diedero a fare non secondo le regole dell’Arti predette, che non l’havevano; ma secondo la qualità degli ingegni loro. Essendo dunque; à questo termine condotte l’arti del disegno, e inanzi, e in quel tempo, che signoreggiarono l’Italia i Longobardi, e poi, andarono dopo agevolmente, se ben’alcune cose si facevano, in modo peggiorando, che non si sarebbe potuto, ne piu goffamente ne con manco disegno lavorar di quello, che si faceva, come ne dimostrano, oltr’à molte altre cose, alcune figure, che sono nel portico di San Piero in Roma sopra le porte, fatte alla maniera greca, per memoria d’alcuni santi padri, che per la Santa Chiesa havevano in alcuni concilij disputato. Ne fanno fede similmente molte cose dell’istessa maniera, che nella Città, et in tutto l’essarcato di RAVENNA si veggiono, et particolarmente alcune, che sono [p. 76 modifica]in Santa Maria Ritonda fuor di quella città, fatte poco dopo, che d’Italia furono cacciati i Longobardi: Nella qual chiesa, non tacerò, che una cosa si vede notabilissima, et maravigliosa; et questa è la volta, o vero cupola, che la cuopre; la quale, come che sia larga dieci braccia, et serva per tetto, et coperta di quella fabrica, è non dimeno tutta d’un pezzo solo, e tanto grande, et sconcio, che pare quasi impossibile, che un sasso di quella sorte, di peso di piu di dugento mila libre fusse tanto in alto collocato. Ma per tornare al proposito nostro uscirono delle mani de’ maestri di que’ tempi quei fantocci, et quelle goffezze, che nelle cose vecchie ancora hoggi appariscono. Il medesimo avvenne dell’Architettura; Perche bisognando pur fabricare, et essendo smarrita in tutto la forma, e il modo buono per gl’Artefici morti, e per l’opere distrutte, e guaste; Coloro, che si diedero à tale esercizio, non edificavano cosa, che per ordine, o per misura havesse grazia, ne disegno, ne ragion alcuna. Onde ne vennero a risorgere nuovi Architetti, che delle loro barbare nazioni fecero il modo di quella maniera di edifizi, c’hoggi da noi son chiamati Tedeschi, iquali facevano alcune cose piu tosto a noi moderni ridicole, che à loro lodevoli; finche la miglior forma, e alquanto alla buona antica simile trovarono poi i migliori artefici; come si veggono di quella maniera per tutta Italia le piu vecchie Chiese, et non antiche, che da essi furon’edificate, come da Teodorico re d’Italia un palazzo in Ravenna, uno in Pavia, et un’altro in Modena pur di maniera barbara, et piu tosto ricchi, et grandi, che bene intesi, o di buona architettura. Il medesimo si può affermare di Santo Stefano in Rimini, di San Martino di Ravenna, et del tempio di San Giovanni evangelista edificato nella medesima città da Galla Placidia intorno agl’anni di nostra salute ccccxxxviii. di San Vitale, che fu edificato l’anno dxlvii et della Badia di Classi di fuori. Et in somma di molti altri monasterij, e tempi edificati dopo i Longobardi. I quali tutti edifizij, come si è detto, sono et grandi, et magnifici, ma di goffissima architettura; e fra questi sono molte Badie in Francia, edificate à San Benedetto, et la chiesa, et monasterio di Monte Casino; il tempio di San Giovambatista à Monza, fatto da quella Teodelinda Reina de’ Gotti, alla quale San Gregorio papa scrisse i suoi Dialogi; nel qual luogo essa Reina fece dipignere la storia di Longobardi, dove si vedeva, che eglino dalla parte di dietro erano rasi, et dinanzi havevano le zazzere, e si tignevano fino al mento; le vestimenta erano di tela larga, come usarono gl’Angli, et i Sassoni, et sotto un manto di diversi colori, et le scarpe fino alle dita de’ piedi aperte, et sopra legate con certi correggiuoli. Simili a’ sopradetti tempij furono la chiesa di San Giovanni in Pavia edificata da Gundiperga figliuola della sopradetta Teondelinda, et nella medesima città la chiesa di San Salvador fatta da Ariperto fratello della detta Reina, il quale successe nel regno à Rodoaldo marito di Gundiperga; La chiesa di Santo Ambruogio di Pavia edificata da Grimoaldo Re de’ Longobardi, che cacciò del regno Perterit figliuolo di Riperto. Il quale Perterit ristituto nel regno dopo la morte di Grimoaldo, edificò pur in Pavia un Monasterio di donne detto il Monasterio Nuovo, in honore di Nostra Donna, et di Santa Agata: et la Reina ne edificò uno fuora delle mura [p. 77 modifica]dedicato alla Vergine Maria in Pertica. Conperte similmente figliuolo d’esso Perterit edificò un monasterio, e tempio à San Giorgio, detto di Coronate, nel luogo dove haveva havuto una gran vittoria contra à Alahi di simile maniera. Ne dissimile fu à questi il tempio, che ’l re de Longobardi Luiprando, ilquale fu al tempo del Re Pipino padre di Carlo Magno; edificò in Pavia, che si chiama San Piero in ciel dauro; Ne quello similmente, che Disiderio, il quale regnò dopo Astolfo, edificò di San Piero clivate nella diocesi Milanese; Ne ’l monasterio di San Vincenzo in Milano, nè quello di Santa Giulia in Brescia: perche tutti furono di grandissima spesa, ma di bruttissima, e disordinata maniera. In Fiorenza poi migliorando alquanto l’architettura la chiesa di Santo Apostolo che fu edificata da Carlo Magno: fu ancor, che piccola di bellissima maniera: perche oltre, che i fusi delle colonne, se bene sono di pezzi, hanno molta grazia, e sono condotti con bella misura; i capitelli ancora, et gli archi girati per le volticciuole delle due piccole Navate, mostrano, che in Toscana era rimaso, o vero risorto qualche buono artefice. In somma l’Architettura di questa chiesa è tale, che Pippo di ser Brunellesco non si sdegnò di servirsene per modello nel fare la chiesa di Santo Spirito, et quella di San Lorenzo nella medesima città. Il medesimo si può vedere nella chiesa di San Marco di Vinezia, la quale (per non dir nulla di San Giorgio Maggiore, stato edificato da Giovanni Morosini l’anno        ) fu cominciata sotto il Doge Iustiniano, et Giovanni Particiaco appresso San Teodosio, quando d’Alessandria fu mandato à Vinezia il corpo di quell’Evangelista: percioche dopo molti incendij, che il palazzo del Doge, et la chiesa molto dannificarono: ella fu sopra i medesimi fondamenti finalmente rifatta alla maniera Greca, et in quel modo, che ella hoggi si vede con grandissima spesa, et col parere di molti Architetti, al tempo di Domenico Selvo Doge negl’anni di Christo dcccclxxiii. Il quale fece condurre le colonne di que’ luoghi donde le potette havere. Et cosi si andò continuando insino all’anno mcxl. essendo Doge Messer Piero Polani; et come si è detto col disegno di piu Maestri tutti Greci. Dalla medesima maniera greca furono, e nei medesimi tempi le sette Badie, che il Conte Ugho Marchese di Brandiburgo fece fare in Toscana, come si può vedere nella Badia di Firenze, in quella di Settimo, et nell’altre. Lequali tutte fabriche, et le vestigia di quelle, che non sono in piedi, rendono testimonianza, che l’Architettura si teneva alquanto in piedi, ma imbastardita fortemente, et molto diversa dalla buona maniera antica. Di cio posson’anco far fede molti palazzi vecchi stati fatti in Fiorenza, dopo la rovina di Fiesole d’opera Toscana, ma con ordine barbaro nelle misure di quelle porte, et finestre lunghe lunghe; et ne garbi di quarti acuti, nel girare de gl’archi, secondo l’uso degl’Architetti stranieri di que’ tempi. L’anno poi mxiii. si vede l’arte haver ripreso alquanto di vigore nel riedificarsi la bellissima chiesa di San Miniato in sul monte al tempo di Messer Alibrando, cittadino et Vescovo di Firenze: percioche, oltre a gl’ornamenti, che di marmo vi si veggiono dentro, et fuori, si vede nella facciata dinanzi, che gl’Architetti Toscani si sforzarono d’imitare nelle porte, nelle finestre, nelle colonne, ne gl’archi, e nelle cornici quanto potettono il piu l’ordine buono antico, havendolo in parte riconosciuto [p. 78 modifica]

nell’antichissimo Tempio di San Giovanni nella città loro. Nel medesimo tempo la pittura, che era poco meno, che spenta affatto, si vide andare riacquistando qualche cosa, come ne mostra il musaico, che fu fatto nella capella maggiore della detta chiesa di San Miniato.

     Da cotal principio adunque, cominciò à crescere à poco à poco in Toscana il disegno, et il miglioramento di queste Arti, come si vide l’Anno mille, et sedici nel dare principio i Pisani alla fabbrica del Duomo loro: perche in quel tempo fu gran cosa mettere mano à un corpo di Chiesa cosi fatto di cinque Navate, et quasi tutto di marmo dentro, et fuori. Questo Tempio, ilquale fu fatto con ordine, et disegno di Buschetto Greco da Dulicchio, Architettore in quell’età rarissimo fu edificato, et ornato da i Pisani d’infinite spoglie condotte, per mare, essendo eglino nel colmo della grandezza loro, di diversi lontanissimi luoghi, come ben mostrano le colonne, base, capitegli, cornicioni, et altre pietre d’ogni sorte, che vi si veggiono. Et perche tutte queste cose erano, alcune piccole, alcune grandi, et altre mezzane, fu grande il giudizio, et la virtù di Buschetto nell’accommodarle, et nel fare lo spartimento di tutta quella fabbrica, dentro, et fuori molto bene accommodata: Et oltre all’altre cose nella facciata dinanzi con gran numero di colonne accommodò il diminuire del frontespizio molto ingegnosamente, quello di varij, et diversi intagli d’altre colonne, et di statue antiche adornando, si come anco fece le porte principali della medesima facciata: fra le quali, cioè allato à quella del carroccio, fu poi dato à esso Buschetto honorato sepolcro con tre Epitaffij, dequali è questo uno, in versi Latini, non punto dissimili dall’altre cose di que’ tempi.


Quod vix mille boum possent iuga iuncta movere,
Et quod vix potuit per mare ferre ratis,
Buschetti nisu, quod erat mirabile visu,
Dena puellarum turba levavit onus.


Et perche si è di sopra fatto menzione della chiesa di Santo Apostolo di Firenze, non tacerò, che in un marmo di essa dall’uno de lati dell’Altare maggiore si leggono queste parole. VIII°. V°. DIE VI APRILIS in resurectione DOMINI KAROLUS Francorum rex a Roma revertens, ingressus Florentiam cum magno gaudio, et tripudio susceptus, civium copiam torqueis aureis decoravit. ECCLESIA Sanctorum Apostolorum in Altari inclusa est lamina plumbea, in qua descripta apparet præfata fundatio; et consecratio facta per ARCHIEPISCOPUM TURPINUM, testibus ROLANDO et ULIVERIO.

     L’edifizio sopradetto del Duomo di Pisa svegliando per tutta Italia, et in Toscana massimamente l’animo di molti à belle imprese fu cagione, che nella Città di Pistoia si diede principio l’Anno mille et trentadue alla Chiesa di San Paulo, presente il beato Atto, Vescovo di quella Città, come si legge: in un contratto fatto in [p. 79 modifica]

quel tempo; et in somma à molti altri edifizij, de’ quali troppo lungo sarebbe fare al presente menzione.

     Non tacerò gia continuando l’andar de’ tempi, che l’Anno poi mille, et sessanta fu in Pisa edificato il Tempio tondo di San Giovanni, dirimpetto al Duomo, et in sulla medesima piazza. Et quello, che è cosa maravigliosa, et quasi del tutto incredibile, si truova, per ricordo in uno antico libro dell’opera del Duomo detto, che le colonne del detto San Giovanni, i pilastri, et le volte furono rizzate, et fatte in quindici giorni, et non piu. Et nel medesimo Libro, ilquale può chiunche n’havesse voglia vedere, si legge, che per fare quel tempio, fu posta una gravezza d’un danaio per fuoco, ma non vi si dice gia se d’oro ò di piccioli. Et in quel tempo erano in Pisa, come nel medesimo Libro si vede, trentaquattro mila fuochi. Fu certo questa opera grandissima, di molta spesa, et difficile à condursi, et massimamente la volta della Tribuna fatta à guisa di pera, et disopra coperta di Piombo. Il di fuori è pieno di Colonne, d’intagli, e d’Historie: et nel fregio della porta di mezzo è un GIESU CHRISTO con dodici Apostoli di mezzo rilievo, di maniera Greca.

     I Lucchesi ne’ medesimi tempi, cioè l’Anno mille, et sessant’uno, come concorrenti de’ Pisani principiarono la Chiesa di San Martino in Lucca, col disegno, non essendo allhora altri Architetti in Thoscana, di certi discepoli di Buschetto. Nella facciata dinanzi della qual Chiesa, si vede appiccato un portico di marmo con molti ornamenti, et intagli di cose fatte in memoria di Papa Alessandro secondo, stato poco innanzi, che fusse assunto al Pontificato, Vescovo di quella Città. Dellaquale edificazione, et di esso Alessandro, si dice in nove versi Latini pienamente ogni cosa. Il medesimo si vede in alcune altre lettere Antiche, intagliate nel marmo sotto il portico infra le porte. Nella detta facciata sono alcune figure, et sotto il portico molte storie di marmo di mezzo rilievo della vita di San Martino, et di maniera Greca. Ma le migliori, lequali sono sopra una delle porte, furono fatte cento settanta anni doppo, da Nicola Pisano, et finite nel mille ducento trenta tre, come si dirà al luogo suo, essendo operai, quando si cominciarono, Abellenato, et Aliprando, come per alcune lettere nel medesimo luogo intagliate in marmo, apertamente si vede. Le quali figure di mano di Nicola Pisano mostrano quanto per lui migliorasse l’Arte della Scultura. Simili à questi furono per lo piu, anzi tutti gl’Edifizij, che da i tempi detti di sopra, insino all’Anno mille dugento cinquanta furono fatti in Italia: percioche poco, o nullo acquisto, o miglioramento si vide nello spazio di tanti Anni havere fatto l’Architettura; ma essersi stata ne i medesimi termini, et andata continuando in quella goffa maniera, della quale anchora molte cose si veggiono, di che non farò al presente alcuna memoria, perche se ne dirà di sotto, secondo l’occasioni, che mi si porgeranno.

     Le Sculture, et le Pitture similmente buone, state sotterrate nelle rovine d’Italia, si stettono insino al medesimo tempo rinchiuse, o non conosciute da gli huomini, [p. 80 modifica]

ingrossati nelle goffezze del moderno uso di quell’età, nella quale non si usavano altre Sculture, ne pitture, che quelle, lequali un residuo di vecchi artefici di Grecia facevano, ò in imagini di terra, et di pietra, o dipignendo figure mostruose, et coprendo solo i primi lineamenti di colore. Questi artefici, come migliori, essendo soli in queste professioni, furono condotti in Italia; dove portarono insieme col musaico la Scultura, et la Pittura in quel modo, che la sapevano. Et cosi le insegnarono agl’Italiani goffe, et rozzamente. Iquali Italiani poi se ne servirono, come si è detto, et come si dira insino a un certo tempo.

     Et gl’huomini di que’ tempi, non essendo usati a veder altra bontà, ne maggior perfezzione nelle cose; di quella, che essi vedevano, si maravigliavano; e quelle, ancora che baronesche fossero, non dimeno per le migliori apprendevano, pur gli spirti di coloro, che nascevano, aitati in qualche luogo dalla sottilità dell’aria si purgarono tanto, che nel mccl. il cielo à pietà mossosi de i belli ingegni, che ’l terren’ Toscano produceva ogni giorno, gli ridusse alla forma primiera. Et se bene gli innanzi à loro havevano veduto residui d’archi, o di colossi, o di statue, o pili, o colonne storiate, nell’età che furono dopo i sacchi, et le ruine, et gl’incendi di Roma; e’ non seppono mai valersene, o cavarne profitto alcuno, sino al tempo detto di sopra, gl’ingegni, che vennero poi, conoscendo assai bene il buono dal cattivo, e abbandonando le maniere vecchie, ritornarono ad imitare le antiche, con tutta l’industria, et ingegno loro. Ma perche piu agevolmente s’intenda, quello che io chiami vecchio, et antico, Antiche furono le cose innanzi à Costantino, di Corintho, d’Athene, et di Roma, et d’altre famosissime città, fatte fine à sotto Nerone, à i Vespasiani, Traiano, Adriano, et Antonino; percioche l’altre si chiamano vecchie, che da San Salvestro in quà furono poste in opera da un certo residuo de’ Greci, i quali piu tosto tignere, che dipignere sapevano. Perche essendo in quelle guerre morti gl’eccellenti primi artefici, come si è detto, al rimanente di que’ Greci vecchi, et non antichi altro non era rimaso, che le prime linee in un campo di colore; come di ciò fanno fede hoggidi infiniti musaici, che per tutta Italia lavorati da essi greci si veggono per ogni vecchia chiesa di qual si voglia città d’Italia, et massimamente nel duomo di Pisa, in San Marco di Vinegia, et ancora in altri luoghi, et cosi molte pitture, continovando fecero di quella maniera con occhi spiritati, et mani aperte in punta di piedi, come si vede ancora in San Miniato fuor di Fiorenza fra la porta, che va in Sagrestia, et quella che va in convento, et in Santo Spirito di detta città tutta la banda del chiostro verso la chiesa, et similmente in Arezzo in San Giuliano, et in San Bartolomeo, et in altre chiese, et in Roma in San Pietro nel vecchio storie intorno intorno fra le finestre, cose che hanno piu del mostro nel lineamento, che effigie di quel che si sia. Di Scultura ne fecero similmente infinite, come si vede ancora sopra la porta di San Michele à Piazza Padella di Fiorenza di basso rilievo, et in Ogni Santi, et per molti luoghi sepulture, et ornamenti di porte per chiese, dove hanno per mensole certe figure per regger il tetto, cosi goffe, et si ree, et tanto malfatte, di grossezza, et di maniera, che par’impossibile, che imaginare peggio si potesse. Sino a quì mi è parso discorrere, dal principio della Scultura, et della Pittura; et per avventura piu [p. 81 modifica]largamente, che in questo luogo non bisognava. Ilche ho io però fatto, non tanto traportato dall’affezzione della arte; quanto mosso dal benefizio, et utile comune de gli artefici nostri. Iquali havendo veduto inche modo ella da piccol principio, si conducesse a la somma altezza; e come da grado si nobile precipitasse in ruina estrema: e perconseguente la natura di questa arte, simile a quella dell’altre, che come i corpi humani, hanno, il nascere, il crescere, lo invecchiare, et il morire; Potranno hora piu facilmente conoscere il progresso della sua rinascita; et di quella stessa perfezzione, dove ella è risalita ne’ tempi nostri. Et a cagione ancora, che se mai (ilche non acconsenta Dio) accadesse per alcun tempo per la trascuraggine degli huomini, o per la malignita de’ Secoli, o pure per ordine de’ Cieli, i quali non pare, che voglino le cose di quaggiù mantenersi molto in uno essere; ella incorresse di nuovo, nel medesimo disordine di rovina, possino queste fatiche mie, qualunche elle si siano, (se elle però saranno degne di piu benigna fortuna) per le cose discorse innanzi, et per quelle che hanno da dirsi, mantenerla in vita; O al meno dare animo, à i piu elevati ingegni di provederle migliori aiuti: Tanto, che con la buona volontà mia, e con le opere di questi tali, ella abbondi di quelli aiuti, et ornamenti, de’ quali (siami lecito liberamente dire il vero) ha mancato sino a quest’hora. Ma Tempo è di venire hoggi mai a la vita di Giovanni Cimabue; Il quale si come dette principio al nuovo modo di disegnare, e di dipignere, cosi è giusto, et conveniente, che e’ lo dia ancora alle vite, nelle quali mi sforzerò di osservare il piu che si possa, l’ordine delle maniere loro piu che del Tempo. Et nel discrivere le forme, et le fattezzeFonte/commento: Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 1-2, 1568.djvu/12 de gl’artefici sarò breve, perche i ritratti loro, i quali sono da me stati messi insieme con non minore spesa, e fatica, che diligenza, meglio dimostreranno quali essi artefici fussero, quanto all’effigie, che il raccontarlo non farebbe gia mai, et se d’alcuno mancasse il ritratto, cio non è per colpa mia, ma per non si essere in alcuno luogo trovato. Et se i detti ritratti non paressero a qualcuno per avventura simili affatto ad altri, che si trovassono, voglio, che si consideri, che il ritratto fatto d’uno quando era di diciotto o venti anni, non sarà mai simile al ritratto, che sarà stato fatto quindici o venti anni poi. A questo si aggiugne, che i ritratti dissegnati non somigliano mai tanto bene, quanto fanno i coloriti: Senza, che gl’intagliatori, che non hanno disegno, tolgono sempre alle figure, per non potere, ne sapere fare appunto quelle minuzie, che le fanno esser buone, et somigliare, quella perfezzione, che rade volte, o non mai hanno i ritratti intagliati in legno. In somma quanta sia stata in cio la fatica, spesa, e diligenza mia coloro il sapranno, che leggendo vedranno onde io gli habbia, quanto ho potuto il meglio ricavati etc.


Fine del proemio delle vite.